[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
la conoscenza in un mondo complesso
- Subject: la conoscenza in un mondo complesso
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 14 Feb 2002 17:31:40 +0100
da rai.it www.filosofia.rai.it Mauro Ceruti La conoscenza in un mondo complesso Documenti correlati ---------------------------------------------------------------------------- ---- 22 gennaio 2002 Puntata realizzata con gli studenti del Liceo “Cartesio” di Giugliano STUDENTE: Ringraziamo il prof. Mauro Ceruti per aver accettato il nostro invito; ora introduciamo l’argomento con una scheda filmata. La scienza, secondo l'idea comune, è un processo lineare. Procede in avanti, per accumulazione, avvicinandosi ad un modello di conoscenza assoluta che forse non raggiungerà mai, ma che rimane il suo obiettivo ideale. Nel compiere questo percorso essa brucia le scorie dei saperi e delle ipotesi precedenti e corregge continuamente i propri errori, errori dovuti soprattutto all'osservatore, all'intrusione dell'elemento soggettivo in una conoscenza che invece dovrebbe essere il più possibile oggettiva. Le scienze della natura del nostro secolo, dalla biologia molecolare alla fisica delle particelle, hanno imposto però un nuovo modello di conoscenza. Si affacciano nuovi termini, che la scienza precedente avrebbe considerato inquietanti: caso, disordine, la possibilità. Il processo della scienza non è affatto lineare, ma conosce ritorni indietro, coesistenze e recuperi. E inoltre è stato osservato che ad un aumento della conoscenza corrisponde un aumento dell'ignoranza. Nuove forme di conoscenza portano con sé forme sempre nuove di ignoranza. Questo ha portato con sé la rivalutazione dell'elemento soggettivo, visto non più come portatore di errore e di impurità. L'osservatore non è più qualcosa che sta sopra o di fronte lo svolgersi della natura e delle sue leggi. Al contrario, la natura risponde solo alle domande che l'osservatore sa porre e costruire. La parola chiave non è più, come per Cartesio, il metodo, ma contesto, un contesto che lega insieme la natura e l'osservatore. Così le prospettive più recenti della scienza possono incontrare le antiche domande dei filosofi sullo spazio e il tempo, la vita. STUDENTESSA: Professore, dalla scheda sono emersi alcuni concetti che sembrano nuovi per la scienza, quali il caso, il disordine, la possibilità. Potrebbe spiegarci che cosa sono e quanto contano nell'ambito della scienza? CERUTI: Questa è una domanda che ci porta nel cuore dell'avventura della conoscenza contemporanea. È la domanda che si sono posti i grandi filosofi e i grandi scienziati del secolo che si è appena concluso, che non contraddice, ma che prolunga l'avventura della conoscenza iniziata da Cartesio, a cui è dedicata questo liceo. Cartesio si poneva il problema di come costruire un metodo che ci garantisse una conoscenza certa. Non dobbiamo dimenticare che il secolo di Cartesio non è soltanto e non è tanto il secolo della certezza, della verità luminosa, trasparente, della ragione. Il Seicento è stato un secolo drammatico per la nostra Europa a causa delle numerose guerre di religione e i grandi della scienza e della filosofia moderna nascente si sono posti il problema e la responsabilità culturale e morale di elaborare un metodo per uscire dal conflitto delle ragioni e dei punti di vista che insanguinava l'Europa in quel momento. Sulla base del metodo elaborato per la scienza e per la filosofia scientifica da Cartesio, da Galileo e da altri grandi filosofi e scienziati del Seicento e poi del Settecento, si sono sviluppate le grandi discipline scientifiche che sono giunte fino a noi. Scienze che però hanno indagato nell’organizzazione della natura, della materia intorno a noi, che è raggiungibile direttamente con i nostri cinque sensi o con i loro prolungamenti diretti, come il telescopio, il microscopio. Le scienze che si sono sviluppate nel Novecento e che hanno sfondato le frontiere dell'infinitamente piccolo e dell'indefinitamente grande ci hanno proiettato di fronte ad oggetti di conoscenza non direttamente omogenei con quelli rivelati dal metodo cartesiano. Ora se il modello emerso mediante l'applicazione del metodo cartesiano, ovvero lo studio della natura osservabile attraverso i cinque sensi, è stato quello di un meccanismo perfetto, di un orologio inflessibile, l'immagine che è emersa attraverso lo studio dell'infinitamente piccolo e dell'indefinitamente grande non è stata più riducibile a questo ideale della conoscenza che espunge il disordine, il caso e l'incerto. Anzi ha provocato la necessità di elaborare una pluralità di metodi in grado di tenere conto di ciò che non è direttamente prevedibile a partire dalla conoscenza di leggi certe. Ecco, il caso, l'incerto, l'imprevedibile, il disordine sono i protagonisti della conoscenza scientifica contemporanea e sono protagonisti che non mettono in discussione la validità della storia della scienza precedente; sono protagonisti che approfondiscono questa vicenda e ci dicono che “l'universo” - già come diceva Shakespeare – “è fatto di cose che esistono in cielo e in terra, molto più numerose di quelle che erano riconducibili al pur straordinario metodo della certezza della scienza cartesiana”. STUDENTESSA: Spesso crediamo che la scienza sia basata su postulati assoluti. Oggi possiamo dire che la scienza continui a prescindere da queste certezze di base? CERUTI: Sì. La scienza si è costruita a partire dalla sua grande tradizione che si radica in grandi uomini, come Galileo e Cartesio, attraverso un metodo che è stato definito ipotetico-deduttivo. I postulati a cui Lei si riferisce sono assoluti perché sono posti come ipotesi assolute da verificare alla base di un'indagine scientifica, ma sono ipotesi. Sono ipotesi che possono essere messe in discussione e che non sono svincolate dalla storia dei tentativi ed errori attraverso i quali la comunità degli scienziati cerca di falsificarli. STUDENTE: In questo grande cambiamento, quanto è importante la capacità della scienza di riuscire a prevedere? CERUTI: Quello della previsione è proprio il problema dei problemi. Se c'è una parola chiave attraverso la quale noi possiamo riassumere il sogno della scienza moderna e della filosofia della scienza moderna, ecco questa è proprio la parola previsione e prevedibilità. Il criterio che è stato identificato dagli scienziati e dai filosofi per definire scientifica una teoria o un'ipotesi è racchiuso in questa domanda: “ci mette o non ci mette in grado di fare delle previsioni certe sul comportamento futuro del sistema o dell'insieme dei fenomeni che stiamo studiando?” L’ideale della previsione è il vero ideale in cui si è tradotto anche nel senso comune il compito, il sogno, l'obiettivo di una conoscenza scientifica razionale e oggettiva e questo sogno è stato largamente realizzato dalla grande Fisica, dalla Meccanica Razionale, dall'Astronomia del Settece e dell'Ottocento. Però lo studio dei sistemi complessi, delle particelle elementari, gli studi introdotti dai grandi sviluppi della biologia contemporanea e poi anche dalle scienze umane, dalle scienze della mente, hanno messo in evidenza che conoscere scientificamente qualcosa non significa automaticamente potere prevedere il futuro degli oggetti conosciuti. I sistemi che noi studiamo sono perfettamente determinati, cioè sono regolati da relazioni, intricate magari, di causa ed effetto, ma conoscere la legge che regola il comportamento di un sistema e quindi le relazioni causali che organizzano il comportamento di un sistema, non significa poterne prevedere il comportamento futuro. Determinismo e previsione, che sono stati la coppia più stabile nella storia del pensiero moderno, oggi hanno consumato un divorzio, un divorzio che però permette e promette di conoscere sempre meglio il comportamento, la natura dei sistemi viventi, dei sistemi fatti di materia inorganica, non vivente e dei sistemi umani sociali e mentali. STUDENTESSA: Galileo ci insegna che Il libro della natura è scritto in caratteri matematici da codificare. Oggi possiamo sostenere che sia ancora così? CERUTI: La metafora del libro, secondo le intenzioni di Galileo, rimanda a tanti lettori, tanti possibili scienziati, tanti possibili uomini e donne che vogliono conoscere in modo oggettivo la natura, una natura che è scritta però uniformemente, oggettivamente, nello stesso modo per tutti. Forse oggi potremmo sostituire opportunamente l'immagine galileiana del libro con un'immagine evoluta che ci viene proposta dalle nostre tecnologie dell'informazione, magari con un libro interattivo che non è soltanto decifrato, ma che, nel momento in cui è decifrato dalla mente, dall'occhio del lettore, è anche in qualche modo scritto dal lettore. Non è una verità depositata oggettivamente nella natura quella che si rispecchia nella mente del lettore. STUDENTESSA: Professore, dal momento che sono venuti meno i criteri di oggettività assoluta, come facciamo a stabilire se una teoria è veramente valida? CERUTI: Questa è la domanda attorno alla quale si è svolto tutto il dibattito epistemologico, il dibattito scientifico e filosofico intorno alla scienza del Novecento. La grande tradizione epistemologica, per prima nel Novecento, ha cercato di affrontare in modo scientifico questo problem. Ha individuato delle procedure per mettere in piedi una teoria riconosciuta come scientifica, sperimentandola, poi, per stabilirne la verità una volta per tutte. Ma già dal dibattito che è emerso con gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo appena passato i grandi filosofi della scienza hanno messo in discussione l'idea stessa che si possa verificare una teoria una volta per tutte. Karl Popper, uno dei grandi filosofi della scienza novecentesca, ha sostituito all'idea di verificabilità di una teoria scientifica l'idea della sua falsificabilità. Una teoria è scientifica se noi riusciamo ad esplicitare le condizioni con cui possiamo stabilire che essa è falsa. Sembra quasi un paradosso dire che una teoria è scientifica quando si riesca a falsificarla piuttosto che a verificarla, tuttavia è questa l'idea condivisa dagli scienziati e dai filosofi che rende la scienza un'avventura straordinaria del pensiero critico per eccellenza. STUDENTESSA: Professore, quali sono gli elementi esterni che fanno emergere o sommergere determinate teorie scientifiche, ovvero qual è il ruolo che gioca la storia sulla scienza? CERUTI: L'idea che ci si fa della scienza è l'idea di un pensiero, di una forma di conoscenza che noi possiamo isolare dalle condizioni di contesto che l'hanno prodotta, perché, come sosteneva Galileo, quello che contano nella scienza sarebbero le dimostrazioni della matematica e le sensate esperienze, cioè le esperienze che possiamo fare non col buon senso, ma con il controllo dei cinque sensi e dei loro prolungamenti, dispositivi tecnologici che costruiamo in laboratorio. Oggi noi sappiamo che a questi due assi cartesiani individuati da Galileo per definire la conoscenza scientifica, dobbiamo aggiungerne un terzo, che è quello della dimensione caratterizzata dalle preferenze estetiche, dalle convinzioni metafisiche, dall'insieme di desideri e di orizzonti etici o immaginari, che delineano la cultura di un tempo. Ma io credo che a tutto ciò si debba aggiungere una quarta coordinata, costituita dalla dimensione socio-economica, all'interno della quale oggi è possibile lo sviluppo del pensiero scientifico e della ricerca scientifica. Per fare ricerca scientifica sono necessari ingenti finanziamenti per ottenere i quali spesso la ricerca deve perdere la propria obiettività, sottostando alle finalità etiche, politiche ed economiche di uno Stato. STUDENTESSA: Possono coesistere due ideali di scienza, ad esempio quella galileiana e quella di cui stiamo parlando adesso? CERUTI: Non sono due ideali di scienza; sono lo stesso ideale di scienza che oggi si articola in un modo plurale. Ecco, potremmo dire che il metodo di cui si nutre la ricerca scientifica oggi non è unico, come si poteva ritenere possibile e auspicabile al tempo di Galileo, ma anche nel XIX° e all’inizio del XX° secolo; oggi noi possiamo e dobbiamo parlare della scienza come apportatrice di una pluralità di metodi. Ogni oggetto richiede un metodo specifico. L’'illusione dei filosofi della scienza, ancora nel secolo passato, era di pensare che si potesse trasportare lo stesso metodo, che aveva dato buona prova di sé nello studio del movimento dei corpi alla nostra portata o nello studio dei movimenti dei pianeti, allo studio di qualsivoglia oggetto scientifico. Essi pensavano, addirittura, che lo sviluppo e il progresso della scienza si sarebbe potuto ottenere applicando lo stesso metodo a tutti campi della scienza. Poi però la realtà ha imposto le sue ragioni, svelando l’esigenza di più metodi di quanti si potesse pensare. STUDENTESSA: La pratica quotidiana dello scienziato resta invariata ? E le teorie sono più astratte o trovano comunque una loro specifica applicazione? CERUTI: Si, senz'altro il rapporto tra scienza teorica e scienza applicata e soprattutto fra scienza e tecnologia è mutato. La tecnologia segue temporalmente la scoperta scientifica e certamente la scoperta scientifica è stata possibile attraverso la costruzione di tecnologie adeguate, rese possibili dall'esperienza scientifica precedente. In questi anni noi siamo di fronte ad un fenomeno inedito, senz'altro provocatorio per il senso comune: “oggi non è più la scienza che precede sistematicamente la tecnologia, come è avvenuto anche con le grandi scoperte del XX° secolo, piuttosto è la tecnologia a precedere la scienza. Esistono tecnologie rispetto alle quali non abbiamo un pensiero scientifico, una teorizzazione scientifica corrispondente. Pensiamo allo sviluppo delle tecnologie dell'informazione, al dibattito aperto a Hollywood fra gli attori che si sentono rosicchiare la scena da quelli virtuali, costruiti in laboratorio; pensiamo anche allo sviluppo delle biotecnologie. Insomma per la prima volta nella storia umana la tecnologia sopravanza le categorie non soltanto etiche e culturali, ma anche scientifiche, attraverso le quali noi possiamo dare senso alle azioni tecnologiche e agli effetti che queste possono produrre nella natura e nella natura umana. STUDENTESSA: Potrebbe chiarirci meglio in che modo il pensiero scientifico si differenzia dal pensiero comune? CERUTI: Io ho avuto la fortuna di essere allievo del maestro della Psicologia Infantile Jean Piaget, che è stato anche e soprattutto un grande epistemologo, filosofo della scienza. Egli sosteneva che il pensiero scientifico non segue una direzione qualitativamente diversa o addirittura inversa rispetto a quella del pensiero comune. Il pensiero scientifico è una particolare formalizzazione che rende rigorosa una modalità peculiare del pensiero comune. Del resto se osserviamo i bambini agli albori delle loro prime esperienze, li scopriamo dei piccoli scienziati poiché ciò che caratterizza il pensiero scientifico è la curiosità, l'esercizio della curiosità, la formulazione dei problemi, la capacità di stupirci nei confronti di un fatto nuovo, ma anche e soprattutto la capacità di stupirci nuovamente di fronte ad un'esperienza che ci può apparire familiare. È soltanto la curiosità che può nutrire l'esercizio o l'applicazione di un esercizio, di un metodo rigoroso che rispetti il rigore delle deduzioni e il vincolo che ci danno i fatti e che ci vincolano all'esperienza. STUDENTESSA: Che cosa distingue le scienze umane da quelle fisico-naturali? CERUTI: Noi siamo figli di una tradizione che ha separato la cultura umanistica dalla cultura scientifica, o meglio, la tradizione recente ha consumato questo divorzio. Ma non dobbiamo dimenticare che la scienza e lo spirito scientifico sono stati formulati da menti che racchiudevano dentro di loro il meglio della cultura umanistica, il meglio della cultura scientifica del loro tempo. Voi, studiando il Manuale di Storia della Filosofia, scoprite autori che sono stati i giganti della storia del pensiero scientifico e studiando i Manuali poco ispirati da un impianto storico di scienza, di fisica, di biologia, di scienze naturali, trovate citati i nomi di coloro che sono stati alcuni fra i più grandi filosofi della storia moderna europea. Qui ritorniamo al problema del metodo unico o del metodo plurale; tanto era forte la convinzione, soprattutto alla fine dell'Ottocento, che il metodo della scienza potesse e dovesse essere uno ed unico, ossia quello che aveva dato prova di sé nello sviluppo della fisica del Settecento e dell'Ottocento, che quando la comunità degli scienziati cominciò a gettare uno sguardo scientifico sui fenomeni umani, sulle società umane, sulle menti umane, essa cominciò a pensare che si dovesse applicare lo stesso metodo quantitativo, ovvero spezzettando gli oggetti di studio, per poi ricomporli in un insieme dopo averli studiati in ogni singola parte. Si continuò a pensare che il tutto fosse uguale alla somma delle parti, si continuò ad applicare un metodo ispirato all'ideale di riduzione, ossia che la spiegazione dei fenomeni, così come appaiono, potesse essere riducibile all'ideale della meccanica. Oggi noi siamo di fronte ad un fenomeno che capovolge letteralmente questo atteggiamento, poiché la comunità scientifica è ormai convinta che i metodi della scienza devono essere plurali. Ogni oggetto, se vogliamo usare questo termine tradizionale, esige un proprio metodo, ma, soprattutto, ci troviamo di fronte ad un fenomeno per cui le scienze umane, le scienze storiche, stanno dando un contributo importante alle scienze fisiche, alle scienze biologiche. Se c'è una caratteristica che più di ogni altra segna la natura dell'umano e che quindi deve essere oggetto di studio da parte delle scienze umane è la dimensione temporale, è la storia, è il fatto che le cose cambiano, si trasformano. Il tempo, la storia sono stati i grandi esclusi delle scienze naturali, delle scienze fisiche, delle scienze matematiche nella storia della scienza moderna. E anzi la possibilità di escludere la storia, il tempo e il cambiamento dalle teorie scientifiche, è stata riconosciuta come un criterio della bontà delle teorie scientifiche. Bene oggi la storia, la biografia dei sistemi, viventi e non, diventa il protagonista principale anche delle teorie fisiche, delle teorie cosmologiche, delle teorie biologiche. Quindi si stabilisce sempre meglio e sempre più, quello che un grande fisico, ma anche filosofo del XX° secolo, Hilia Prigogine, ha definito “una nuova alleanza fra la natura e la natura umana” e quindi una nuova alleanza fra le scienze dell'uomo e le scienze della natura. STUDENTESSA: Professore, l'epistemolgo sembra essere un osservatore esterno. In realtà quali sono i suoi rapporti con la pratica scientifica? CERUTI: L'epistemologia, cioè la ricerca di conoscenza sul modo in cui si sviluppano le stesse conoscenze scientifiche è stata condotta direttamente dai grandi scienziati. Per una stagione importante, nella prima metà del secolo, senz'altro, è vero, l'epistemologia si è posta come un sapere normativo, esterno, meta-scientifico che ha cercato di individuare in modo astratto dai contesti concreti e dai modi concreti di fare conoscenza scientifica, le norme, le regole, i criteri che fanno o farebbero la scientificità delle nostre teorie. Però i grandi epistemologi del XX° secolo - e cito fra tutti ancora una volta Jean Piaget - hanno rilevato che la caratteristica del pensiero contemporaneo attraverso le sue grandi rivoluzioni, come quella microfisica, relativistica, cosmologica, biologico-evoluzionista, biologico-molecolare e cibernetica, è di avere la dimensione epistemologica internamente alle teorie. Voglio dire che conoscere una particella elementare o la natura del cosmo o i sistemi artificiali, sono domande costitutive dello scienziato in quanto tale. Conoscere e conoscere la conoscenza attraverso la quale si conosce qualcosa, fa parte dello stesso movimento. Non possiamo conoscere nulla di scientificamente profondo oggi senza cercare di conoscere come elaboriamo la nostra conoscenza dell'oggetto che vogliamo conoscere. STUDENTE: Professore, in questi ultimi tempi si parla molto di bioetica; secondo Lei quali sono i rapporti tra la scienza e la morale? CERUTI: Questo è il problema dei problemi, non soltanto per la scienza e per l'etica contemporanea, ma per il futuro stesso della nostra civiltà. Un grande filosofo, della seconda metà del Novecento, Hans Jonas, che ha molto riflettuto sulla natura della morale, ma anche sulla natura della tecnologia e della scienza del Novecento, ha fatto questa affermazione, che chiarisce molto il problema che Lei mi pone: "A causa delle nuove tecnologie rese possibili dalla scienza contemporanea è mutata la natura dell'agire umano".Cosa vuole dire Jonas o più modestamente cosa voglio dire io riprendendo questa citazione? Ancora nel Novecento l'etica, il discorso morale si è potuto fondare su una chiara separazione fra il dominio della verità dipendente dalla conoscenza scientifica e il dominio della riflessione sul bene, che riguarda l'etica, la morale. Spesso il discorso sul bene è stato subordinato al discorso sul vero e il riferimento alla scienza è stato in qualche modo tradotto in una sorta di de-responsabilizzazione rispetto al compito della morale. Si è detto: “la tecnica, la tecnologia è neutra rispetto alla natura e rispetto alla natura umana”. Oggi con ogni evidenza abbiamo a disposizione ricerche scientifiche e soprattutto tecnologie che non possono più essere considerate neutrali, né rispetto alla natura, né rispetto alla natura umana, perché nei laboratori di ricerca, attraverso la tecnologia, esse vengono trasformate così radicalmente che necessariamente impongono una presa di responsabilità. Le domande della bioetica sono sintomi del turbamento introdotto nelle nostre coscienze da tecnologie che in sé non sono buone o cattive, ma che richiedono la nostra responsabilità. Un esempio è dato dalla riflessione sulla clonazione di embrioni umani a scopo terapeutico. Puntata registrata l'11 dicembre 2001
- Prev by Date: UK Royal Soc. e golden rice
- Next by Date: Tre festival ecologisti europei di Italia, Francia e Grecia uniti per la salvaguardia della biodiversità nel "mare nostrum"
- Previous by thread: UK Royal Soc. e golden rice
- Next by thread: Tre festival ecologisti europei di Italia, Francia e Grecia uniti per la salvaguardia della biodiversità nel "mare nostrum"
- Indice: