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gli sciamani delle biotecnologie
- Subject: gli sciamani delle biotecnologie
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 12 Jun 2001 16:31:08 +0200
da boiler.it di lunedi 4 giugno 2001 dal corriere della sera Lunedì 4 Giugno 2001 Gli sciamani delle biotecnologie Le nuove utopie si formano nei laboratori di ricerca. Gli scienziati si credono redentori Le nuove promesse utopiche provenivano dagli istituti di ricerca e dai laboratori di scienze naturali, e poco tempo dopo un fantastico ottimismo ha dominato la scena. Quasi improvvisamente sono tornati tutti i motivi del pensiero utopico: la vittoria su tutte le manchevolezze e su tutte le difficoltà della specie, sull’ignoranza, sul dolore e sulla morte. Improvvisamente molti dicevano che era solo una questione di tempo, sino al momento in cui il miglioramento genetico dell’uomo avrebbe raggiunto lo scopo, la vecchia forma del concepimento, della nascita e della morte sarebbe stata abolita, sino al momento in cui i robot avrebbero posto fine alla maledizione biblica del lavoro, fino a quando l’evoluzione dell’intelligenza artificiale avrebbe posto fine alle spiacevoli manchevolezze. Antichissime fantasie di onnipotenza hanno così trovato un nuovo rifugio nel sistema delle scienze. Non si tratta assolutamente della totalità della produzione del sapere. Sempre più nitidamente si è profilata la posizione egemonica di poche discipline, che dispongono delle risorse determinanti come denaro e attenzione, mentre altre - come la teologia, le scienze letterarie, l’archeologia e sfortunatamente anche la filosofia - svolgono ormai solo un ruolo marginale, per non dire decorativo. Vengono tollerate, sì, stimate, proprio per quel carattere inoffensivo attribuito loro dallo stato e dall’economia. Certamente non bisogna aspettarsi da loro promesse utopiche in questa situazione. Anche determinate discipline delle scienze naturali come la geofisica o la meteorologia conducono un’esistenza piuttosto modesta nell’ombra delle cosiddette scienze guida. Nel Ventesimo secolo questo ruolo è stato attribuito alla fisica teorica. Ormai la biologia ha preso il suo posto, assieme alle scienze informatiche e quelle cognitive, la biologia ha preso il suo posto. Quest’ultima «non ha solo posto fine alla separazione tra ricerca di base e quella ricerca applicata, ma è allo stesso tempo la scienza capitalistica e rivoluzionaria per eccellenza. La biotecnologia è la tecnologia che sta alla base del prossimo grande ciclo economico» (Claus Koch). Risulta evidente che in presenza di un così profondo cambiamento del sistema cognitivo non si può rinunciare alle pretese ideologiche. Se in passato era compito degli sciamani e dei guaritori miracolosi estirpare tutti i mali, oggi se ne occupano biologi molecolari e genetisti; e non sono più i preti a parlare di immortalità, bensì i ricercatori. Le nuove utopie vengono presentate al pubblico con campagne senza eguali e non è un caso che siano spesso scienziati americani a dominare. L’ottimismo endemico, la consapevolezza missionaria e la posizione egemone della superpotenza degli Stati Uniti forniscono a questo scopo il background ideologico. La buona vecchia fede nel progresso, di cui fino a poco tempo fa nessuno voleva sentir parlare, vive così una resurrezione trionfale. Non tutti gli scienziati possono e vogliono abituarsi al loro nuovo ruolo di redentori. Questo ruolo è in contraddizione con tutte le tradizioni dello «scetticismo organizzato» (Robert Merton), della teoria dimostrativa e della semplice cautela. Tuttavia la posizione oggettiva delle istituzioni scientifiche è radicalmente cambiata. Il divario tra la ricerca e la sua valutazione economica si è talmente ridotto, che non è più rimasto molto di quell’indipendenza, di cui si vanta la scienza. Gli enormi investimenti nella ricerca devono fruttare al più presto del reddito; in questo modo studiosi per autodecisione diventano soci e imprenditori del modello scientifico-industriale in forte crescita, che occupa consulenti in materia di brevetti, banche d’emissione, guru finanziari e agenzie di pubbliche relazioni. I flussi di denaro, indipendentemente che si tratti di capitale azionario o sovvenzioni, acuiscono la concorrenza e la pressione dei media. Chi non vuole avere la peggio deve promettere più di quanto non possa mantenere. Una fase maniacale si distingue notoriamente per la perdita sistematica del senso per la realtà. Per questo non c’è da meravigliarsi che esperienze storiche vengano scacciate con l’utopia e che non si prenda atto degli insuccessi. Il «materialismo dialettico» non era considerato nell’Unione Sovietica una base scientifica incontestabile, per non parlare poi delle fantasie eugenetiche del premio Nobel Hermann J. Muller? Chi si ricorda ancora delle promesse di buon auspicio dell’industria atomica negli anni ’50 e ’60.? L’energia nucleare era ritenuta la chiave per il paese del Bengodi dell’energia; non era previsto alcun problema legato all’energia stessa. E come la mettiamo con l’intelligenza artificiale, i cui profeti promisero già 30 anni fa macchine per il passaggio da un millennio all’altro che avrebbero dovuto di gran lunga superare tutte le capacità del nostro cervello? Nessuno confronta queste predizioni con lo scarso risultato, nonostante investimenti miliardari, di quelle tartarughe elettroniche che fanno fatica a superare una scala. Dopo tutto questo l’ingenuità del pubblico e l’ostinazione dei desideri sembrano insormontabili. E’ sempre più difficile riuscire a distinguere tra Big-Science e Science-Fiction. Non è certamente un caso, che una parte della generazione dei ricercatori di oggi, soprattutto negli Stati Uniti, definisca il proprio orizzonte culturale mediante serie televisive come Star Trek. Si farebbe un torto al genere, se gli si volesse attribuire quell’infame ottimismo del gruppo di Frankenstein; infatti nella storia della fantascienza da molto tempo prevale la parte delle utopie negative, che descrivono tutte le pensabili paure del futuro. Non deve sorprendere il fatto che gli evangelisti dell’intelligenza artificiale, dell’ingegneria genetica e della nano-ingegneria prediligano una sola chiave di lettura di queste visioni. Ora, in una fase maniacale - che per l’appunto si distingue proprio per la sua sconsideratezza - le proteste e obiezioni non possono sviluppare un effetto duraturo come sarebbe naturale che fosse. Anche la politica risulta essere perplessa e impotente nei confronti del modello scientifico-industriale. La sua strategia è semplice - mira con abilità al fait accompli (fatto compiuto), al quale la società deve rassegnarsi, indipendentemente da come gli stessi si presentano. Con la stessa abilità viene liquidata ogni obiezione, vista come attacco alla libertà della ricerca, come ostilità inspiegabile verso la scienza e la tecnica e come superstiziosa paura del futuro. Queste sono le affermazioni difensive e le bugie di circostanza che siamo abituati a sentire da parte dei politici di partito e dai lobbisti. In una discussione razionale sono fuori luogo, screditano colui che le porta in campo. Infatti non sono assolutamente solo gli ignoranti o coloro che disprezzano la scienza a diffidare delle sensazionali promesse dell’utopia. Per chi se ne vuole convincere è sufficiente parlare una sera a quattr’occhi con ricercatori competenti provenienti da altre discipline, e si accorgerà che l’ostentata arroganza dei propri colleghi dà profondamente fastidio al cristallografo, all’astrofisico, allo studioso di topologia. Anche nelle scienze biologiche esiste una silenziosa maggioranza, che vede in pericolo la propria immagine e i propri standard. Tuttavia presenta le proprie obiezioni in modo così discreto da non trovare quasi ascolto nei media. In questo rapido sviluppo non manca mai l’accenno alle intenzioni umanitarie, di cui si è vantato ogni progetto utopico, da Campanella fino a Stalin. La coltura di parti di ricambio umane è un imperativo terapeutico, il disco fisso dei computer garantisce l’immortalità della coscienza, il desiderio di avere dei figli rappresenta un diritto assoluto dell’uomo, eccetera. L’interesse, peraltro comprensibilissimo, da parte dei genitori di avere dei figli perfetti ha lo scopo di favorire l’evoluzione della specie, e persino la soppressione dell’uomo, di cui sognano gli esponenti dell’intelligenza artificiale, serve a uno scopo evolutivo più elevato - una versione del darwinismo, che lo stesso Darwin non avrebbe certamente trovato divertente. Alla fantasia non vengono in ogni caso posti dei limiti. Il segreto verrà svelato al più tardi quando a tali motivazioni si aggiungerà la preoccupazione per i sacrosanti posti di lavoro e per la competitività del «presidio» - un termine che non a caso deriva dall’ambiente militare. Tutto sommato si tratta di una serie di tentativi di golpe a freddo, con l’obiettivo di evidenziare tutti i processi decisionali democratici. La scienza fusa con l’industria si presenta come causa di forza maggiore, che dispone del futuro della società. E’ in procinto di creare una terza natura, un processo che essenzialmente si svolge come un processo naturale, con la differenza che l’energia necessaria non proviene dall’ambiente, ma dal capitale senza freni. I protagonisti più impertinenti spiegano a tutti coloro che vogliono starli a sentire, di non essere assolutamente disposti ad accettare le restrizioni previste dalla legge. Proclamano apertamente di essere intenzionati a proseguire con le loro attività, se necessario, seguendo l’esempio di coloro che riciclano il denaro sporco e dei trafficanti di armi, in quelle zone in cui non si conosce il termine scrupoli e non si devono temere sanzioni. Già per tutti questi motivi le solite discussioni sulla biopolitica e sulla tecnopolitica sembrano stranamente naïf e indifese, nonostante le qualità scolastiche. Nel caso di tutte queste congregazioni, commissioni e consigli di esperti che si diffondono ovunque, si nota che alla forza della realtà - che giorno per giorno stabilisce le proprie regole - non hanno nient’altro da opporre al di fuori dei loro rispettivi pareri. Mentre gli uni si presentano come semplici lobbisti del proprio gruppo d’interessi gli altri cercano, con varie motivazioni, di salvare il salvabile. Anche il legislatore, indeciso tra riserve profondamente radicate e imperativi della concorrenza globale, è solo in grado di prendere decisioni ad hoc , che già al momento della proclamazione vengono travolte dalle nuove possibilità d’intervento da parte della scienza. Dato di fatto è che non vi è assolutamente più alcun consenso etico nelle questioni fondamentali dell’esistenza umana. I dibattiti sulla cosiddetta eutanasia attiva e sulle possibilità di una selezione genetica dovrebbero aver convinto anche quelli più in buona fede di questo risultato. In questo modo il singolo si vede respinto su una posizione, alla quale è venuto a mancare ogni conforto morale. Non può più delegare ad alcuna autorità vincolante una serie di decisioni esistenziali. Non può più fare affidamento né sulla politica né sulle religioni esistenti, quando si tratta dei suoi primari interessi vitali. Queste sono pretese eccessive per le quali la maggior parte delle persone non sarebbe all’altezza. Ma finché ogni individuo ha la libertà di non ricorrere alle scoperte, promesse dal modello scientifico-industriale, vale a dire in una fase di transizione, ha ancora la possibilità di dire: non sono d’accordo. In ogni caso fino a questo momento è ancora permesso fare a meno delle madri in affitto, degli xenotrapianti, dei cloni e delle selezioni prenatali. Ma tutti coloro che scelgono questa strada della legittima difesa, devono però rendersi conto del prezzo del proprio rifiuto, e anche questo probabilmente è più facile a dirsi che a farsi. Chi però pensa che tali scelte individuali finiscano in una reciproca tolleranza, chi crede che sia possibile far valere senza conflitti e senza violenza le idee utopistiche di molti scienziati e dei loro alleati economici, soccombe a una illusione. Ogni esperienza storica dimostra il contrario. Non solo le inevitabili delusioni, che seguono l’euforia di ogni fase maniacale come un’ombra porranno un limite al fatalismo progressista. Anche lì dove la ricerca industriale genera veramente dei successi, bisogna aspettarsi pesanti conflitti. Al più tardi quando si manifesteranno i primi danni collaterali del processo scientifico e verranno alla luce i primi imprevedibili rischi su vasta scala, una minoranza ridotta al silenzio opporrà resistenza. E’ strano che i protagonisti del processo non siano in alcun modo preparati a tutto ciò. Tutto sommato non ci vuole molta fantasia per prevedere che i primi contraccolpi porteranno a una mobilitazione attiva. Se persino gli animalisti sono capaci di reazioni terroristiche, che forme assumerà la resistenza quando non si tratterà più di rischi astratti o lotte tra rappresentanti, ma della propria pelle, del concepimento, della nascita e della morte? E’ senz’altro pensabile che certe ricerche saranno possibili solo in zone di massima sicurezza e che un considerevole numero di scienziati, trincerati in fortezze difese con le armi, dovrà temere per la propria vita. Ovviamente con questo non è detto che una minoranza decisa a tutto sarebbe in grado di arrestare il processo o addirittura di annullarlo. In fin dei conti l’utopia del completo controllo sulla natura e sull’uomo non fallirà a causa dei suoi oppositori, come è successo con tutte le utopie fino a ora, ma a causa delle proprie contraddizioni e della sua megalomania. L’umanità non si è mai congedata liberamente dalle proprie fantasie di onnipotenza. Solo quando la hybris (prevaricazione dell'uomo nei confronti degli altri uomini, della natura, degli dei, ndr ) avrà iniziato il proprio cammino, il comprendere i propri limiti prenderà - per necessità - il sopravvento, probabilmente a un prezzo catastrofico. In quel momento anche una scienza che rispettiamo e con la quale possiamo convivere avrà nuovamente una possibilità. (
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