S.O.S ghiacciai alpini: perso il 50% del loro volume.



S.O.S ghiacciai alpini:
perso il 50% del loro volume.  www.wwf.it

In occasione della III Conferenza Internazionale delle Aree Protette Alpine
(Parco Nazionale Kalkalpen, Austria - dal 7 al 9 giugno), il WWF Italia
rilancia la necessità di proseguire l'attività di conservazione delle Alpi
(ecoregione prioritaria per il WWF Internazionale) attraverso anche la
programmazione di interventi diffusi che mitighino l'impatto dei cambiamenti
climatici.

L'incontro austriaco sarà l'occasione per stilare un bilancio delle attività
svolte e traccerà un percorso programmatico per il futuro, che non potrà
prescindere, ad esempio, dalla disamina del fenomeno di accelerazione del
ritiro dei ghiacciai che da una quindicina di anni si sta verificando nel
Centro - Europa. Le cause sono attribuite appunto ai rapidi cambiamenti
climatici causati dall'uomo, attraverso il massiccio utilizzo di
combustibili fossili e la riduzione della superficie forestale mondiale. Per
molti ghiacciai vi sono prove che hanno raggiunto le dimensioni minime
registrate negli ultimi 5.000 anni. Secondo la campagna '99 del Comitato
Glaciologico Italiano, che ha esaminato un campione di 157 dei circa 1.400
ghiacciai italiani, nel corso del 1999 quasi tutti i ghiacciai si sono
ridotti e il calo è proseguito anche nel 2000. Arretramenti record rispetto
al 1998 si sono registrati per il ghiacciaio Rosole, del bacino
dell'Adda-Po: i metri di ghiaccio perso sono stati ben 135. Cali vistosi
anche per il ghiacciaio nord occidentale di Balanselmo (Dora Baltea-Po)
(-117,5 metri), quello di Tribolazione (Dora Baltea-Po) (-61,5 metri). Quasi
tutti i ghiacciai analizzati hanno manifestato un consistente
ridimensionamento.

I ghiacciai alpini hanno perso circa il 50% del loro volume. Secondo i dati
della campagna di monitoraggio effettuata dall'Istituto Italiano di
Glaciologia, e presentati alla fine del 2000, l'estensione dei ghiacciai
italiani si è ridotta alla metà nell'ultimo secolo, da 1000 km² a 500 km².
Tale riduzione può provocare fenomeni erosivi e frane, minacciando molti
insediamenti urbani. Si possono ipotizzare fenomeni simili a quelli accaduti
fra 15.000 e 10.000 anni fa, quando il ritiro dei ghiacciai alpini causò
enormi disastri modificando radicalmente la morfologia di vaste aree.

SETTORE PIEMONTESE-VALDOSTANO - Nelle Alpi marittime continua il progressivo
disfacimento delle poche unità glaciali rimaste, sulle quali è stato
rilevato un innevamento residuo nullo. Anche nelle Alpi Cozie il ritiro è
generalizzato. Si segnala in particolare la formazione di tavole glaciali e
di un laghetto frontale sul ghiacciaio dell'Agnello. Lo scenario non cambia
sulle Alpi Graie meridionali, dove crolli di tunnel subglaciali ed
ampliamenti di finestre rocciose sono ulteriori sintomi della perdita di
massa globale in atto. Anche sulle Alpi Pennine si registra un forte
regresso. Il ghiacciaio dei Jumeaux ha subìto, nella sua intera massa, uno
scivolamento verso il basso che potrebbe preludere ad un disastroso crollo,
data la mancanza di aderenza al substrato roccioso. Ritiro generalizzato per
il gruppo del Monte Rosa; la fronte del Lys è ormai arretrata anche rispetto
al minimo del 1971, condizione mai osservata dal 1812. Crolli alla fronte
del ghiacciaio settentrionale delle Loccie hanno creato o ingrandito una
notevole porta glaciale.

SETTORE LOMBARDO - Anche nel 1999 si è registrato un generalizzato ritiro
dei ghiacciai lombardi, mentre nessun apparato registra la minima avanzata.
Alla fine della stagione estiva, oltre 20 ghiacciai campione si sono trovati
fortemente penalizzati nella zona di accumulo o, addirittura, risultano
completamente sprovvisti di neve residua, con conseguenti perdite di massa
che hanno interessato anche il nevaio ed il ghiaccio sottostante. Il limite
delle nevi risale pertanto inesorabilmente e si trova alcune centinaia di
metri al di sopra delle quote raggiunte negli ultimi decenni. Come
conseguenza diretta, interi apparati si trovano completamente al di sotto
del limite annuo delle nevi.

SETTORE TRIVENETO - Nel Gruppo Adamello-Presanella, i valori di arretramento
frontale sono apparsi anche quest'anno compresi quasi ovunque tra 10 e 20
metri, con un picco di 25,5 metri per il Meridionale di Cornisello. Le più
significative situazioni negative dell'intero settore si sono comunque
verificate per il versante trentino ed altoatesino del Gruppo
Ortles-Cevedale. In Val di Pejo si sono, infatti, riscontrati (dal 1977)
70,5 metri di arretramento alla fronte della Vedretta Rossa e 42 alla vicina
Vedretta Venezia. Sulle Dolomiti, i controlli alle tre fronti del ghiacciaio
della Marmolada hanno evidenziato, oltre al persistere di valori notevoli di
ritiro lineare, anche l'insorgere di importanti modificazioni dell'apparato.

Un ulteriore indicatore dei mutamenti climatici in corso lungo l'arco alpino
è costituito dalle cosiddette "Abetine", i boschi di Abete bianco (Abies
alba) distribuiti in tutto il Centro - Europa, laddove cioè le condizioni
climatiche sono fredde o temperate. Le "Abetine" hanno ricolonizzato le aree
alpine 12 mila anni fa, dopo l'ultima glaciazione. Attualmente, a causa del
Global warming, ma anche dall'intervento dell'uomo, gli Abeti bianchi, pur
conservando una buona presenza in alcune zone (sono distribuiti, in maniera
discontinua e spesso presenti in piccoli nuclei, in alcune località
specialmente nel settore orientale), sono soggetti a una forma di
deperimento biologico (fenomeno del Tannesterben) che ne sta determinando la
progressiva rarefazione fino all'estinzione locale.

Nella Regione veneta gli abeti bianchi si trovano in provincia di Trieste
(Selva di Piro), nel goriziano, sulle Alpi Carniche e in Carnia. Nuclei
residui si trovano presso Tarvisio e sulle Alpi bellunesi. In Trentino e
nell'Alto Adige attualmente le Abetine sono ovunque sporadiche. In Lombardia
sono presenti nel bresciano e nel bergamasco, un tempo sicuramente più
diffuse come risulta da testimonianze storiche.

Roma, 06 - 06 - 01