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la via di mercato alla biodiversita'
- Subject: la via di mercato alla biodiversita'
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 23 May 2001 18:42:42 +0200
dal manifesto di mercoledi 16 maggio 2001 La "via di mercato" alla biodiversità TERRATERRA di MARINA FORTI - Udite, udite. The Economist, il più autorevole organo del capitalismo mondiale, dedica la copertina dell'ultimo numero, e un interessante reportage, a "come salvare le foreste tropicali". Il primo dei commenti editoriali, quello su cui il giornale mette più enfasi, spiega in modo ineccepibile l'urgenza di proteggere la biodiversità: ecosistemi diversificati - afferma - proteggono i bacini idrici, la piovosità, i terreni, la produzione di cibo. "I costi della deforestazione sono ormai sentiti sotto forma di clima alterato, siccità, inondazioni, frane, erosione dei suoli. Il risultato è sofferenza umana ed economica su larga scala". L'editoriale aggiunge che "riforestare sarà la sola risposta, ma le piantagioni non hanno la stessa utilità di foreste diversificate che sono il prodotto di migliaia d'anni di evoluzione". Perfetto, è quello che sostengono da tempo tutti gli ambientalisti. Per farsi capire meglio dal suo lettore-tipo, l'editorialista dell'Economist paragona i benefici di un'ampia diversità biologica ai vantaggi di un portafoglio di investimenti diversificato: "Le specie, come le azioni, sono diverse le une dalle altre e rispondono diversamente agli eventi esterni"... Fa impressione vedere argomenti ambientalisti ripresi con tanta convinzione da un giornale che ha sempre fatto del mercato e del profitto la sua religione. E infatti, il punto è come salvare le foreste tropicali: per fortuna, scrive The Economist, "la coscienza del valore della biodiversità si afferma di pari passo con la scoperta di modi per renderlo redditizio senza distruggerlo". Insomma, si può sfruttare le risorse naturali senza devastarle, anzi: usare le risorse in modo sostenibile può perfino essere conveniente in termini di profitto. (Bisogna ammetterlo: molte politiche sensate dal punto di vista ambientale si affermano solo se, e quando, si dimostrano utili anche dal punto di vista economico). L'Economist argomenta con l'esempio del Brasile, dove la deforestazione del 14% della parte brasiliana dell'Amazzonia, in gran parte negli ultimi 30 anni, "è stata un disastro economico tanto quanto ambientale". Già: e non solo perché la deforestazione alla cieca significa abbattere tutti gli alberi per poi abbandonare quelli che non hanno valore commerciale. C'è anche il fatto che fino a tempi recenti un sistema di incentivi favoriva la distruzione di foreste per riconvertire i terreni all'agricoltura. Ma le terre ricavate distruggendo la foresta non sono produttive, quindi molti deforestano, intascano il sussidio e poi abbandonano la terra, oppure usano finte aziende agricole per coprire proventi di altre attività facendoli passare per reddito agricolo (esentasse). Il risultato è che ci sono oggi 165mila chilometri quadri di terra deforestata e abbandonata in Amazzonia. Secondo l'indagine dell'Economist, la riduzione degli incentivi e sgravi fiscali ha fatto sì che ora il terreno coperto da foresta intatta vale il 40% più del terreno denudato. "La foresta ben preservata è un bene che, gestito correttamente, può dare un buon reddito per sempre". E' ben vero che molte aziende del legname ormai preferiscono applicare i criteri della "foresteria sostenibile" - che significa dividere gli appezzamenti di foresta in almeno 30 settori, ogni anno si taglia uno e poi si lascia stare per 29 anni; inoltre tagliare solo gli alberi utili (e mai quelli più vecchi), in modo che la foresta si rigeneri. Questo permette di ottenere la certificazione di organismi internazionali come il Forest Stewardship Council, e nei paesi acquirenti di legno tropicale sono sempre di più i consumatori disposti a comprare (e pagare di più) solo legno "certificato". Il governo brasiliano potrebbe accelerare la transizione alla foresteria sostenibile concedento licenze solo a chi applica questi criteri, azzarda l'Economist. Se poi riuscisse a controllare anche la corruzione e il non rispetto delle leggi, "il Brasile potrebbe anche ispirare altri paesi tropicali a seguirne l'esempio". Sarà "la via di mercato" alla protezione della biodiversità? Purtroppo, tagliare incentivi e sussidi agricoli, o promuovere le certificazioni ambientali, non è bastato a rallentare la deforestazione: l'anno scorso (citiamo sempre dal settimanale britannico) è stata analoga al 1998 e al '99.
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