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uomini maiali e genoma
- Subject: uomini maiali e genoma
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 28 Apr 2001 19:54:13 +0200
da repubblica di giovedi 26 aprile 2001 noi uomini i maiali la grande paura: Intervista con il bioetico alex mauron giovanni maria pace ---------------------------------------------------------------------------- ---- Dietro la paura del transgenico - ovvero degli organismi geneticamente modificati, tema stasera della trasmissione di Celentano - c'è qualcosa di diverso dalla preoccupazione per la salute (che milioni di americani conservano nonostante mangino da anni mais ingegnerizzato). C'è quella che il biologo Alex Mauron, docente di bioetica alla Facoltà di medicina di Ginevra, chiama «metafisica del genoma», una religione che ha nel Dna il suo dio e nel rispetto dell'ordine genetico il suo catechismo. La religione genomica è nata nel momento in cui gli scienziati sono passati dallo studio dei singoli geni alla decrittazione dell'intero materiale genetico umano: è in quella svolta che il genoma diviene oggetto di rappresentazione collettiva e di venerazione, con conseguenze anche pratiche. Professor Mauron, qual è la base della nuova religione? «La metafisica del genoma postula che il complesso dei tratti ereditari rappresenti la vera matrice del nostro "essere umani". Il genoma è visto insomma come lo zoccolo duro, l'essenza prima della nostra natura. A livello individuale, avere un genoma - il mio genoma - che fa sì che io sia io; a livello collettivo, avere un genoma di un certo tipo - di tipo umano - fa sì che lei e io siamo entrambi degli umani. Dico subito che non condivido questa ipòstasi del Dna, ma è interessante analizzarne le conseguenze sul modo di affrontare molte questioni bioeticamente "calde"». Una di queste è lo «statuto» dell'embrione umano. Lei condivide la tesi che l'individuo abbia inizio fin dalla fecondazione? «È una tesi che ha quale sostrato teorico una mescolanza abbastanza curiosa di tomismo e di biologia molecolare: assemblaggio a prima vista paradossale poiché Tommaso d'Aquino diceva, seguendo in questo Aristotele, che l'anima razionale appare non subito ma dopo diverse settimane dal concepimento. Il magistero cattolico resuscita il tomismo ma lo corregge iniettandovi un po' di biologia moderna. Un teologo cattolico, il belga Jean - François Malherbe, afferma che il quadro teorico di Tommaso è giusto ma manca degli elementi scientifici corretti. In mancanza del microscopio e quindi nell'impossibilità di osservare lo sviluppo della vita prenatale prima dei quaranta giorni, limite oltre il quale l'embrione comincia ad assumere una forma grossomodo umana, era logico pensare che forma e apparenza coincidessero. L'Aquinate ritiene quindi che l'embrione riceva un'anima razionale e spirituale nel momento in cui acquista l'apparenza esterna dell'essere umano, diventa cioè un homunculus. Per noi, oggi, la forma è invece qualcosa di superficiale e ciò che conta è il genoma, cioè la formazione di un genoma diploide a opera dei gameti maschile e femminile. Per questo molti teologi cattolici credono sinceramente che la scienza abbia provato come l'anima umana cominci al concepimento». Lo schema ha indubbiamente una sua forza di persuasione. «Già. Ma c'è l'obiezione dei gemelli identici. Prendiamo due gemelli omozigoti adulti, Arturo e Andrea. Sono incontestabilmente persone differenti. Immaginiamo che io sia Arturo e che pensi a me stesso a ritroso nel tempo, a quando ero all'università, al kindergarten, nel ventre di mia madre. Fin dove posso spingermi? Fino allo zigote, posso cioè pensare a me quand'ero un uovo fecondato. Ma mio fratello gemello può arrivare anch'egli a dire: ero un uovo fecondato. L'uovo è però lo stesso e quindi sorge una contraddizione logica: se Arturo ha una identità personale distinta da Andrea, non può dire di essere la stessa persona rappresentata dallo zigote di partenza; né può farlo, specularmente, Andrea. Il paradosso mostra che la nozione di identità personale non può essere congruente altro che con la nozione di identità genomica, la quale è stabilita dall'apparizione di un nuovo genoma». Parliamo degli aspetti collettivi della metafisica del genoma. «Il fatto che possediamo un genoma umano ci definisce come umani invece che come esseri murini, scimmieschi o altro. L'assioma rinvia a una concezione tipologica della specie, o meglio all'idea platonica di Uomo, Animale, Albero, in cui gli individui sono semplici materializzazioni delle diverse categorie. Le categorie platoniche sono peraltro importanti nella nostra visione del mondo e soprattutto nel rapporto prescientifico con la natura, rapporto che chiede che le querce siano querce, i cedri siano cedri e così via. La visibilità conferita al genoma dalla biologia molecolare rafforza questo platonismo: avere un genoma umano è essenzialmente diverso dall'avere un genoma di topo o di drosofila. Da qui l'idea che, se cominci a mischiare i genomi, l'ordine del mondo è minacciato. Nella campagna per il referendum sull'ingegneria genetica che abbiamo avuto in Svizzera mi sono spesso sentito chiedere, a proposito dello xenotrapianto: se mettiamo dei geni umani nel maiale, avremo un maiale umanizzato, un essere metà uomo e metà suino, oppure un umano suinizzato? Dietro la domanda c'è l'idea che i geni sono "anima" nel senso aristotelico della parola, cioè ingrediente che partecipa, da una parte, dell'umanità e, dall'altra, della porcinità: se li mischi, hai per forza qualcosa di mostruoso». Questa angoscia da ibridazione innaturale, che la «mucca pazza» ha accresciuto trasformando gli erbivori in carnivori, mi pare trovi espressione persino nella vostra Carta costituzionale. «Sì, nella Costituzione svizzera è entrato - caso per ora unico - il principio che bisogna rispettare non solo la dignità umana ma anche la "dignità delle creature"». Il timore che la ricombinazione del Dna violi l'ordine divino spiega la diffusa avversione per gli organismi geneticamente modificati? «Sì, almeno a livello subliminale. La critica esplicita chiama in causa i rischi del transgenico e la minaccia che questo rappresenta per le risorse del terzo mondo. Ma la preoccupazione per la salute non mi sembra possa da sola spiegare una così forte opposizione. Se si trattasse davvero di igiene alimentare, la questione degli "ogm" verrebbe affrontata in modo pragmatico, chiedendo controlli e verifiche. Se ne vuole invece il bando totale, senza fare distinzioni». Max Delbrueck, il fisico che lei cita in un articolo su Science, notava come la nozione di programma genetico provenga dall'elettronica. «È vero, ed è un'origine anch'essa rivelatrice. Se pensi al genoma come a un programma informatico, cadi nel determinismo più estremo. La metafisica del genoma ha tra gli altri difetti quello di alimentare una visione ingenuamente riduzionistica dell'effetto dei geni sul fenotipo: sei quello che i tuoi geni ti fanno essere né hai modo di sottrarti alla tirannia del Dna». Che le pare dell'ipotesi del filosofo tedesco Peter Sloterdijk, il quale prevede che antropotecnologie o terapie geniche tendenti a creare una razza umana più docile sostituiranno i tradizionali metodi di educazione? «Sloterdijk è un simpatico provocatore, ma non ha tutti i torti. Anch'io trovo paradossale che l'idea di ingegnerizzare il Dna delle generazioni future susciti orrore mentre quella di cambiare ai giovani il cervello tramite l'educazione sia unanimemente accettata. Sloterdijk propone che la formattazione dei giovani tramite la scuola, le ideologie, le religioni sia completata da una formattazione biologica. Personalmente non prendo posizione, altro che per notare come la metafisica genomica sia entrata nella cultura». È un bene o un male? «L'apparizione del genoma sulla scena culturale cambia qualcosa, ma non sappiamo che cosa. Conviene dunque limitarsi ad annunciare l'apertura di un nuovo cantiere filosofico».
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