uomini maiali e genoma



da repubblica di giovedi 26 aprile 2001


noi uomini
i maiali 

la grande paura: Intervista con il bioetico alex mauron

giovanni maria pace 

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Dietro la paura del transgenico - ovvero degli organismi geneticamente
modificati, tema stasera della trasmissione di Celentano - c'è qualcosa di
diverso dalla preoccupazione per la salute (che milioni di americani
conservano nonostante mangino da anni mais ingegnerizzato). C'è quella che
il biologo Alex Mauron, docente di bioetica alla Facoltà di medicina di
Ginevra, chiama «metafisica del genoma», una religione che ha nel Dna il
suo dio e nel rispetto dell'ordine genetico il suo catechismo. La religione
genomica è nata nel momento in cui gli scienziati sono passati dallo studio
dei singoli geni alla decrittazione dell'intero materiale genetico umano: è
in quella svolta che il genoma diviene oggetto di rappresentazione
collettiva e di venerazione, con conseguenze anche pratiche.
Professor Mauron, qual è la base della nuova religione?
«La metafisica del genoma postula che il complesso dei tratti ereditari
rappresenti la vera matrice del nostro "essere umani". Il genoma è visto
insomma come lo zoccolo duro, l'essenza prima della nostra natura. A
livello individuale, avere un genoma - il mio genoma - che fa sì che io sia
io; a livello collettivo, avere un genoma di un certo tipo - di tipo umano
- fa sì che lei e io siamo entrambi degli umani. Dico subito che non
condivido questa ipòstasi del Dna, ma è interessante analizzarne le
conseguenze sul modo di affrontare molte questioni bioeticamente "calde"».
Una di queste è lo «statuto» dell'embrione umano. Lei condivide la tesi che
l'individuo abbia inizio fin dalla fecondazione?
«È una tesi che ha quale sostrato teorico una mescolanza abbastanza curiosa
di tomismo e di biologia molecolare: assemblaggio a prima vista paradossale
poiché Tommaso d'Aquino diceva, seguendo in questo Aristotele, che l'anima
razionale appare non subito ma dopo diverse settimane dal concepimento. Il
magistero cattolico resuscita il tomismo ma lo corregge iniettandovi un po'
di biologia moderna. Un teologo cattolico, il belga Jean - François
Malherbe, afferma che il quadro teorico di Tommaso è giusto ma manca degli
elementi scientifici corretti. In mancanza del microscopio e quindi
nell'impossibilità di osservare lo sviluppo della vita prenatale prima dei
quaranta giorni, limite oltre il quale l'embrione comincia ad assumere una
forma grossomodo umana, era logico pensare che forma e apparenza
coincidessero. L'Aquinate ritiene quindi che l'embrione riceva un'anima
razionale e spirituale nel momento in cui acquista l'apparenza esterna
dell'essere umano, diventa cioè un homunculus. Per noi, oggi, la forma è
invece qualcosa di superficiale e ciò che conta è il genoma, cioè la
formazione di un genoma diploide a opera dei gameti maschile e femminile.
Per questo molti teologi cattolici credono sinceramente che la scienza
abbia provato come l'anima umana cominci al concepimento».
Lo schema ha indubbiamente una sua forza di persuasione.
«Già. Ma c'è l'obiezione dei gemelli identici. Prendiamo due gemelli
omozigoti adulti, Arturo e Andrea. Sono incontestabilmente persone
differenti. Immaginiamo che io sia Arturo e che pensi a me stesso a ritroso
nel tempo, a quando ero all'università, al kindergarten, nel ventre di mia
madre. Fin dove posso spingermi? Fino allo zigote, posso cioè pensare a me
quand'ero un uovo fecondato. Ma mio fratello gemello può arrivare anch'egli
a dire: ero un uovo fecondato. L'uovo è però lo stesso e quindi sorge una
contraddizione logica: se Arturo ha una identità personale distinta da
Andrea, non può dire di essere la stessa persona rappresentata dallo zigote
di partenza; né può farlo, specularmente, Andrea. Il paradosso mostra che
la nozione di identità personale non può essere congruente altro che con la
nozione di identità genomica, la quale è stabilita dall'apparizione di un
nuovo genoma».
Parliamo degli aspetti collettivi della metafisica del genoma.
«Il fatto che possediamo un genoma umano ci definisce come umani invece che
come esseri murini, scimmieschi o altro. L'assioma rinvia a una concezione
tipologica della specie, o meglio all'idea platonica di Uomo, Animale,
Albero, in cui gli individui sono semplici materializzazioni delle diverse
categorie. Le categorie platoniche sono peraltro importanti nella nostra
visione del mondo e soprattutto nel rapporto prescientifico con la natura,
rapporto che chiede che le querce siano querce, i cedri siano cedri e così
via. La visibilità conferita al genoma dalla biologia molecolare rafforza
questo platonismo: avere un genoma umano è essenzialmente diverso
dall'avere un genoma di topo o di drosofila. Da qui l'idea che, se cominci
a mischiare i genomi, l'ordine del mondo è minacciato. Nella campagna per
il referendum sull'ingegneria genetica che abbiamo avuto in Svizzera mi
sono spesso sentito chiedere, a proposito dello xenotrapianto: se mettiamo
dei geni umani nel maiale, avremo un maiale umanizzato, un essere metà uomo
e metà suino, oppure un umano suinizzato? Dietro la domanda c'è l'idea che
i geni sono "anima" nel senso aristotelico della parola, cioè ingrediente
che partecipa, da una parte, dell'umanità e, dall'altra, della porcinità:
se li mischi, hai per forza qualcosa di mostruoso».
Questa angoscia da ibridazione innaturale, che la «mucca pazza» ha
accresciuto trasformando gli erbivori in carnivori, mi pare trovi
espressione persino nella vostra Carta costituzionale.
«Sì, nella Costituzione svizzera è entrato - caso per ora unico - il
principio che bisogna rispettare non solo la dignità umana ma anche la
"dignità delle creature"».
Il timore che la ricombinazione del Dna violi l'ordine divino spiega la
diffusa avversione per gli organismi geneticamente modificati?
«Sì, almeno a livello subliminale. La critica esplicita chiama in causa i
rischi del transgenico e la minaccia che questo rappresenta per le risorse
del terzo mondo. Ma la preoccupazione per la salute non mi sembra possa da
sola spiegare una così forte opposizione. Se si trattasse davvero di igiene
alimentare, la questione degli "ogm" verrebbe affrontata in modo
pragmatico, chiedendo controlli e verifiche. Se ne vuole invece il bando
totale, senza fare distinzioni».
Max Delbrueck, il fisico che lei cita in un articolo su Science, notava
come la nozione di programma genetico provenga dall'elettronica.
«È vero, ed è un'origine anch'essa rivelatrice. Se pensi al genoma come a
un programma informatico, cadi nel determinismo più estremo. La metafisica
del genoma ha tra gli altri difetti quello di alimentare una visione
ingenuamente riduzionistica dell'effetto dei geni sul fenotipo: sei quello
che i tuoi geni ti fanno essere né hai modo di sottrarti alla tirannia del
Dna».
Che le pare dell'ipotesi del filosofo tedesco Peter Sloterdijk, il quale
prevede che antropotecnologie o terapie geniche tendenti a creare una razza
umana più docile sostituiranno i tradizionali metodi di educazione?
«Sloterdijk è un simpatico provocatore, ma non ha tutti i torti. Anch'io
trovo paradossale che l'idea di ingegnerizzare il Dna delle generazioni
future susciti orrore mentre quella di cambiare ai giovani il cervello
tramite l'educazione sia unanimemente accettata. Sloterdijk propone che la
formattazione dei giovani tramite la scuola, le ideologie, le religioni sia
completata da una formattazione biologica. Personalmente non prendo
posizione, altro che per notare come la metafisica genomica sia entrata
nella cultura».
È un bene o un male?
«L'apparizione del genoma sulla scena culturale cambia qualcosa, ma non
sappiamo che cosa. Conviene dunque limitarsi ad annunciare l'apertura di un
nuovo cantiere filosofico».