california dream: blackout



dal manifesto di giovedi 22 marzo 2001
  
 
 California dream, cala il blackout 
In California, una crisi energetica dal sapore antico: blackout,
razionamento delle risorse, bollette salate. Così lo stato in cui si
producono i sogni hollywoodiani, quello dell'abbondanza, della febbre
dell'oro e di Silicon Valley rischia di rimanere senza luce. Una crisi che
restituisce l'immagine di un paese al contempo primitivo e tecnologico e
che affonda le sue radici negli anni Trenta quando la costruzione delle
dighe sul Columbia, voluta da Roosevelt e cantata da Woody Guthrie,
distrusse l'ecosistema fluviale portando con sé una storia di morte 
SARA ANTONELLI - PORTLAND (OREGON) 




Lo scorso 15 marzo, una nuova convergenza "bipartisan" - la seconda dopo
quella che ha visto dieci rappresentanti democratici schierarsi a favore
del piano fiscale proposto da G. W. Bush - ha consentito al Senato degli
Stati Uniti di intervenire nella crisi energetica che da mesi attanaglia la
California. Nonostante il parere contrario del presidente, il Senato ha
infatti accolto la richiesta dei senatori Diane Feinstein (democratica,
California) e Gordon Smith (repubblicano, Oregon) che da tempo chiedevano
un intervento federale che fissasse un tetto massimo al prezzo
dell'elettricità che viene venduta alla California e agli stati del
Nord-Ovest (Oregon e Washington). "Credo nel libero mercato", ha dichiarato
il senatore Smith, "ma se il mercato va all'aria è nostro dovere
intervenire". A ben guardare, tuttavia, non è il mercato ad essere andato
all'aria; anzi, mai come in questa occasione le sue leggi interne hanno
dimostrato di funzionare con matematica precisione. A saltare sono state le
ex aziende pubbliche californiane che lo smantellamento del monopolio
statale dell'energia iniziato nel 1996 ha trasformato da produttrici a mere
distributrici. Infatti, contrariamente a ogni più fosca previsione, il
clima sempre più caldo, la scarsità di precipitazioni e la crescita del
fabbisogno elettrico determinato dal boom economico-informatico di Silicon
Valley hanno costretto le stesse aziende a far fronte all'aumento della
domanda ricorrendo all'acquisto - ma a prezzi di mercato - di energia
elettrica prodotta altrove. Resta da capire per quale motivo la crisi della
California abbia coinvolto anche uno stato ricco di risorse come l'Oregon,
al punto di spingere il senatore repubblicano Smith ad andare contro il
parere di Bush.

Tutto ha origine nel 1933, quando il neopresidente Franklin Delano
Roosevelt autorizzò la costruzione di un sistema di irrigazione che
sfruttasse le acque del Columbia, il maestoso fiume che dalle montagne del
Canada scende verso gli Usa per diventare confine naturale tra lo stato di
Washington e quello dell'Oregon. Il mercato era crollato nel 1929 e gli
agricoltori erano in fuga dalle Grandi Pianure inaridite dalle coltivazioni
intensive, dal vento e dalla siccità che avevano colpito Oklahoma e Kansas
già dal 1930. Ai migranti che attraversavano il paese in cerca di territori
verdi e di una nuova vita - gli stessi di cui leggiamo in Furore (1939) di
John Steinbeck, che vediamo nei reportage fotografici di Margaret Bourke
White per la rivista Life e di cui ci canta Woody Guthrie nelle Dust Bowl
Ballads (1940) - Roosevelt poté offrire non solo un lavoro nei cantieri
della diga di Bonneville - la prima delle 14 dighe costruite con fondi
federali lungo il Columbia (che in complesso, comprese quelle private e
quelle disposte lungo i suoi affluenti, ne conta ben 400), situata a circa
quaranta miglia a Est di Portland - ma anche pascoli e terreni coltivabili
che promettevano di materializzarsi in aree al momento ancora aspre e
desertiche.

Il progetto di Roosevelt, tuttavia, non si limitava a realizzare i sogni
degli agricoltori del Nord-Ovest - che accarezzavano l'idea di una grande
sistema di irrigazione già dal secolo precedente - né a offrire una
speranza ai migliaia di diseredati vittime delle tempeste di polvere. Scopo
ultimo del sistema di dighe concepito dagli ingegneri dell'esercito era
infatti la produzione, la distribuzione e la vendita a prezzi convenienti
di energia elettrica, sia ai cittadini, sia alle industrie. Non sorprende,
allora, che la costruzione della diga di Bonneville sia diventata un
simbolo di rinascita, né che la società che gestì il cantiere (la
Bonneville Power Administration), avesse deciso di compattare il paese
attorno alla spettacolare diga ingaggiando autori, attori e musicisti, tra
cui Woody Guthrie. Dopo aver abbandonato le secche dell'Oklahoma e aver
seguito i migranti alla ricerca di casa e lavoro, Guthrie si recò infatti a
Bonneville, tra gli edili che lavoravano ininterrottamente lungo le acque
maestose del Columbia, per assistere a una nuova tappa dell'epopea americana.
Le Columbia River Ballads, la raccolta di 26 canzoni che nel 1941 Guthrie
avrebbe derivato dal suo soggiorno in Oregon e Washington, cantano un
paesaggio completamente diverso da quello che aveva ispirato il compositore
delle Dust Bowl Ballads. La fine del mondo che nel Sud-Ovest colpito dalla
siccità pareva tremenda e inevitabile, nel nuovo disco si stempera lungo le
acque di un fiume che lava via le privazioni, la fame e il senso di
impotenza: "Verdi pascoli dell'abbondanza dalla terra arida e deserta/Dalla
Grand Coulee Dam dove scendono le acque/Noi migranti siamo stati in tutti
gli Stati dell'Unione/Abbiamo partecipato in questa lotta e combatteremo
fino a quando non avremo vinto" ("Pastures of Plenty"). Lungo il fiume
Guthrie può infatti dispiegare la sua versione del sublime tecnologico
americano: la Gran Coulee Dam, la più grande di tutte le dighe, sposa "il
re Columbia", che scorrendo verso il Pacifico "fa un po' di lavoro anche
per me" ("The Grand Coulee Dam"). Uomo, natura e tecnologia si fondono
anche in "Roll On Columbia", una canzone che vede Guthrie allinearsi con i
titoli di molte riviste dell'epoca (The New Republic, Newsweek, Nation,
Harper's) per i quali la Grand Coulee Dam rappresentava "l'ottava
meraviglia del mondo". Non si tratta né di un giardino, né di una torre,
come pare vi siano in altre parti del mondo, ma di una diga appena
costruita "nella bella terra dello zio Sam" da uomini ingegnosi che hanno
domato la forza della natura: "L'acqua passa schizzando attraverso la diga/
Gocciola in tutti i territori/ La centrale elettrica canta, il generatore
frigna/ Lungo la collina scendono grossi cavi elettrici/ L'elettricità sta
dappertutto... ed è più a buon mercato dell'acqua piovana".
L'entusiasmo per la diga di Bonneville coinvolse naturalmente anche il suo
primo ispiratore. All'inaugurazione del settembre del 1937, cui volle
essere presente, Roosevelt pronunciò infatti un discorso estremamente
efficace, soprattutto agli occhi di chi oggi volesse rileggerlo alla luce
dei blackout provocati dalla deregulation californiana: "Più studiamo le
risorse idriche della nostra nazione, più diventiamo consapevoli del fatto
che il loro sfruttamento è una questione di interesse nazionale e che nei
progetti finalizzati a tale sfruttamento dobbiamo includere sia le grandi
aree, sia le piccole comunità... Oggi, nell'osservare la diga di Bonneville
non posso evitare di riflettere sul fatto che invece di spendere metà delle
nostre entrate in armi da guerra, come fanno alcune altre nazioni, noi, in
America siamo più saggi e destiniamo le nostre risorse a progetti come
questo che porteranno più benessere, migliori condizioni di vita e maggiore
felicità ai nostri figli".
Diversamente da quanto accaduto con la Tennessee Valley Authorithy, il
primo grande progetto di bonifica territoriale dell'era Roosevelt, le dighe
sul Columbia sono passate indenni attraverso accuse di socialismo formulate
da chi vedeva nel monopolio statale dell'energia una intromissione dello
stato nell'economia, nonché un deterrente per la libera impresa. Fino ad
oggi esse hanno infatti continuato a produrre il 60% del fabbisogno
elettrico di tutto il Nord-Ovest. Anzi, fino a ieri. Alle porte di
un'estate che i meteorologi prevedono essere torrida anche i lussureggianti
Oregon e Washington, ovvero i due stati dai quali una California ormai
priva di risorse elettriche statali ha acquistato buona parte del suo
fabbisogno elettrico, cominciano a temere il peggio: il livello di Lake
Roosevelt, il più grande deposito idrico di tutto il complesso di dighe del
Nord-Ovest è già sceso sotto il livello di guardia. Ciò che si è verificato
in California potrebbe dunque ripetersi altrove? Ma è possibile che si
verifichino blackout proprio nei due stati Usa in cui scorrono le acque di
un fiume maestoso e ricco di risorse come il Columbia? Quanto costerebbe
alle casse di questi due stati comprare l'elettricità dal Texas, oppure dal
North Carolina?

Ne La scoperta dell'America (1894) Cesare Pascarella descriveva
l'impazienza di Colombo e dei suoi marinai dinanzi a un continente che
tardava a palesarsi con due efficacissimi versi: "Guarda... riguarda... Hai
voja a slungà er collo/ L'America era sempre più lontana". Da allora,
naturalmente, l'America è diventata più vicina; restano intatti, tuttavia,
la meraviglia e lo stupore dinanzi alla distanza che sporadicamente
sentiamo aprirsi tra noi e "l'America". Mi riferisco, naturalmente, ai soli
Stati Uniti, al paese che pensiamo tutti di conoscere bene, se non altro
perché mangiamo il loro stesso cibo, sentiamo la loro musica, guardiamo la
loro televisione. E' proprio dagli Usa, infatti, che periodicamente
giungono notizie che ci sorprendono al punto da far traballare le nostre
certezze. Da un parte, la messa in accusa del presidente Clinton a causa di
una relazione segreta con una donna più giovane ci ha spinto a riflettere,
prima ancora che sui motivi politici di quell'attacco così violento, sul
peso dell'eredità puritana nel paese che per noi incarna la libertà
sessuale; dall'altra, la sopravvivenza di un sistema elettorale arcaico,
farraginoso e niente affatto democratico (i cittadini statunitensi,
infatti, non eleggono direttamente il loro presidente) ci ha fatto
scoprire, tra le altre cose, che negli Usa esiste un'aristocrazia i cui
membri possono contare su una vasta rete di amici e parenti strategicamente
piazzati nelle stanze del potere. Oggi a lasciarci senza parole è una crisi
energetica dal sapore antico: blackout, razionamento delle risorse,
bollette salate. Come è possibile che lo stato in cui si producono i sogni
(Hollywood), quello dell'abbondanza (la febbre dell'oro) e della tecnologia
(Silicon Valley), stia rischiando di rimanere senza luce? Sembra di essere
finiti nel medioevo, oppure in Chinatown (1974) di Roman Polanski, laddove
una Los Angeles anni Quaranta rimane senza acqua a causa di trame e
interessi malavitosi (e non sono pochi a sospettare che dietro alla crisi
elettrica della California si celi un complotto perpetrato da affaristi
senza scrupoli); invece è tutto vero e sta accadendo adesso.

Tre mesi fa, al fine di descrivere il pasticcio elettorale americano Marco
d'Eramo ha sottolineato come gli Usa siano al contempo tecnologici e
primitivi. Due settimane fa Alessandro Portelli ci ha raccontato di come il
giardino americano per eccellenza, la quieta Concord, in Massachusetts - la
culla della civiltà letteraria del New England, una cittadina circondata da
boschi, laghi e fiumi in cui l'obiettore di coscienza Henry David Thoreau
poteva fuggire allo scopo di rigenerarsi nella natura incontaminata - sia
ora un luogo di morte, una sorta di giardino avvelenato del tutto simile
allo scenario malsano descritto in "La figlia di Rappaccini", un racconto
inquietante di Nathaniel Hawthorne, un altro autore che conosceva bene
Concord. Oggi la crisi energetica della California e la sorprendente
diramazione oregoniana sembrano confermare entrambi i copioni: non solo
perché la crisi ci riporta davanti agli occhi un paese che è al complesso
primitivo e tecnologico, ma soprattutto perché a guardare meglio al passato
possiamo rinvenire un altro giardino avvelenato, nonché le vestigia di una
guerra ancora tanto vicina. Infatti, il forte slancio ideale che negli anni
Trenta ha consentito l'avvio dei cantieri che hanno dato vita alle dighe
sul Columbia porta con sé anche una storia di morte. Tra il 1937 e il 1941
né Roosevelt, né Guthrie potevano immaginare che il sistema idroelettrico
del Columbia avrebbe comportato sia la distruzione dell'ecosistema
fluviale, sia un'irrecuperabile moria di salmoni, sia il definitivo
allontanamento delle popolazioni native ancora presenti sul territorio. Né
che nel 1943 gli agricoltori stabilitisi ad Hanford, la cittadina nello
stato di Washington che dal 1941 aveva beneficiato delle irrigazioni
provenienti dalla Gran Coulee Dam, sarebbero stati cacciati in massa dalle
loro nuove abitazioni per far posto a una fabbrica segretissima presso cui
alcuni scienziati legati al Manhattan Project avrebbero presto costruito la
bomba atomica sganciata su Nagasaki. Ma, nonostante quanto detto a
Bonneville nel 1937, di quello che accadeva a Hanford almeno Roosevelt sapeva.