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I gendarmi del clone
- Subject: I gendarmi del clone
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 2 May 2000 11:27:36 +0200
dal manifesto di venerdi 21 aprile 2000 I gendarmi del clone In Italia, un disegno di legge consente la clonazione animale e vieta quella umana. Ma tace le differenze tra la clonazione per fini riproduttivi, rifiutata anche dai ricercatori, e quella per fini terapeutici CARLO ALBERTO REDI SILVIA GARAGNA MAURIZIO ZUCCOTTI * L a presenza di carabinieri in laboratori di ricerca universitari o la carcerazione di vitelli, rei di essere cloni, non dovrebbe più, entro breve, fornire materiale per notizie da prima pagina. Lo schema di legge, elaborato dal gruppo di lavoro sulla clonazione presieduto da Leonardo Santi (13 aprile 1999) per il ministro della sanità, permette infatti di praticare clonazione animale per ricerca scientifica e per fini applicativi, quali la produzione farmacologica e zootecnica. Resta il divieto assoluto per la clonazione umana, per fini riproduttivi o terapeutici, con pesanti sanzioni penali per chi non rispetta il divieto. Questo in breve il contenuto del documento se verrà fatto proprio dal parlamento senza apportare modifiche. Ora, i commenti alla proposta si pongono a diversi livelli, ma a nostro giudizio e per le nostre competenze due sono di particolare rilievo: il primo riguarda il processo di formazione di un tale documento, potremmo dire il modus ponens adottato dal ministro, ma più in generale il modo con il quale vengono a generarsi proposte di tale rilevanza. Il secondo livello è relativo a ciò che la comunità scientifica nel suo complesso potrà fare per la ricerca di base, per produrre avanzamenti nelle conoscenze scientifiche e per la loro traduzione in applicazioni terapeutiche. La definizione del problema non è così complicata come potrebbe apparire, se viene accettato come prerequisito che tutti i cittadini che dibattono, o si interessano del problema, condividano il significato dei termini. A ciascuno, poi, spetta la libertà di calare nella propria visione etica i contenuti oggettivi del problema e magari anche di cambiare il risultato finale, proprio in virtù dell'etica di riferimento. Ma sui contenuti non possono essere ammessi gradi di libertà o la formazione di coacervi sentimentali emozionali che offuschino la visione, cosa che accade regolarmente nei massmedia. Come prima cosa deve essere chiaro che stiamo parlando di vita biologica, animale e umana, e che la vita è vita, nel senso che un biologo trova ridicolo porre delle tappe, degli stadi in cui si dice qui è vita e qui no. Lo spermatozoo, l'embrione, il feto, l'adulto, il senescente sono tappe di un programma di sviluppo, tutte sono vita, ma è diverso il livello di sviluppo del progetto. Si può arbitrariamente stabilire una data, ma solo quale risultato di un consenso emerso da un percorso valutativo di tipo culturale, etico e sociale. Secondo punto: la comunità, la società deve stabilire quando ciascuna di queste tappe divenga soggetto di diritti e di quali. Ultimo punto, il significato del termine clonazione riproduttiva è totalmente diverso da quello di clonazione terapeutica: nel primo caso si ha infatti la generazione di un individuo, mentre nel secondo si tratta di generare cellule e tessuti geneticamente identici a quelli dell'individuo che ha fornito il materiale biologico. Chiariti questi punti, il commento è certamente legato a come si è arrivati alla redazione di questo documento. Fatto salvo che il gruppo di lavoro è composto da colleghi capaci ed esperti, ciò che sconcerta è il fatto che di clonazione si occupi solo e soltanto il ministero della sanità, e la totale assenza nel dibattito del ministero per l'università e la ricerca scientifica e tecnologica. Assenza che viene da lontano, visto che oggi non gli viene neppure riconosciuto il ruolo di interlocutore negli articoli dedicati alla clonazione umana e c'è solo un suo rappresentante, confuso con tanti altri, nella commissione di valutazione delle attività sperimentali di clonazione animale. Un po' poco per il ministero preposto alla produzione di cultura e conoscenza scientifica, troppo poco per l'Accademia che di questo dibattito dovrebbe essere il garante della neutralità delle posizioni e dei dati necessari per collocare dialetticamente un tema particolare in un problema generale, il dettaglio nell'universalità del concetto e nell'oggettività dei processi biologici. Tutto questo è tanto più vero perché le problematiche relative alla clonazione e alle sue applicazioni non sono certo di sola pertinenza sanitaria. Questo è senza dubbio un punto cruciale, e ne consegue che lo schema di disegno legge inquadra in una comune trattazione la clonazione umana e quella animale, sebbene siano cosa distinta, come recita l'apertura dell'articolo 1. Il testo finisce così per essere prigioniero di un'impostazione ideologica tutta centrata sulla proibizione di impiegare un reagente biologico umano, proibizione condivisibile, ma pagando il prezzo di qualche vistosa forzatura: da una parte una problematica tutta di aspetto sanitario e dall'altra la clonazione umana vista solo come riproduttiva. Se si fosse arrivati a questa soluzione grazie a una appropriata informazione ai cittadini, le cose sarebbero ben diverse. Ma non è avvenuto nulla di tutto questo: non una campagna per spiegare alla gente che cosa oggi si può fare e per quali scopi lo si può fare, ma, al contrario, solo una campagna per far capire alla gente quello che si è deciso di permettere. In molti altri paesi industrializzati l'iter è stato esattamente opposto: prima ci si è preoccupati di dare gli strumenti concettuali e le nozioni necessarie al formarsi di opinioni autonome, poi sulla base del consenso più ampio possibile si è passati a legiferare. E vale ribadire che stiamo parlando di tematiche che possono avere ripercussioni epocali sul vivere di una società, quindi un tale sforzo è doveroso. L'esempio della Svizzera è istruttivo: prima sono stati informati i cittadini, poi sono stati consultati e, successivamente, si è passati a promulgare delle norme, vedi gli ultimi due referendum, sulle biotecnologie e sulla procreazione assistita. Il commento sui contenuti va poi distinto tra quelli sulla clonazione animale e quelli sulla clonazione umana. Sulla clonazione animale, le norme sono tali da permettere la ricerca di base; in questo caso il gruppo di lavoro ha recepito appieno, e di ciò ne siamo grati, le richieste avanzate dalla comunità scientifica. Sulla clonazione umana il divieto è assoluto, e condivisibile, per la clonazione riproduttiva. Ma l'impianto del documento non esplicita mai riferimenti a quella terapeutica. E' chiaro che anche questa debba intendersi proibita poiché "sono proibite attività dirette alla commercializzazione o all'offerta di gameti, di cellule somatiche di embrioni o di altro materiale genetico umano a fini di clonazione così come intesa nella definizione che apre il presente documento: produzione di embrioni geneticamente identici ottenuti mediante replicazione non sessuata di un unico altro essere vivente umano, a qualsiasi stadio del suo sviluppo e della sua vita - a partire dallo zigote, cellula uovo fecondata, prima di iniziare il processo di segmentazione o dopo la sua morte - nonché le relative forme di pubblicità". E la mancanza di un chiaro riferimento a quella terapeutica è il principale problema posto dal testo nella sua attuale versione. E' infatti chiaro che la comunità scientifica internazionale non è interessata a sciocchezze come quella della clonazione riproduttiva, non è su questo terreno che vi saranno confronti. Il terreno su cui si misureranno i dubbi e le angosce è altro e può essere chiarito nei termini della seguente domanda: la nostra società ritiene che i problemi etici sollevati dall'impiego di questa pratica siano tali da non accettarne l'uso nonostante i vantaggi terapeutici? Oppure giudica i vantaggi terapeutici superiori ai problemi etici? La società inglese sembra rispondere positivamente a questa ultima domanda: una commissione presieduta da Liam Donaldson, direttore generale della sanità, ha elaborato un documento che consente l'impiego a fini di ricerca degli embrioni prodotti in sovrannumero nel corso delle pratiche di fecondazione assistita. In questa direzione si sarebbe espresso lo stesso Leonardo Santi in una recente dichiarazione rilasciata alle agenzie. In Gran Bretagna si arriverà quindi a permettere l'uso di embrioni già esistenti, quelli nella fase di preimpianto sull'utero, per generare cellule staminali, ovvero per produrre dei tessuti utili alla terapia cellulare per la rigenerazione e il recupero funzionale dell'osso, della cartilagine, del muscolo e del sistema nervoso. E' chiaro che patologie ereditarie o traumatiche quali la osteoporosi, la osteoartrite, l'infarto, l'obesità, patologie degenerative come Alzheimer e Parkinson, e traumatiche del sistema nervoso e del muscolo trovano un ulteriore scenario di trattamento. Certo, è necessario spiegare che non saranno fabbricate copie umane: in Italia, ancora oggi si pensa che clonazione terapeutica sia sinonimo di creazione di individui clonati. Non è chiaro che in realtà si tratta di clonare delle cellule. Non è stato spiegato che per attuare una clonazione terapeutica si deve produrre un clone da utilizzare come sorgente per generare cellule staminali utili per la terapia cellulare, e che questo clone viene impiegato entro i primi 14 giorni di sviluppo. Oggi non siamo ancora in grado di ottenere cellule staminali in quantità apprezzabile se non per questa via. Vogliamo usare solo gli embrioni già prodotti in soprannumero nel corso di programmi di fecondazione assistita e che non verrebbero comunque utilizzati? Le alternative non mancano, ma certo non possono dare risultati nell'immediato. Lo stato di avanzamento della ricerca sul differenziamento cellulare è molto buono - in Italia abbiamo ricercatori che sono esperti internazionali nel settore - ed è possibile isolare le poche cellule staminali che sono ancora presenti in varie parti del corpo di un adulto, eliminando così il problema etico. Nell'immediato però solo la permanenza nel gamete femminile, il contatto con il citoplasma dell'oocita è in grado di ricreare lo stato di pluripotenzialità e persino di totipotenzialità di un nucleo somatico, requisito necessario per la produzione di cellule embrionali staminali, mentre l'impiego di cellule uovo di altre specie non ha prodotto i risultati sperati. A oggi non conosciamo quali siano le molecole e i meccanismi coinvolti nella de-differenziazione e re-differenziazione del genoma somatico successivamente al suo trasferimento nell'ooplasma. Quindi sappiamo produrre queste cellule, ma il prezzo è il dubbio etico. In futuro l'alternativa potrà essere l'impiego di cellule staminali recuperate dal paziente stesso o l'utilizzo di cellule del cordone ombelicale del paziente - che è ricco di cellule staminali - congelate alla nascita. Il Giappone si pone in una situazione molto chiara a questo proposito: sta per essere approvata una legge che proibisce il reimpianto in utero di cloni ma vi è libertà di sperimentazione sugli embrioni clonati nella fase di preimpianto, sulla base di linee guida di comportamento elaborate dal ministero per la scienza e la tecnologia. L'intento è quello di proibire tassativamente la clonazione umana riproduttiva ma senza perdere le opportunità che emergono da quella terapeutica. Solo un'informazione accurata e una riflessione attenta sulle possibilità che l'impiego di queste tecniche offrono oggi sia nel campo della ricerca che della loro applicazione clinica, potranno permettere al nostro paese di prendere serenamente decisioni di importanza estrema per la società del domani, scevre da tempeste emotive che certamente non aiutano a inquadrare correttamente i problemi etici. * Carlo Alberto Redi e Silvia Garagna, Laboratorio di biologia dello sviluppo, università di Pavia, Maurizio Zuccotti, Dipartimento di medicina sperimentale, università di Parma
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