I gendarmi del clone



dal manifesto di venerdi 21 aprile 2000

I gendarmi del clone
In Italia, un disegno di legge consente la clonazione animale e vieta
quella umana. Ma  tace le differenze tra la clonazione per fini
riproduttivi, rifiutata anche dai ricercatori, e  quella per fini terapeutici
CARLO ALBERTO REDI

SILVIA GARAGNA MAURIZIO ZUCCOTTI *


L a presenza di carabinieri in laboratori di ricerca universitari o la
carcerazione di vitelli, rei di essere cloni, non dovrebbe più, entro breve,
fornire materiale per notizie da prima pagina. Lo schema di legge,
elaborato dal gruppo di lavoro sulla clonazione presieduto da Leonardo
Santi (13 aprile 1999) per il ministro della sanità, permette infatti di
praticare clonazione animale per ricerca scientifica e per fini applicativi,
quali la produzione farmacologica e zootecnica. Resta il divieto assoluto
per la clonazione umana, per fini riproduttivi o terapeutici, con pesanti
sanzioni penali per chi non rispetta il divieto. Questo in breve il
contenuto del documento se verrà fatto proprio dal parlamento senza
apportare modifiche.
Ora, i commenti alla proposta si pongono a diversi livelli, ma a nostro
giudizio e per le nostre competenze due sono di particolare rilievo: il
primo riguarda il processo di formazione di un tale documento,
potremmo dire il modus ponens adottato dal ministro, ma più in
generale il modo con il quale vengono a generarsi proposte di tale
rilevanza. Il secondo livello è relativo a ciò che la comunità scientifica
nel suo complesso potrà fare per la ricerca di base, per produrre
avanzamenti nelle conoscenze scientifiche e per la loro traduzione in
applicazioni terapeutiche. La definizione del problema non è così
complicata come potrebbe apparire, se viene accettato come
prerequisito che tutti i cittadini che dibattono, o si interessano del
problema, condividano il significato dei termini. A ciascuno, poi, spetta
la libertà di calare nella propria visione etica i contenuti oggettivi del
problema e magari anche di cambiare il risultato finale, proprio in virtù
dell'etica di riferimento. Ma sui contenuti non possono essere ammessi
gradi di libertà o la formazione di coacervi sentimentali emozionali che
offuschino la visione, cosa che accade regolarmente nei massmedia.
Come prima cosa deve essere chiaro che stiamo parlando di vita
biologica, animale e umana, e che la vita è vita, nel senso che un
biologo trova ridicolo porre delle tappe, degli stadi in cui si dice qui è
vita e qui no. Lo spermatozoo, l'embrione, il feto, l'adulto, il senescente
sono tappe di un programma di sviluppo, tutte sono vita, ma è diverso il
livello di sviluppo del progetto. Si può arbitrariamente stabilire una
data, ma solo quale risultato di un consenso emerso da un percorso
valutativo di tipo culturale, etico e sociale. Secondo punto: la comunità,
la società deve stabilire quando ciascuna di queste tappe divenga
soggetto di diritti e di quali. Ultimo punto, il significato del termine
clonazione riproduttiva è totalmente diverso da quello di clonazione
terapeutica: nel primo caso si ha infatti la generazione di un individuo,
mentre nel secondo si tratta di generare cellule e tessuti geneticamente
identici a quelli dell'individuo che ha fornito il materiale biologico.

Chiariti questi punti, il commento è certamente legato a come si è
arrivati alla redazione di questo documento. Fatto salvo che il gruppo di
lavoro è composto da colleghi capaci ed esperti, ciò che sconcerta è il
fatto che di clonazione si occupi solo e soltanto il ministero della
sanità, e la totale assenza nel dibattito del ministero per l'università e
la ricerca scientifica e tecnologica. Assenza che viene da lontano, visto
che oggi non gli viene neppure riconosciuto il ruolo di interlocutore negli
articoli dedicati alla clonazione umana e c'è solo un suo rappresentante,
confuso con tanti altri, nella commissione di valutazione delle attività
sperimentali di clonazione animale. Un po' poco per il ministero
preposto alla produzione di cultura e conoscenza scientifica, troppo poco
per l'Accademia che di questo dibattito dovrebbe essere il garante della
neutralità delle posizioni e dei dati necessari per collocare
dialetticamente un tema particolare in un problema generale, il
dettaglio nell'universalità del concetto e nell'oggettività dei processi
biologici. Tutto questo è tanto più vero perché le problematiche relative
alla clonazione e alle sue applicazioni non sono certo di sola pertinenza
sanitaria.

Questo è senza dubbio un punto cruciale, e ne consegue che lo schema
di disegno legge inquadra in una comune trattazione la clonazione
umana e quella animale, sebbene siano cosa distinta, come recita
l'apertura dell'articolo 1. Il testo finisce così per essere prigioniero di
un'impostazione ideologica tutta centrata sulla proibizione di impiegare
un reagente biologico umano, proibizione condivisibile, ma pagando il
prezzo di qualche vistosa forzatura: da una parte una problematica
tutta di aspetto sanitario e dall'altra la clonazione umana vista solo
come riproduttiva. Se si fosse arrivati a questa soluzione grazie a una
appropriata informazione ai cittadini, le cose sarebbero ben diverse. Ma
non è avvenuto nulla di tutto questo: non una campagna per spiegare
alla gente che cosa oggi si può fare e per quali scopi lo si può fare, ma,
al contrario, solo una campagna per far capire alla gente quello che si è
deciso di permettere.
In molti altri paesi industrializzati l'iter è stato esattamente opposto:
prima ci si è preoccupati di dare gli strumenti concettuali e le nozioni
necessarie al formarsi di opinioni autonome, poi sulla base del consenso
più ampio possibile si è passati a legiferare. E vale ribadire che stiamo
parlando di tematiche che possono avere ripercussioni epocali sul vivere
di una società, quindi un tale sforzo è doveroso. L'esempio della
Svizzera è istruttivo: prima sono stati informati i cittadini, poi sono
stati consultati e, successivamente, si è passati a promulgare delle
norme, vedi gli ultimi due referendum, sulle biotecnologie e sulla
procreazione assistita. Il commento sui contenuti va poi distinto tra
quelli sulla clonazione animale e quelli sulla clonazione umana.
Sulla clonazione animale, le norme sono tali da permettere la ricerca di
base; in questo caso il gruppo di lavoro ha recepito appieno, e di ciò ne
siamo grati, le richieste avanzate dalla comunità scientifica. Sulla
clonazione umana il divieto è assoluto, e condivisibile, per la clonazione
riproduttiva. Ma l'impianto del documento non esplicita mai riferimenti a
quella terapeutica. E' chiaro che anche questa debba intendersi proibita
poiché "sono proibite attività dirette alla commercializzazione o
all'offerta di gameti, di cellule somatiche di embrioni o di altro
materiale genetico umano a fini di clonazione così come intesa nella
definizione che apre il presente documento: produzione di embrioni
geneticamente identici ottenuti mediante replicazione non sessuata di
un unico altro essere vivente umano, a qualsiasi stadio del suo sviluppo
e della sua vita - a partire dallo zigote, cellula uovo fecondata, prima di
iniziare il processo di segmentazione o dopo la sua morte - nonché le
relative forme di pubblicità". E la mancanza di un chiaro riferimento a
quella terapeutica è il principale problema posto dal testo nella sua
attuale versione. E' infatti chiaro che la comunità scientifica
internazionale non è interessata a sciocchezze come quella della
clonazione riproduttiva, non è su questo terreno che vi saranno
confronti.

Il terreno su cui si misureranno i dubbi e le angosce è altro e può
essere chiarito nei termini della seguente domanda: la nostra società
ritiene che i problemi etici sollevati dall'impiego di questa pratica siano
tali da non accettarne l'uso nonostante i vantaggi terapeutici? Oppure
giudica i vantaggi terapeutici superiori ai problemi etici? La società
inglese sembra rispondere positivamente a questa ultima domanda: una
commissione presieduta da Liam Donaldson, direttore generale della
sanità, ha elaborato un documento che consente l'impiego a fini di
ricerca degli embrioni prodotti in sovrannumero nel corso delle pratiche
di fecondazione assistita. In questa direzione si sarebbe espresso lo
stesso Leonardo Santi in una recente dichiarazione rilasciata alle
agenzie. In Gran Bretagna si arriverà quindi a permettere l'uso di
embrioni già esistenti, quelli nella fase di preimpianto sull'utero, per
generare cellule staminali, ovvero per produrre dei tessuti utili alla
terapia cellulare per la rigenerazione e il recupero funzionale dell'osso,
della cartilagine, del muscolo e del sistema nervoso. E' chiaro che
patologie ereditarie o traumatiche quali la osteoporosi, la osteoartrite,
l'infarto, l'obesità, patologie degenerative come Alzheimer e Parkinson,
e traumatiche del sistema nervoso e del muscolo trovano un ulteriore
scenario di trattamento. Certo, è necessario spiegare che non saranno
fabbricate copie umane: in Italia, ancora oggi si pensa che clonazione
terapeutica sia sinonimo di creazione di individui clonati. Non è chiaro
che in realtà si tratta di clonare delle cellule. Non è stato spiegato che
per attuare una clonazione terapeutica si deve produrre un clone da
utilizzare come sorgente per generare cellule staminali utili per la
terapia cellulare, e che questo clone viene impiegato entro i primi 14
giorni di sviluppo.

Oggi non siamo ancora in grado di ottenere cellule staminali in quantità
apprezzabile se non per questa via. Vogliamo usare solo gli embrioni
già prodotti in soprannumero nel corso di programmi di fecondazione
assistita e che non verrebbero comunque utilizzati? Le alternative non
mancano, ma certo non possono dare risultati nell'immediato. Lo stato
di avanzamento della ricerca sul differenziamento cellulare è molto
buono - in Italia abbiamo ricercatori che sono esperti internazionali nel
settore - ed è possibile isolare le poche cellule staminali che sono
ancora presenti in varie parti del corpo di un adulto, eliminando così il
problema etico. Nell'immediato però solo la permanenza nel gamete
femminile, il contatto con il citoplasma dell'oocita è in grado di ricreare
lo stato di pluripotenzialità e persino di totipotenzialità di un nucleo
somatico, requisito necessario per la produzione di cellule embrionali
staminali, mentre l'impiego di cellule uovo di altre specie non ha
prodotto i risultati sperati. A oggi non conosciamo quali siano le
molecole e i meccanismi coinvolti nella de-differenziazione e
re-differenziazione del genoma somatico successivamente al suo
trasferimento nell'ooplasma. Quindi sappiamo produrre queste cellule,
ma il prezzo è il dubbio etico.

In futuro l'alternativa potrà essere l'impiego di cellule staminali
recuperate dal paziente stesso o l'utilizzo di cellule del cordone
ombelicale del paziente - che è ricco di cellule staminali - congelate alla
nascita. Il Giappone si pone in una situazione molto chiara a questo
proposito: sta per essere approvata una legge che proibisce il
reimpianto in utero di cloni ma vi è libertà di sperimentazione sugli
embrioni clonati nella fase di preimpianto, sulla base di linee guida di
comportamento elaborate dal ministero per la scienza e la tecnologia.
L'intento è quello di proibire tassativamente la clonazione umana
riproduttiva ma senza perdere le opportunità che emergono da quella
terapeutica.
Solo un'informazione accurata e una riflessione attenta sulle possibilità
che l'impiego di queste tecniche offrono oggi sia nel campo della ricerca
che della loro applicazione clinica, potranno permettere al nostro paese
di prendere serenamente decisioni di importanza estrema per la società
del domani, scevre da tempeste emotive che certamente non aiutano a
inquadrare correttamente i problemi etici.

* Carlo Alberto Redi e Silvia Garagna, Laboratorio di biologia dello
sviluppo, università di Pavia, Maurizio Zuccotti, Dipartimento di
medicina sperimentale, università di Parma