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Rifondazione su biotecnologie
- Subject: Rifondazione su biotecnologie
- From: "Giuseppe Ricciardi" <velarossa at tiscalinet.it>
- Date: Sun, 13 Feb 2000 19:12:21 +0100
-----Messaggio originale----- Da: Davide Bertok <bert.hawk at tiscalinet.it> A: pck-free at peacelink.it <pck-free at peacelink.it> Data: giovedì 16 dicembre 1999 20.54 >Cari amici, >vi mando, per conoscenza, le posizioni di Rifondazione Comunista >(Commissione Agraria Nazionale, resp. Vincenzo Aita) su biotecnologie, >agricoltura, lavoro agricolo, consumatori e ambiente. Su questi temi stiamo >organizzando un Convegno europeo per il 28 gennaio del 2000, a Roma, cui >inviteremo tutti coloro che su questi temi lavorano per costruire un >approccio alternativo. >Manderò alla lista ulteriori dettagli in merito quanto prima. Intanto, la >base di discussione per l’iniziativa. >Grazie a tutti >Sara Fornabaio > >PS >Per ogni ulteriore informazione su questi temi, potete contattare >direttamente il responsabile agricoltura,, Vincenzo Aita (tel. 06 44182271). > > >PER LA DIFESA DELL'AGRICOLTURA, DELL'AMBIENTE E DEI CONSUMATORI > >Premessa >Questo documento si inserisce nel dibattito in corso nella sinistra sociale >(movimenti ambientalisti, sindacali, consumeristici, sociali) in merito al >modello agroalimentare dominante, dibattito che ha trovato sbocchi operativi >nel movimento di opposizione alle colture transgeniche in Italia e al > >fenomeno «mucca pazza» e al modello globalizzante Mc Donald’s (negli altri >Paesi europei). >L’obiettivo comune, per quanto variamente perseguito, è quello di una >sanità, salubrità e sicurezza alimentare oggi poco o male garantita. > >L’analisi relativa al settore agricolo, sviluppata dai diversi soggetti, >anch’essa frammentaria e parziale, ha comunque alcuni elementi comuni nel >tentare di privilegiare, contro l’agricoltura industriale dominante, >un’agricoltura non intensiva che sappia valorizzare sia la risorsa >ambientale che il lavoro umano. >Alla vigilia di un accordo sul commercio mondiale che sembra chiudere >definitivamente molte possibilità di manovra e prefigurare un indirizzo >fortemente liberista per le società di tutto il pianeta, è necessario >perseguire l’unificazione degli obiettivi e l’apertura di un dibattito che >renda meno parziali le analisi sino ad ora svolte. >L’iniziativa lanciata dall’associazione Michele Mancino il 28 ottobre presso >l’ex albergo Bologna per la valorizzazione dell’agricoltura e dell’ ambiente, >in opposizione alle linee del cosiddetto pensiero unico che desidera solo >uniformità e privatizzazione del patrimonio agro-genetico degli esseri >viventi, si pone questo obiettivo, cercando di perseguire il traguardo più >ambizioso del superamento del solo punto di vista ambientale, per affrontare >i temi più vasti della difesa della salute dei consumatori, della >finalizzazione della ricerca, della tutela delle risorse e dei lavoratori >della filiera agro-alimentare, un mondo oggi schiacciato tra liberismo e >protezionismo selvaggi. >Per questo vogliamo proporre, accanto ad alcuni elementi di analisi, degli >obiettivi possibili, al fine di canalizzare la discussione e trasformarla in >momento di maturazione delle coscienze ed organizzazione delle masse. > > >La nuova dimensione agricola: il prodotto alimentare per il mercato > >Il prodotto agricolo, che finisce quotidianamente sulle nostre tavole, sia >esso fresco o trasformato, sembra sempre più inerte, amorfo, uniforme, senza >origine. Il suo contenuto di cultura, di lavoro umano, di tradizione, di >storia viene sempre più rimosso a vantaggio di una immagine di eterno >presente, di sempre «nuovo», ben rappresentata dall’odore acuto di > >detergenti e dal biancore delle luci al neon caratteristici di un >supermercato (o ancora di più in un hard-discount!) o di una hamburgeria >all’americana. >Vi è una opposizione a questa realtà che però, in assenza di memoria >storica, tende anch’essa a ricostruire una identità alternativa al modello >proposto, raccattando gli scampoli di culture «altre» e rimescolandoli in >modelli «naturistici» e «salutistici». In effetti essi sono il rovescio >della medaglia del modello alimentare dominante, poiché ne condividono >diversi elementi essenziali (la costruzione individuale del proprio spazio, >la separatezza tra mondo naturale e mondo umano, la contrapposizione tra >istinto e ragione), pur rifiutando alcuni strumenti (l’uso di sistemi >tecnologici come macchine, concimi, minerali, ecc.) del modello dominante. >Anche questa risposta, come quella tecnologica industriale, opera un salto e >scavalca la realtà e le contraddizioni di milioni di contadini, dei paesi >poveri come di quelli ricchi, proponendo un consumo alimentare che prescinde >dal tempo, dal luogo di produzione e soprattutto da chi materialmente >produce. >Noi ci opponiamo a questa dimensione di mistificazione della realtà: un >prodotto agricolo che consumiamo come alimento per noi è il prodotto di >cultura, di tradizione e di innovazione che hanno visto come protagoniste le >società ed i coltivatori in particolare di luoghi specifici: insomma, >l’alimentazione non è un fatto esclusivamente biologico! > > >Il rapporto tra produzione e consumo > >La dimensione socio-economica della produzione alimentare, la cui conoscenza >è un patrimonio consolidato della sinistra, viene ricollegata con difficoltà >a quella sino ad ora messa in evidenza; eppure in una società in cui i >contadini sono diventati una minoranza (come avviene nei paesi industriali) >o rappresentano una maggioranza numerica (come nei paesi poveri) schiacciata >dalla cultura metropolitana occidentale, questo nesso diventa fondamentale >per operare strategie di rottura del pensiero unico e della sua egemonia. >Bisogna inoltre rivendicare il diritto ad una sana alimentazione per tutti >non solo per motivi etici e politici ma anche perché i costi economici di >una cattiva alimentazione sono stati stimati come fortemente onerosi nei >paesi occidentali; ciò sia dal punto di vista dell’induzione a una qualità >della vita scadente sia dal punto di vista dei costi sanitari apportati. >Ci opponiamo inoltre alla logica di classe che divide i consumatori in tre >fasce: a) quella dei paria che frequentano hamburgerie e hard discount; b) >quella dei consumatori «normali» che frequentano i circuiti di distribuzione >e di ristorazione ordinaria; c) quella dei consumatori d’élite buoni >conoscitori di prodotti qualificati e di nicchia. Pertanto, a tutti deve >essere garantita un’educazione alimentare per aumentare la capacità di >scelta; a tutti devono essere garantiti prodotti che siano e salubri e >«responsabilizzati» dall’assenza di lavoro sottopagato senza il vincolo del >rispetto delle clausole ambientali e sociali. >E’ necessario, infine, premiare le produzioni che, abbinando tecnologie a >misura d’uomo e alta intensità di lavoro, non espellano massivamente i >lavoratori agricoli e consentano la produzione di prodotti agro- alimentari >caratterizzati da vero valore aggiunto di qualità e coesione sociale. > > >Il rapporto tra produzione e ricerca > >Siamo pure consapevoli del fatto che la scarsità di risorse alimentari in >alcune aree del mondo non è la conseguenza della mancanza di nuove varietà >di sementi più produttive, ma è piuttosto la conseguenza di scelte >economico-distributive neocapitalistiche su scala mondiale. Tali scelte >coinvolgono direttamente la ricerca scientifica, sempre più dipendente da >obiettivi e mezzi collegati a pochi centri di interesse; dire questo non >significa demonizzare la ricerca scientifica, ma significa semplicemente >rifiutare di trasporre questioni di scelta economica dietro il paravento >della questione scientifica. >Chi oggi a parole esalta dogmaticamente la libertà di ricerca attuale, >paradossalmente si schiera a favore di un oligopolio sotto il diretto >controllo di alcune multinazionali. >Noi siamo per lo sviluppo e la promozione della libera indagine scientifica >e per questo ne chiediamo il finanziamento pubblico, attraverso forme >trasparenti, svincolate da interessi privati o individuali e controllabili >da parte di tutti. D’altro canto così come le lobbies hanno la pesante >capacità di orientare e di condizionare, anche il finanziamento pubblico >della ricerca deve individuare indirizzi e limiti per dare luogo a precisi >indicazioni di difesa dell’interesse generale, che non possono essere curati >per definizione dal privato. Una ricerca pubblica rafforzata può contribuire >all’indipendenza di giudizio nel controllo pubblico sulle attività delle >multinazionali. > > >Il rapporto produzione ambiente > >Dal punto di vista ambientalista le nuove responsabilità affidate >all’agricoltura dovrebbero stimolare a nuove riflessioni sul ruolo che >dovrebbe giocare l’agricoltura stessa, innanzitutto da parte degli stessi >contadini. >Eppure nel nostro paese l’iniziativa sembra segnare il passo. Facendo un >paragone con quanto avvenne in Italia, per il movimento antinucleare, in >grado allora di stimolare tutte le classi ad una nuova consapevolezza, il >panorama risulta abbastanza sconfortante. >Chernobyl era lontana migliaia di chilometri, sembrava addirittura ancora >più distante per via della divisione in blocchi, eppure fummo in grado di >farla diventare parte della nostra coscienza; il caso della mucca pazza e >dei residui di diossina nei polli sono invece fatti avventi qui, nella >Unione Europea che da 40 anni regola la politica agricola con un sistema >legislativo unificato tra i diversi paesi, trattano di prodotti che fanno >parte della nostra vita quotidiana, ma non sono stati in grado di smuovere >quelle stesse coscienze. Tutto ciò è potuto avvenire poiché, accanto a >problemi politico organizzativi, esiste un problema sovrastrutturale di >enorme peso. >La perdita di capacità di riferimento e di mobilitazione sull’argomento fa >sì che la paura che attanaglia l’opinione pubblica, non foss’altro che per >i timori per l’alimentazione dei bambini, si interiorizzi e si parcellizzi >come angoscia, come fuga verso l’irrazionale e la new age; non si trovano >momenti di rivendicazione collettiva, anzi si creano i presupposti per una >frequentazione vieppiù imperante delle hamburgeerie, nella convinzione che >tanto non ci sia niente da fare. > > >I nuovi campi d’intervento > >Queste contraddizioni vanno superate a partire dai nuovi campi d’intervento >creati attorno alla produzione di «alimenti per il mercato». Un alimento >prodotto in modo industriale per popolazioni che non hanno più idea di cosa >significhi coltivare la terra e non sono in grado di ricostruirne l’iter >produttivo, necessita di un complesso sistema di «segnali» che lo renda >visibile ed accettabile a chi dovrà consumarlo. Si tratta di sistemi di > >controllo, di marketing, di promozione e distribuzione creati a tale scopo >ed in grado di organizzare il controllo del settore a vantaggio di chi oggi >ne trae profitto. >Riuscire a comprendere i meccanismi e la logica di questo sistema > >permetterebbe di rompere il fronte, soprattutto d’immagine, che rende quasi >inossidabili i grandi marchi; si avvierebbe così la ricomposizione del > >fronte opposto, molto eterogeneo, di quanti hanno interesse (e spesso non ne >sono neanche consapevoli) a contrastare l’attuale dominio in campo >agroalimentare. Per farlo bisogna entrare nel concetto di «qualità» e >coniugare all’esigenza di qualità igienico sanitaria e/o merceologica dei >prodotti, la consapevolezza di un consumo critico che si interessi >dell’origine, della cultura, dell’esistenza di clausole sociali ed >ambientali nella produzione degli alimenti quotidianamente consumati. Tutto >ciò va fatto a prescindere dal valore che l’alimento ha sul mercato, >altrimenti si corre il rischio di dividere in due fasce il consumo: da un >lato i prodotti di pregio, garantiti, dall’altro il cibo a basso costo >(tipico della distribuzione a prezzi superscontati), avvalorando quanto oggi >già avviene. >Anche in questo caso vi sono possibili vicoli ciechi su cui ci si deve > >evitare di incamminare. La esasperata lotta ai microrganismi o la pretesa >sicurezza di igienicità al 100% sono conseguenza di una visione che vede non >la complessità della natura, ma la sua contrapposizione a quanto prodotto >dal progresso dell’uomo. Si tratta di una visione del mondo ipercartesiana >che ha motivato e favorito in agricoltura gli scempi da uso forsennato di >concimi e pesticidi, e che oggi rischia di aggravare irreparabilmente quanto >già fatto, attraverso il tentativo di manipolazione del vivente. > > >Il nuovo terreno di scontro > >Battaglie di questo livello non possono essere messe in atto senza > >individuare il terreno idoneo che in campo agricolo si colloca da tempo a >livello europeo. Sul mercato unico si incrociano interessi di classe, di cui >sono portatori - grosso modo - i diversi soggetti presenti in campo >economico e politico, ed interessi di area che fanno capo - ma in modo >sempre più contraddittorio - ai diversi orientamenti politici dei singoli >paesi dell’Unione. La PAC (politica agricola comune) rappresenta il punto di >mediazione tra le diverse forze, e si è dimostrato sino ad ora saldamente >orientato a favore dei grandi gruppi agroindustriali e dei loro più stretti >alleati, i medio-grandi proprietari coltivatori di prodotti di base, >favoriti specie se collocati nei paesi centrosettentrionali della UE. >Lo scontro sarà reso più acuto dalla apertura del confronto a Seattle sulle >nuove regole del commercio mondiale dopo il 2000; l’opposizione che si dovrà >produrre ai disegni del WTO cercherà di organizzarsi in tale sede. >Su questo terreno, piuttosto lontano dalla coscienza sino ad ora maturata >nel conflitto di classe, occorre orientare il confronto, facendo in modo di >trovare obiettivi unificanti a livello europeo (all’interno della UE, ma non >solo, visto la stretta collaborazione con i paesi dell’area centrorientale e >del bacino del mediterraneo). Solo così si è in grado di far crescere il >movimento anche in situazioni piuttosto arretrate, come quella attuale >dell’Italia. Altrimenti le battaglie di questi mesi, come quella che ha > >portato alla rinuncia di Monsanto ai semi «terminator» o quelle che hanno >spinto alla rinuncia a perseguire colossali progetti industrialfinanziari da >parte di alcune multinazionali agro-biotecnologiche, diventeranno solo una >vittoria (peraltro parziale e molto temporanea) degli ambientalisti francesi >o inglesi rispetto alle quali noi assisteremo come pubblico che fa il tifo. >Il risultato dell’azione, o del non intervento, non saranno indifferenti >rispetto alla ridefinizione del ruolo dell’Italia all’interno dello >scacchiere comunitario. Per questo il coinvolgimento dei parlamentari, degli >opinion leader impegnati, e degli amministratori locali deve essere >notevole: contro il verbo del pensiero unico agroalimentare servono azioni >concrete in grado di rendere visibile il dissenso (delibere di non utilizzo >del transgenico da parte di comuni, province e regioni, mense di scuole >aperte al biologico, campagne di vera informazione ai consumatori) e >prefigurare una alternativa fattibile. > > > > >Linee di comportamento > >1) Modifica degli interventi comunitari >Se il nuovo terreno di scontro si colloca in Europa, la controparte >principale da individuare è quella delle istituzioni europee, in specifico >la Commissione, responsabile attraverso la applicazione della PAC degli >orientamenti in campo agricolo; si tratta di imporre un diverso orientamento >che veda vincolati gli interventi di sostegno non solo alle dimensioni, ma >anche alla quantità di lavoro ed alla qualità delle produzioni . Oggi questa >modulazione, diversa da quella del passato, viene proposta come variante >«nazionale» del sostegno, cioè viene considerata facoltativa e lasciata alla >volontà dei diversi governi dei paesi dell’Unione. Cercare di portare al >centro dell’attenzione il dibattito su questo tema, significa innanzitutto >unire tutti quei movimenti che in Europa si battono per una diversa politica >agricola, sviluppando la discussione e facendo maturare le contraddizioni >esistenti nelle tradizionali organizzazioni agricole, soprattutto quelle >italiane, che sino ad ora hanno rifiutato una vera discussione sulla riforma >della PAC e sulle sue conseguenze. > >2) No alla coltivazione delle varietà transgeniche >E’ importante sottolineare comunque la nostra opposizione alla coltivazione >di massa delle sementi transgeniche proprio per i motivi finora evidenziati: >in primo luogo per il surplus della produzione agricola UE e ,poi, per >l’impoverimento della biodiversità e del lavoro umano. >Perché insomma correre dei rischi, anche se potenziali (il rischio >potenziale non ben quantificato di impatto pesante sull’ambiente cozza come >un macigno con l’impostazione dell’art. 130R del Trattato di Maastricht), >quando c’è sovente per moltissime varietà una superproduzione >agro-alimentare? > >3) No ai finanziamenti pubblici sulla produzione in agricoltura del >transgenico >In ogni caso, bisogna dispiegare il massimo delle energie ai livelli di >movimenti, delle formazioni politiche nazionali e dell’U.E., affinché, di >massima, non siano resi disponibili finanziamenti ed agevolazioni per >l’agricoltura che impieghi varietà transgeniche. Dovranno essere ugualmente >ostacolate misure di sostegno ai prodotti trasformati che non siano > >transgenic free (TF), cioè fatti da materiale di origine non transgenica.. >a) E’ quanto mai opportuno introdurre nelle leggi regionali sull’ agriturismo >il vincolo che lega la possibilità di tale attività all’impegno di non >coltivare e non usare prodotti transgenici. >b) Deve essere creato un organismo di controllo per evitare le frodi che >responsabilizzino i produttori ed i loro rappresentanti contro eventuali >disposizioni U.E. al riguardo, altrimenti si corre il rischio di ripetere >quanto accaduto con le quote latte e dei contributi per l’olio di oliva. >c) In ogni caso occorre battersi affinché sia elaborato in agricoltura il >principio di tassare le produzioni inquinanti in uso ed utilizzare i fondi >per lo sviluppo del biologico. > >4) Ricerca >La ricerca va aiutata : è necessario fissare dei budget consistenti e > >crescenti di anno in anno nel finanziamento pubblico della ricerca (CNR, >ISS, Università, ENEA, ISTAT, ISAE, ecc.) in materia di : >a) tutela e conservazione della biodiversità : scambio di ricercatori con >altri paesi, borse di studio, messa a punto di metodi di preservazione ; >b) studi sulle tendenze dei modelli di consumo alimentari italiani ed > >occidentali che creano domanda di agricoltura intensiva ; studio di modelli >di superamento dei comportamenti attuali di consumo, orientandoli verso la >stagionalità dei consumi; studi sui costi dell’impatto del transgenico; >studi sui costi sociali della carente salubrità dell’alimentazione; >c) studi sulla tossicità a lungo termine del consumo di alimenti transgenici >fatti d’intesa tra consumatori e produttori ; >d) messa a punto di metodi affidabili della rilevazione di presenza di > >transgenico in alimenti TF; >e) studio dell’eventuale applicazione dell’ingegneria genetica verso >«problemi orfani» ed economicamente senza ritorno di profitto, quali la >selezione di piante, possibilmente commestibili, per contribuire ad arginare >la desertificazione e migliorare la produttività dei terreni marginali. >f) accresciuto impegno e sostegno per la ricerca pubblica come sistema >«calmieratore» economico dei costi e come «calmieratore» etico ed ambientale >per innalzare la qualità delle sementi impiegate commercialmente ed in >genere della produzione agro-alimentare. > > >Una tassa di scopo sull’impiego, o comunque su una qualche fase del ciclo, >delle agrobiotecnologie potrebbe alimentare un fondo per studiare la >biodiversità o problemi privi di rentability per l’industria di settore. >In considerazione del vorticoso ciclone, tutt’altro che trasparente, di >interazione tra industria e università, caratteristica dell’evoluzione delle >biotecnologie nell’ultimo quindicennio, una questione da affrontare con >coraggio è costituita dallo studio di misure d’inibizione al finanziamento >diretto o indiretto di ricerche e rimborsi spese nei centri pubblici di >ricerca da parte delle multinazionali e delle imprese agrobiotecnologiche. I >finanziamenti privati dovrebbero essere gestibili solo come «fund pooling» >ed assegnati da un comitato nazionale, dove siano presenti rappresentanti >delle ONG ambientaliste (si osservi, incidentalmente, che questo modello >dovrebbe essere trasfuso anche in altre istituzioni pubbliche di ricerca e >controllo laddove il taglio alle spese di ricerca attuato scelleratamente di >legge finanziaria in legge finanziaria fa sì che solo i centri più «vicini» >a sponsor privati possono godere di consistenti grant per borse di studio, >viaggi di aggiornamento, acquisto di strumenti ..... salvo poi il >verificarsi di misure di moral suasion dei controllati verso i controllori >pubblici). > >4) Etichettatura >Oltre alla promozione della ricerca per metodi affidabili che consentano di >scendere sotto la soglia dell’1% di transgenico rilevabile negli alimenti >TF, bisogna insistere sull’importanza dell’etichettatura. >Già oggi una misura assai importante consisterebbe nell’obbligare, di >massima, chi produce alimenti etichettati TF a che pure la materia usata per >i prodotti semi e trasformati debba essere TF, attuandosi così un circuito >virtuoso nella filiera agroalimentare e non consentendo miscelazioni di >prodotto, come sappiamo che presumibilmente avvenne per anni nel caso del >grano radioattivo ucraino. > > >5) Brevettazione del genoma vivente >Deve continuare l’opposizione alla brevettabilità del genoma vivente : >quanto è accaduto in Islanda con la privatizzazione del genoma dell’intera >popolazione da parte del governo locale è qualcosa che non deve >assolutamente più avvenire anche sotto forma di sotterfugi giuridicamente >esperibili. >Bisogna inoltre «rafforzare» il ricorso italiano, olandese e francese alla >Corte europea contro la direttiva U.E. sulla brevettazione biotecnologica. >Il principio di precauzione in campo ambientale, presente nell’articolo 130R >del Trattato di Maastricht, come ricordato ormai non solo dai giuristi più >sensibili, deve diventare il motore di tutte le prossime iniziative in campo >legislativo-ambientale. > > >6) Un solo organismo nazionale >Ad oggi in materia di autorizzazione all’impiego e alla sperimentazione si >piante transgeniche esistono competenze diverse in capo al Ministero >dell’Industria, al Ministero della Sanità, al Mi .P.A.F., talvolta con >orientamenti assai dissimili. E’ in nuce la costituzione di una S.p.A. >pubblica per la tutela della biodiversità ed esistono vari organismi >consultivi sul biotecnologico. >Sarebbe opportuna una unificazione di competenze, sia pure organizzata per >dipartimenti, sotto l’egida di una responsabilità politica elevata (giacché >le scelte sui modelli di sviluppo tecnologico ed economico sono di >pertinenza della decisione politica non certo degli uomini di scienza !), >quale, ad esempio, la Presidenza del Consiglio. --------------------------------------------------------------------- Giuseppe Ricciardi Capo d'Orlando (ME) Email Internet velarossa at tiscalinet.it (Nickname: cau)
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