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archiviazione "ammutinamento" elicotteristi italiani
IRAQ: PROCURA MILITARE, ARCHIVIAZIONE PER ELICOTTERISTI 'CHINOOK'
Roma - ''Archiviazione'': è questa la richiesta avanzata -secondo quanto
anticipa stamane il 'Corriere della sera'- dal procuratore militare
Antonino Intelisano nei confronti dei quattro piloti italiani del
reggimento Antares, accusati prima di 'ammutinamento' e poi di 'codardia'
per il rifiuto -nel dicembre 2003- di guidare gli elicotteri 'Chinook' sui
cieli dell'Iraq nell'ambito dell'operazione 'Antica Babilonia', motivata
dalla mancanza di garanzie di sicurezza su quei velivoli. Rifiuto che aveva
comportato la reazione del loro comandante Luigi Chiavarelli, che ne aveva
disposto la 'messa a terra'; e anche le critiche al loro comportamento da
parte del ministro della Difesa Antonio Martino e del titolare della
Farnesina Franco Frattini. Ora sarà il gip a dover decidere se confermare
la richiesta della Procura militare, dopo le relazioni tecniche acquisite
da Intelisano e gli interrogatori dei vertici dello stato maggiore della
Difesa. In particolare, l'inchiesta giudiziaria avrebbe portato alla
conferma di quanto denunciato dai quattro piloti, che dopo l'addestramento
avevano osservato alcune pericolose carenze nell'elicottero 'Ch47 Chinook':
la mancata protezione del lato sinistro e di quello posteriore destro nei
confronti di un attacco missilistico; la lunghezza insufficiente, per chi
si trova nella carlinga del velivolo, del cavo collegato al pulsante che
aziona il sistema protettivo; l'attivazione manuale e non automatica che
impediva la visuale contemporanea su entrambi i lati di una possibile
offensiva dei terroristi iracheni con i missili terra-aria.
La reazione dell'allora comandante dell'aviazione dell'Esercito, il
generale Luigi Chiavarelli fu molto dura: ''Sono ottimi piloti ma pessimi
soldati -definì i quattro militari, dopo il rifiuto a salire sugli
elicotteri- Il loro atteggiamento ha creato un clima di tensione e di
nervosismo per gli altri soldati inviati in zone di guerra. Così, abbiamo
ritenuto opportuno farli rientrare''. Il generale andò personalmente in
Iraq, per rassicurare gli altri militari impegnati nella missione 'Antica
Babilonia'. E dispose la 'messa a terra' dei quattro piloti 'ammutinati',
come vennero definiti. ''Fino a quando io sarò qui -aveva promesso
Chiavarelli- nessuno di loro volerà più''. Negative anche le prime reazioni
del governo, sia da palazzo Baracchini che dalla Farnesina. Il ministro
della Difesa Antonio Martino aveva garantito che ''i nostri elicotteri sono
sicuri: hanno standard di sicurezza pari a quelli degli eserciti più
moderni, elevati sia dal punto di vista della sicurezza attiva che passiva.
Non abbiamo mai perduto un elicotterista e, quindi, non si deve essere
preoccupati''. Anche per il ministro degli Esteri Franco Frattini, ''la
paura non può incidere sul servizio dei militari. Ci sono principi e
criteri che i militari devono osservare, senza eccezioni né esclusioni, se
non si vuol dare un colpo definitivo all'impiego della forze armate''.
A critiche e accuse, i quattro piloti elicotteristi del gruppo Antares
avevano replicato che da parte loro ''non c'è stato alcun ammutinamento, ma
una presa di posizione a tutela della vita nostra e dei nostri colleghi.
Dopo l'addestramento -era stata la loro spiegazione- ci siamo resi conto
che gli elicotteri erano inadeguati a fronteggiare gli attacchi. I cecchini
iracheni sparano un missile da nord e uno da sud: se si riesce a
intercettarne manualmente uno, l'altro va comunque a segno''. La difesa
legale, affidata all'avvocato Franco Coppi, era inizialmente riuscita a
'derubricare' il reato da 'ammutinamento' a 'codardia'. Ora, attende il
verdetto del gip, dopo la richiesta di archiviazione da parte del
procuratore militare Intelisano: ''Sono militari di grande esperienza
-sottolinea il legale- e una decisione favorevole potrebbe consentire loro
di tornare a volare''
Agi (mercoledì 13 ottobre)
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IRAQ: SOLDATI USA RIFIUTANO MISSIONE, APERTA INCHIESTA
Washington - L'esercito Usa ha aperto un'inchiesta su un plotone di
riservisti che, nei giorni scorsi in Iraq, hanno rifiutato di partecipare a
una missione di rifornimento di carburante, considerata troppo rischiosa. I
19 membri del 343esimo compagnia di rifornimento dell'esercito, in Iraq da
9 mesi, avrebbero dovuto trasportare carburante da Tallil a Taji, una delle
zone calde a nord di Baghdad. Per l'esercito, si è trattato di "un episodio
isolato", ma è stata avviata un'inchiesta per capire se ci sia stata
un'infrazione del codice di condotta militare. "Non è stato un
ammutinamento", ha comunque detto Maggiore William Ritter, dell'81esimo
Comando di Supporto Riservisti; e i soldati -ha aggiunto- non sono stati
arrestati (come invece aveva raccontato qualcuno dei parenti dei militari
coinvolti), né messi in stato di fermo, ma tutti sono potuti tornare ai
loro impegni senza problema. I militari hanno rifiutato la missione perché
i mezzi erano considerati poco sicuri, ha raccontato Patricia McCook
(Jackson, Mississippi), moglie di un sergente coinvolto nell'episodio. E
Teresa Hill (Dothan, Alabama) ha aggiunto che la figlia Amber McClenny
giovedì mattina le telefonò in preda a una crisi d'ansia per chiederle
aiuto: "C'è davvero un problema, è necessario che tu contatti alcuno", le
disse la ragazza, "abbiamo camion rotti, veicoli non blindati e
trasportiamo combustibile pericoloso". La vicenda in qualche modo ricorda
quella che a dicembre coinvolse quattro elicotteristi italiani che si
rifiutarono di volare con i Ch 47 e gli Ab 412 per motivi di sicurezza.
Proprio martedì scorso la Procura militare italiana ha chiesto
l'archiviazione delle accuse a loro carico, sostenendo che effettivamente
vi erano carenze nel sistema anti-missile dell'elicottero.
Agi (sabato 16 ottobre)
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Uomini contro
di Oreste Pivetta
L'Unita' - 14 ottobre 2004
Nella tragica campagna militare battezzata da un fantasioso copywriter
“Antica Babilonia” è accaduto anche che nel dicembre di un anno fa quattro
elicotteristi italiani si siano rifiutati di volare in Iraq per «motivi» di
sicurezza: poco sicuri sarebbero stati i famosi elicotteri Ch47 Chinook,
quelli che in altre epoche abbiamo visto, nei film, calare come neri
uccellacci tra le risaie del Mekong.
Il comandante dell’aviazione, il generale Chiavarelli, appiedò i suoi
aviatori e li denunciò alla procura militare, che adesso li assolve,
chiedendo l’archiviazione: avevano ragione, il rifiuto era giustificato,
gli elicotteri non erano proprio dei gioielli di sicurezza, il generale
aveva torto.
Come in ogni tribunale, l’ultima parola sarà quella della gip. Per ora il
silenzio lo ha rotto proprio il generale, con un’intervista al Corriere
della sera. Dove si leggono frasi che sembrano uscire da Uomini contro di
Francesco Rosi e Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu. Cose del tipo: «È
stato disatteso un ordine», oppure: «Anche se ci sono problemi, un soldato
deve restare in missione e rispettare gli ordini». Ovviamente il generale
ha le sue ragioni: che cosa avrebbe potuto dire di diverso con le sue
stelle e i suoi nastrini sulla giacca, magari qualche medaglia? Forse
sarebbe tenuto a rispettare la “sua” magistratura. Come noi la nostra.
Tutti ricorderanno che Kappler e Priebke, tanto per citare solo i criminali
nazisti più vicini a noi con i loro delitti, ubbidirono agli ordini. Al
processo di Norimberga quasi tutti si difesero giustificandosi con gli
ordini dall’alto, ordini da rispettare: erano ordini di Hitler.
Il generale Cadorna comandò la decimazione dei suoi fanti che fuggivano da
un esercito in rotta, dopo Caporetto, perché non avevano obbedito
all’ordine di resistere. La guerra alla fine la vinse l’Italia:
seicentomila morti. Si dimentica: storia di un secolo fa. Visitando uno dei
nostri “sacrari”, Asiago o Redipuglia, si leggono migliaia di nomi di quei
morti incisi sulla pietra: non tutti ovviamente. Vite perdute, i nomi di un
macello, i nomi di ragazzi che a vent’anni appena avevano finito di vedere
il cielo. Uno di quei morti, scelto a caso, finì a Roma, tra i marmi
dell’Altare della patria. Era il milite ignoto, testimone negli anni di
tante onoranze funebri e pure di retorica patriottica di gusto bellico. In
un film su quella guerra, la prima mondiale, si può assistere a una scena
straordinaria: la carica dei nostri soldati, sbucando dalle trincee, di
corsa a piedi in mezzo ai reticolati, tra le bombe che piovono, mentre da
un improvvisato fortino di sassi spara la mitraglia austriaca, ne cadono a
centinaia uno dopo l’altro, finché il fuoco tace, i soldati austriaci si
mostrano alzando le mani oltre le loro protezioni e gridano: «Non si può
uccidere così...». Silenzio. Gli austriaci sapevano disobbedire,
dimostrando che qualcosa si può salvare.
La disobbedienza non sarà un valore assoluto, ma è un’occasione e una
responsabilità: Thoreau, il grande pensatore dell’America libertaria,
rifiutò di pagare una tassa che riteneva ingiusta, ma non rifiutò di
pagarne le conseguenze e andò in galera. Gandhi, disobbedendo, liberò il
suo paese.
Gli elicotteristi italiani avevano in mente la propria salute, in una
missione benefica armata di razzi e cannoni... Dovremmo rimproverarli? La
salute non sarebbe una ragione sufficiente per restare a casa? Persino il
generale si deve quietare per accodarsi all’italiana prevalenza della
famiglia. Nell’intervista conclude appunto: «Sono padri di famiglia». La
questione così si riduce a poco, si potrebbe dire al familismo nazionale e
alla mobilità dell’etica (pure quella militare). Ma se proviamo a
moltiplicare la salute e la famiglia per mille, per diecimila (quanti sono
stati i morti in Iraq?), per seicentomila le parole acquistano un altro
colore: diventano pace e vita e la disobbedienza riecheggia un
comandamento, non uccidere. Anche un generale, con i suoi elicotteristi,
dovrebbe provare a immaginarlo.