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Il prezzo della guerra
Articolo tratto da liberazione di sabato:
Dall'Institute for Policy Studies e dal Foreign Policy in Focus un primo
bilancio completo dell'operazione militare
Il prezzo della guerra
Gli americani, si sa, sono pragmatici. Notoriamente si fidano più dei
numeri che delle parole e bisogna dargli atto che, a volte, non c'è niente
di meglio per avere il polso della situazione. Ecco dunque che una delle
voci più note del pacifismo statunitense, Phyllis Bennis, ha messo a
disposizione una task force del suo istituto di ricerca, l'Institute for
Policy Studies che, insieme al Foreign Policy in Focus, ha stilato "Pagando
il prezzo: i crescenti costi della guerra irachena". Si tratta del primo
tentativo di fare un bilancio completo dell'operazione militare, ed è stato
presentato all'assemblea internazionale dei movimenti contro la guerra e la
globalizzazione che si è tenuta a Beirut, il 17 settembre scorso.
Quanto costa agli Usa
Dall'inizio della guerra, il 19 marzo 2003, sono morti 1.195 militari della
coalizione, 1.057 dei quali cittadini statunitensi, a cui bisogna
aggiungere 157 civili (dipendenti delle società impegnate nella sicurezza o
nella ricostruzione) e 30 giornalisti, otto dei quali statunitensi. Anche
in termini di sicurezza il prezzo è stato altissimo. Secondo l'Institute
for Strategic Studies di Londra, la guerra ha incrementato le attività di
reclutamento di Al Qaeda che conterebbe ora circa 18 mila adepti mentre,
secondo il generale britannico Andrew Graham, almeno 50 mila iracheni sono
entrati nella resistenza. Il Dipartimento di Stato ammette che gli attacchi
terroristi sono aumentati mentre la credibilità degli Usa non è mai stata
così bassa. La conduzione della guerra irachena è considerata disastrosa -
è nota la posizione fortemente critica del generale in congedo Anthony
Zinni - e la metà delle truppe lamenta problemi di equipaggiamento.
Più interessante la questione del "fronte interno". Visto che un terzo
dell'esercito Usa è composto di truppe della Guardia Nazionale, il paese è
rimasto sguarnito di operatori d'emergenza - polizia, vigili del fuoco e
personale medico - ruolo che in caso di disastri naturali viene garantito
dalla Guardia. Infine la guerra ha comportato l'accelerazione della
privatizzazione della guerra: circa 20 mila "contractors" sono impiegati
nella logistica, nella sicurezza, nella comunicazione e nell'informatica,
anche se mancano di un adeguato addestramento e non sottostanno al codice
militare.
Per valutare i costi economici non bisogna considerare soltanto la spesa a
breve termine - 152 miliardi di dollari stanziati dal Congresso, ovvero
3.415 dollari a famiglia - ma anche i costi indiretti, come l'aumento del
prezzo del petrolio, e i costi sociali. Con l'allungamento della ferma le
famiglie dei militari perdono dal 30 al 40% del salario percepito da
civili, mentre le conseguenze del taglio del budget relativo ai programmi
sociali saranno pesanti per tutti. Con 152 miliardi si sarebbe potuto dare
un tetto a 23 milioni di persone, assistenza a 27 milioni di americani
privi di assicurazione sanitaria e si sarebbero potuti pagare 3 milioni di
maestri elementari. Al contrario, nel bilancio 2005 sono congelati tutti
gli stanziamenti pubblici ad eccezione di quelli destinati alla sicurezza.
I primi a pagare saranno i veterani: più di 7 mila feriti, il 64 per cento
dei quali permanentemente menomati, rischiano di venire abbandonati a sé
stessi. Il sistema sanitario militare non ha le risorse per farsene carico,
e non ne avrà in futuro, considerando gli stanziamenti previsti. E se
mancano i soldi per i feriti gravi è facile immaginare l'assistenza
riservata ai soldati che tornano dall'Iraq con problemi mentali (1 su 6,
secondo le statistiche), fenomeno confermato dall'alta percentuale dei
suicidi.
Quanto costa all'Iraq
Secondo l'Iraq Body Count, le vittime irachene vanno da un minimo di 12.976
a un massimo di 15.033 civili, con almeno 40 mila feriti. Fra soldati e
insorti sono morti negli scontri fra i 4.895 e i 6.370 uomini. A tutto ciò
bisogna aggiungere gli effetti dell'uranio impoverito: secondo le fonti
ufficiali del Pentagono, durante i bombardamenti del marzo 2003 sono state
sganciate sull'Iraq 2.200 tonnellate di bombe fatte con questo materiale.
Gli effetti dei bombardamenti della prima guerra del Golfo sono ben noti, e
si trattava di una quantità molto minore. Inutile parlare delle condizioni
di sicurezza in un paese dove rapimenti, furti, omicidi e stupri sono
all'ordine del giorno. Ormai l'economia irachena è allo sbando: la
disoccupazione è al 60 per cento e soltanto l'1 per cento della forza
lavoro locale è impiegata nella ricostruzione. Nemmeno il petrolio riesce a
fornire un po' di valuta pregiata visto che le infrastrutture sono un
ottimo bersaglio della resistenza, con 130 attacchi solo nel 2003. Dal
punto di vista sociale, l'Iraq non esiste più: sono fatiscenti le strutture
sanitarie, già provate da un decennio di sanzioni, come pure il sistema
scolastico. Del resto mandare i figli a scuola è diventato pericolosissimo,
sempre che la si trovi, una scuola, visto che, secondo l'Unicef, i
bombardamenti chirurgici hanno distrutto più di 2000 edifici scolastici. La
situazione ambientale è altrettanto drammatica: il fragile ecosistema
desertico deve fare i conti con l'uranio impoverito, le perdite degli
oleodotti bombardati o sabotati dalla resistenza, l'avvelenamento delle
falde acquifere e le mine inesplose. E che dire dei diritti umani e della
sovranità nazionale? Il noto scandalo delle torture e quello, meno noto,
dei decessi sotto interrogatorio - l'esercito americano sta indagando sulla
morte sospetta di 34 prigionieri - hanno da tempo ridotto le speranze.
Quanto alla restaurazione della sovranità nazionale, la decisione di
"blindare" più di 100 ordinanze di Bremer - relative alle privatizzazioni,
la pena di morte e altri settori cruciali - ha reso il passaggio di poteri
una mera operazione di facciata.
Quanto costa al mondo
Le principali vittime della guerra - oltre ai circa 150 soldati di svariati
paesi - sono note: la Convenzione di Ginevra, le Nazioni Unite e la
democrazia. I governi della maggior parte dei paesi della coalizione hanno
mandato le truppe contro l'opinione pubblica interna, al 90 per cento
contraria alla guerra. Minare l'autorità delle Nazioni Unite e della
Convenzione di Ginevra è stato un errore gravido di conseguenze per il
futuro, così come l'abbandono di ogni progetto di disarmo globale. Se
l'inquinamento è un grave problema per tutti i paesi della regione, con
Iraq, Iran e Kuwait interessati dall'impatto dell'uranio impoverito e
dell'inquinamento del Tigri, dal punto di vista economico le conseguenze
potrebbero essere devastanti. Il mondo è sull'orlo della recessione, con il
prezzo del petrolio alle stelle e le compagnie aeree destinate a perdere un
miliardo di dollari al mese. Senza contare che i 152 miliardi spesi da
Washington nella guerra sarebbero stati sufficienti per coprire i costi
planetari della terapia anti-Aids, della vaccinazione infantile, delle cure
primarie e della potabilizzazione per almeno due anni.
Sabina Morandi
La versione integrale del rapporto è in www. ips-dc. org/iraq/costofwar/