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[Epimeleia] Uranio impoverito
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«Muoio in divisa, lo Stato mi aiuti»
Il maresciallo Diana, malato di tumore dopo Somalia e Bosnia: «La pensione
non basta, la Difesa deve riscarcirmi». Già 27 morti per l'uranio
impoverito. Prc e Ds: inchiesta parlamentare. Accame: «2 milioni per
ricerche fuorvianti»
ALESSANDRO MANTOVANI
Nelle mani tremanti rigira un vecchio rosario. Negli occhi la malattia e
l'umiliazione non hanno spento l'intelligenza, né la rabbia: «Non ci sono
più terapie, aspetto solo di morire - dice il maresciallo Marco Diana, 35
anni, secondo reggimento Granatieri di Sardegna - Ma la mia Repubblica deve
darmi il modo di morire con dignità, perché io ho giurato fedeltà alla
Repubblica». La formula del giuramento la sbatte in faccia ai giornalisti
(pochi) e a chi siede accanto a lui, alla conferenza stampa organizzata da
Gigi Malabarba, capogruppo Prc in senato. Le opposizioni chiedono una
commissione d'inchiesta parlamentare sull'uranio impoverito, probabile
causa di morte per almeno 27 militari italiani: l'ultimo, il
caporalmaggiore Luca Sepe, è il 13 luglio. «Gli ammalati nelle forze armate
sono decine, non si può più dire che non c'è connessione con l'uranio
impoverito», dice Malabarba. E la lista degli agenti radiottivi, tossici e
chimici, ai quali sono esposti innanzitutto i civili dei paesi in guerra, è
molto più lunga. Sala gialla del senato, torrida estate rinfrescata dal
condizionatore. Il maresciallo Diana indossa un pesante giaccone e un
berretto di lana, il volto scavato porta i segni del tumore che gli divora
l'intestino e il fegato. Per alzarsi ha bisogno d'aiuto. «Dove mi sono
ammalato? Non lo so - risponde per l'ennesima volta - In Somalia, in
Bosnia... Lì che sono stato in contatto con ogni tipo di armamenti:
missili, bombe, mortai... Tutto senza protezione, a volte in calzoncini a
petto nudo. Ma che ne sapevamo? In Somalia facevo il caposcorta per i
trasporti di armi e missili da Mogadiscio verso le zone sotto bandiera
Nato. Ero a contatto con materiali che, prima di ripartire per l'Italia,
venivano sottoposti a bonifica nucleare, biologica e chimica. Gli americani
avevano maschere, elmetti e scafandri... Perfino i pakistani erano
protetti. Noi non sapevamo niente». Era il `94, missione Ibis: quella delle
presunte torture, dell'assassinio di Ilaria Alpi e di diversi scontri a
fuoco per i militari italiani.
Il maresciallo Diana, perito elettrotecnico di Villamassargia (Cagliari),
si accorge della malattia nel '98, dopo la Bosnia. Carcinoma all'intestino,
forma rara e a rapida evoluzione. La pensione detta «privilegiata» dovuta
ai militari che si ammalano per cause di servizio, gli viene assegnata
dalle commissioni mediche militari, poi gli viene ritirata dal ministero
del Tesoro e nel 2003 la Corte dei conti gliela restituisce. Ma non basta:
«Vedete - dice vergognandosi di mostrare i conti - Questa è la pensione,
tre milioni e quattrocentomila lire italiane, e questo è l'elenco degli
integratori aliminari che devo prendere ogni mese, integratori che non ti
passa nessuno: 1.714 euro, 3.319.657 lire. Insomma la pensione se la mangia
il tumore, e poi ci sono le medicine, i viaggi all'Istituto oncologico di
Milano... ». Diana è disperato e non solo per il male che lo affligge.
Vorrebbe essere orgoglioso della sua divisa e invece chiede «se è giusto
che devo venire qui a fare l'elemosina...». Circola un numero di conto
corrente, 1150900 al Credito italiano di Iglesias (Abi 2008, Cab 43910). Il
maresciallo sta intentando una causa civile per il riconoscimento del danno
biologico. Gli stati maggiori sostengono che se Diana avesse ragione la
Difesa andrebbe sul lastrico per risarcire i militari che si ammalano: è
molto più economico continuare a non riconoscere l'uranio impoverito come
causa di patologie.
«Ma i soldi li hanno!», protesta Falco Accame, presidente dell'Anavaf,
sventolando l'articolo 13 bis del penultimo decreto sulla missione in Iraq
(convertito nella legge 68/2004). Vengono stanziati 1.175.330 euro per una
ricerca sui danni da uranio impoverito condotta su mille militari impegnati
in Iraq, «militari che hanno tutte le protezioni: maschere, tute,
eccetera... - dice Accame - E' come buttare in acqua uno con la muta e
concludere che non si bagna. E' fuorviante. Da un lato si continua a dire
che l'uranio non fa male, dall'altro però si assicura che non viene più
usato e che sono adottate tutte le precauzioni possibili... E' assurdo».
Alla conferenza stampa, con altri militari e con i familiari di quelli
scomparsi, c'è Antonio Savino, segretario dell'Unione arma dei carabinieri
(Unac): «Riceviamo centinaia di chiamate, anche nei nostri poligoni di
tiro, in Sardegna e altrove, si usano proiettili all'uranio». Si fa vedere
il senatore Gianni Nieddu, Ds: «Subito l'inchiesta parlamentare». Le
conclusioni del professor Franco Mandelli oggi non bastano neppure alla
maggioranza che istituì quella commissione nel 2000.
(Il Manifesto, 21 luglio 2004)
LM ("fragen kostet nix")
http://epimeleia.splinder.it
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"Life on other planets is difficult!" (Einstürzende Neubauten)
"Non sapersi orientare in una città - può essere privo di interesse e
banale. Presuppone ignoranza - null'altro. Ma smarrirsi in una città -
proprio come si fa in una foresta -, ciò abbisogna di ben altro
addestramento" (W. Benjamin)
Epimeleia: parola greca che sta a significare la "cura di sé" intesa come
formazione, costruzione problematica, di un rapporto di sé con sé sempre
passibile di nuove interpretazioni. In tutta la tradizione dell'epimeleia
la spiritualità postula la necessità che il soggetto si modifichi, si
trasformi, cambi posizione, divenga cioè, in una certa misura e fino a un
certo punto, altro da sé, per avere il diritto di accedere alla verità.
Rassegne stampa, segnalazioni di iniziative, notizie ed eventi che passano
attraverso le strette maglie dell'informazione mainstream e, facendo
appello al pensiero critico, ne indagano i trucchi volti a costruire il
consenso mediatico.
Epimeleia: parola greca che sta a significare la "cura di sé" intesa come
formazione, costruzione problematica, di un rapporto di sé con sé sempre
passibile di nuove interpretazioni. In tutta la tradizione dell'epimeleia
la spiritualità postula la necessità che il soggetto si modifichi, si
trasformi, cambi posizione, divenga cioè, in una certa misura e fino a un
certo punto, altro da sé, per avere il diritto di accedere alla verità.
"La lotta per una soggettività moderna passa attraverso la resistenza alle
due forme attuali di assoggettamento, l'una che consiste nell'individuarci
in base alle esigenze del potere, l'altra che consiste nel fissare ogni
individuo a una identità saputa e conosciuta, determinata una volta per
tutte. La lotta per la soggettività si manifesta allora come diritto alla
differenza, e come diritto alla variazione, alla metamorfosi." (G. Deleuze,
"Foucault", Cronopio Ed.)