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c'è da crederci ?



 unione sarda del  15\4\2004

A Roma conferenza di tre giorni sulla trasformazione della base missilistica
ogliastrina
«Uranio al Salto di Quirra? Mai usato»
Carlo Landi, ex comandante della base, tranquillizza i sindaci

Il computer si inceppa sulla pagina più
interessante: «Nel poligono si usano
solo armi convenzionali», frase sottolineata
in rosso. È davvero così? Risponde
il generale Carlo Landi, per un anno
e mezzo al comando del poligono di
Quirra: «Lì non sono mai state usate
armi all'uranio impoverito».
Parleranno ancora più chiaro gli
esami dell'Università di Siena, commissionate
dal Ministero della difesa.
La sentenza dei tecnici guidati da
Francesco Riccobono doveva essere
pronta, ma non tarderà ad arrivare.
«Forse per inizio settimana prossima»,
annuncia il senatore diessino Gianni
Nieddu, membro della commissione
Difesa, unico parlamentare presente
all'avvio di tre giorni di studi sul poligono
di Quirra. Il tema dell'uranio
impoverito ruba lo spazio dell'incontro,
organizzato ieri in serata per presentare
i convegni organizzati per i giorni
seguenti. Intervengono i sindaci di Perdasdefogu,
Walter Mura («Le nostre
porte saranno per voi sempre aperte,
venite a investire») e di Villaputzu,
Gianfranco Piu, più critico: «I miei concittadini
mi chiedono perché vengono
a lavorare persone da fuori». Ricorda
che il suo paese è quello che ha dato di
più, al poligono. «È un po' la nostra
Fiat», dice. Si augura che la fabbrica
diventi più grande, che la ricaduta economica
sul paese sia maggiore. Ma la
"sindrome di Quirra" ormai è un caso
internazionale: «Ad oggi non c'è risposta
sul collegamento tra la malattia
ematica e la presenza militare. Ma
dateci gli strumenti per difendervi -
dice rivolto ai militari - e difenderci».
L'appello sarà esaudito, forse, quando
si avrà l'esito degli esami, la prossima
settimana. La speranza di fare chiarezza
è legata a quella tonnellata di materiale
prelevato dai biologi e tecnici
dell'università. Racconta Landi: «Se
l'uranio c'è, è stato assorbito dalle
piante, dagli animali. Hanno infatti
prelevato licheni, arbusti, terra,
insomma, indicatori biologici». Tra
stellette e divise, nessuno crede che la
colpa della morte o malattia degli abitanti
della zona sia legata alla presenza
del poligono. «Si usa il dolore delle
famiglie per altri scopi: questo mi
addolora», aggiunge Landi. Parere
condiviso dai suoi colleghi militari (ci
sono anche il generale Giovanni Sciandra,
comandante logistico dell'aeronautica
militare, e il generale Vincenzo
Camporini, direttore del Centro studi
dove ha sede la conferenza). Ma la
pensano così anche i civili che, per
periodi di almeno tre mesi, vivono nel
poligono, per conto delle aziende che
ce li mandano. Il Centro sperimentale
materiali, per esempio, è tra queste.
Nessuno dei suoi dipendenti è mai
tornato malato. Eppure frequentano la
zona dal 1975. Nell'attesa di saperne
di più, il generale Landi spinge l'acceleratore
sulla convivenza del poligono
con la società civile. Il poligono è
quella gente, dice il generale. Il poligono
deve servire a quella gente. Come?
Per spegnre i fuochi, se non ancora
quelli della polemiche, si cominci con
quelli degli incendi. «Abbiamo elitanker,
radar. È capitato che in estate
gli elicotteri facessero sosta da noi, per
fare rifornimento di carburante e
acqua, prima di ripartire», ricorda
Landi. Perché non rendere stabile la
cooperazione con la protezione civile?
Ci si può pensare. Intanto, oggi e
domani si parla piuttosto di armamento
a guida laser e di addestramento
delle forze da sbarco della marina militare,
di nuovi caccia e dell'istituzione, a
Perdasdefogu, del più vasto poligono
europeo per l'addestramento di aerei
ed elicotteri all'uso di sistemi di guerra
elettronica. Quella che potrà evitare ai
velivoli italiani di venire colpiti da
missili avversari. «Il guaio è che ora in
guerra i nostri ragazzi ci vanno sul
serio - confida Landi -. Quindi l'addestramento
deve essere reale». Alla
faccia di chi dice che, in guerra, non ci
siamo mai entrati.
DIANA ZUNCHEDDU