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il primo caso di cancro da nassyria ?
- Subject: il primo caso di cancro da nassyria ?
- From: "giuseppe scano" <useppescano@virgilio.it>
- Date: Wed, 7 Apr 2004 15:04:34 +0200
nuova sardegna 7\4\2004
Elicotterista scopre di avere il cancro al ritorno della missione a
Nassiriya
Il maresciallo Pilloni, originario della Marmilla, è stato anche in Somalia,
Kosovo e Macedonia
PIERO MANNIRONI
GONNOSCODINA. Ancora un uomo in divisa che combatte la battaglia più
difficile su un letto d'ospedale. E ancora una volta un sardo. Si chiama
Giovanni Pilloni, ha 36 anni ed è originario di Gonnoscodina, in provincia
di Oristano. Ha 36 anni ed è un elicotterista della Marina militare. Sul suo
dramma, ancora una volta lo spettro del "metallo del disonore": l'uranio
impoverito.
Il maresciallo Giovanni Pilloni è infatti un veterano di quelle cosiddette
"missioni di pace" all'estero, che hanno portato migliaia di nostri giovani
in divisa in teatri di guerra. E' stato infatti nella luce abbagliante della
Somalia, tra le verdi colline del Kosovo, nella ribollente Albania e in
Macedonia. Il 18 dicembre dello scorso anno è tornato dalla missione più
lunga, sei mesi e 11 giorni, nell'inferno dell'Iraq.
Un ritorno dall'inferno per precipitare però subito in un abisso. Ora
Giovanni Pilloni è infatti ricoverato nel reparto di oncologia dell'ospedale
di Bari e sta affrontando una serie di cicli molto pesanti di chemioterapia.
A raccontare la sua storia, di soldato e di uomo, è il padre Salvatore, che
vive nel piccolo centro della Marmilla. In lui, un grande invalido del
lavoro, c'è disperazione, ma anche grande dignità. E anche rabbia. Ha
infatti sentito i racconti del figlio sulle missioni all'estero, ha raccolto
le sue confidenze e le sue paure. Il sospetto per Salvatore Pilloni è come
un tarlo che gli corrode l'anima: «Come non pensare che Giovanni sia stato
esposto al rischio di essere contaminato da quel maledetto uranio! Mi ha
parlato che è stato in mezzo a "cimiteri" di carri armati distrutti, vicino
a esplosioni e ha camminato su tappeti di bossoli. Mi ha anche detto che,
insieme ai commilitoni, ha raccolto quella roba».
Dice ancora: «Maschere protettive e guanti? Macché! Loro non ne avevano».
La storia del maresciallo Giovanni Pilloni è uguale a quella di tanti
giovani che indossano la divisa per sfuggire a un destino. Più che una
vocazione, una necessità. Per avere un lavoro.
«Io sono nato qui, a Gonnoscodina - racconta Salvatore -, ma ho lasciato da
ragazzo il mio paese. Ho lavorato per anni in una grossa impresa
specializzata in trasporti internazionali. Giovanni è così nato ad Avellino.
A 18 anni si è arruolato in Marina ed è arrivato al grado di maresciallo.
Attualmente è capo reparto officina del gruppo elicotteri della Marina a
Grottaglie, in Puglia».
«Oggi tutti dicono che i nostri soldati sono dei volontari e dei
professionisti - continua Salvatore Pilloni - e che quindi sono consapevoli
dei rischi ai quali vanno incontro nelle missioni in teatri di guerra. Ma la
verità è che questi giovani partono anche perché sono spinti dalla
necessità. Mio figlio, per esempio, aveva seri problemi familiari e per lui
andare in Kosovo e in Iraq era l'unica possibilità che aveva per
affrontarli».
Ma ecco come è andata. Come cioé Giovanni Pilloni si è accorto di essere
malato al suo ritorno da Nassiriya. «Mio figlio era imbarcato sulla San
Giusto - dice il padre -. Era partito per l'Iraq il primo luglio dello
scorso anno e avrebbe dovuto fare rientro in Italia dopo quattro mesi. Ma
molti commilitoni, che probabilmente non si sentivano sicuri in quel posto,
hanno chiesto di tornare anticipatamente a casa. Lui, che era capo reparto,
ha scelto di restare perché lì avevano bisogno di lui e Giovanni ha un
grande senso di responsabilità. E' arrivato in Italia il 12 dicembre e il 18
è venuto a trovarmi all'ospedale Mater Domini di Catanzaro, dove ero
ricoverato per un trapianto di cornea. Era due anni che non lo vedevo perché
era sempre impegnato in queste missioni all'estero. E lì, in ospedale, mi ha
detto subito: «Papà, sono un po' preoccupato: da qualche giorno ho come una
piccola lenticchia sul testicolo destro". L'ho allora accompagnato dall'
urologo dell'ospedale che gli ha dato una medicina in bustine».
Ma nei giorni successivi la situazione è peggiorata rapidamente. «Sì -
continua Salvatore Pilloni - il testicolo continuava a ingrossarsi e così
Giovanni ha deciso di andare a farsi vedere all'ospedale di Martinafranca. E
qui sono stati espliciti. Gli hanno detto: "Signor Pilloni, lei ha un cancro
e dobbiamo operarla d'urgenza". Così, prima dell'Epifania, gli è stato
asportato il testicolo destro. Nei giorni successivi, la decisione di fare
ulteriori analisi e accertamenti all'Ospedale Oncologico Europeo di Milano,
dove lavora anche il professor Veronesi. I medici hanno detto a Giovanni che
il suo era un caso strano perché quel tipo di tumore si manifesta
solitamente tra i venti e i trent'anni».
Dopo quindici giorni, Giovanni Pilloni è tornato a Bari. E da più di due
mesi è ricoverato all'ospedale di Bari dove sta affrontando dieci
trattamenti di chemioterapia.
«Giovanni è molto provato - continua il padre -. Ha perso tutti i capelli
ed è dimagrito tantissimo, quasi di sedici chili. Io e mia moglie siamo
disperati».
Il maresciallo Pilloni è il primo soldato italiano a tornare con un tumore
dall'Iraq. Lo stesso tipo di cancro che, nel Duemila, aveva colpito il
militare di leva calabrese Fabio Capellano che però non si è trovato mai in
teatri di guerra, ma ha prestato servizio nei poligoni sardi di Teulada e
del Salto di Quirra.
Il dubbio che esista un nesso tra la malattia di Giovanni e la sua
esperienza nelle tante missioni all'estero è fortissima nei suoi familiari.
«Guardi - dice il padre -, mi ha adirittura fatto una mappa di tutti questi
"cimiteri" dove lui è andato: carri armati squarciati, case distrutte,
bossoli da tutte le parti. E lui era lì in mezzo. E' stato anche molte volte
vicino a esplosioni. Tra l'altro, a Nassiriya, era a poche centinaia di
metri da dove è stata compiuta la strage dei carabinieri. Ha anche
partecipato ai soccorsi. Questa in Iraq è stata un'esperienza per lui
terribile. Mi ha infatti raccontato di come venivano depredati i corpi
straziati, di come per un paio di scarpe non si aveva rispetto per i poveri
resti nella polvere. Spaventoso».
Salvatore Pilloni poi conferma che il figlio non ha mai avuto in dotazione
mascherine o guanti per evitare il rischio di una contaminazione da uranio
impoverito: «No, né lui né i suoi commilitoni. Guardi, quando era in Kosovo,
Giovanni ha operato nella zona di Dacovica, proprio dove è stata più alta la
concentrazione di utilizzo di proiettili all'uranio impoverito».
Ora del suo caso si sta occupando anche la dottoressa Gatti del policlinico
universitario di Modena, la studiosa che ha scoperto tracce di metalli
pesanti nei tessuti dei militari italiani ammalatisi di tumore al ritorno
dalle "missioni di pace".
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Ritorna lo spettro dell'uranio impoverito
La denuncia del comitato pacifista "Gettiamo le Basi"
CAGLIARI. Per il comitato "Gettiamo le basi", sulla vicenda del
elicotterista della Marina Militare, Giovanni Pilloni si allunga lo spettro
dell'uranio impoverito. Secondo la denuncia dei pacifisti, il sottufficiale,
arruolatosi all'età di 18 anni, è stato presente in tutti i teatri di guerra
dove sono state usate tonnellate di munizioni al depleted uranium: dalla
prima guerra contro l'Iraq nel 1991, alla Somalia, al Kosovo e, di nuovo, l'
Iraq.
«Al rientro dall'ultima missione, denominata "Antica Babilonia", il
maresciallo il 12 dicembre 2003 è stato ricoverato all'ospedale di
Martinafranca, in Puglia, dove gli è stato diagnosticato un tumore a un
testicolo. La stessa neoplasia - sostengono i componenti del comitato
"Gettiamo le basi" - che nel 2000 ha colpito Fabio Capellano, militare di
leva che non ha conosciuto i vari teatri di guerra, ma ha prestato servizio
nei poligoni di Quirra e Capo Teulada».
I pacifisti rivelano poi una situazione di disagio familiare che impedisce
ai genitori del sottufficiale, di assistere il figlio ricoverato all'
Oncologico di Bari: «Il padre è infatti un grande invalido, mentre la madre
è rimasta paralizzata dopo un intervento chirurgico ed è costretta a vivere
su una sedia a rotelle».
Gian Carlo Bulla