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La bomba ecologica di La Spezia



La bomba ecologica di La Spezia
Viaggio nelle zone off limit del golfo Da qui parte il più grande oleodotto 
d'Italia. Serve a rifornire le basi dell'aeronautica italiana e americana 
di tutto il nord Italia. L'estate scorsa una perdita ha spaventato gli 
abitati della zona. A Porto Venere sperimentano proiettili ma, giurano i 
militari, non all'uranio impoverito
GIORGIO SALVETTI
INVIATO A LA SPEZIA
Caricano proiettili e cannoni in collina e poi li portano giù verso La 
Spezia fino al poligono di tiro di Portovenere. A venti all'ora. Con 
davanti le sirene dei carabinieri. Per le curve della piccola strada che 
costeggia il golfo, attraversando paesini e porticcioli e sfiorando lo 
stabilimento Eni di Panigalia dove attraccano le navi gasiere. Questo è il 
viaggio delle armi che la marina italiana testa al Balipedio Cottrau 
raccontato da chi giorno e notte se le vede passare sotto le finestre di 
casa. E poi si sentono i colpi dei cannoni fino a decine di chilometri di 
distanza, frequenti. Da ottobre a maggio al Balipedio sparano 5.500 
proiettili. Ovviamente, giurano i militari, non c'è traccia di uranio 
impoverito. Ma l'area (11.000 metri quadrati) è protetta dal limite 
militare e chi vive intorno può solo sentire quello che succede là dentro. 
I parlamentari però possono entrare e vedere. Lo hanno fatto nei giorni 
scorsi i deputati Paolo Cento (Verdi) e Elettra Deiana (Prc) su invito del 
Coordinamento per la Pace della Val di Magra. E' stata una doppia 
ispezione: oltre al poligono di Portovenere i deputati hanno ficcato il 
naso anche nei segreti degli impianti di stoccaggio e pompaggio del più 
grande oleodotto d'Italia, una lunga linea per usi militari che dal porto 
di La Spezia arriva fino al confine con la Slovenia, interconnessa con la 
rete di rifornimento in Europa della Nato. L'estate scorsa, durante lavori 
di ristrutturazione dei serbatoi, c'è stata una perdita, gli abitanti del 
vicino comune di Vezzano hanno sentito forte odore di cherosene e da allora 
sono in attesa di sapere cosa sia successo davvero. I precedenti non sono 
per nulla rassicuranti. A La Spezia, ogni volta che si riesce a intaccare 
per poche ore il limite militare, si scopre una piccola parte di una verità 
che tutti sanno ma che nessuno ha il coraggio di denunciare: l'arsenale con 
le sue mille strutture satellite, tra impianti militari e industrie 
armiere, in molti casi chiuse e fatiscenti, è una bomba ecologica fuori dal 
controllo civile e fa parte di un sistema militare internazionale che va 
ben oltre il diritto di difesa nazionale sancito dalla nostra costituzione.

Lo scorso maggio un'altra delegazione parlamentare era entrata nella base 
militare e aveva denunciato la presenza di una discarica di materiale 
ferroso accatastato per decenni su un'area di 17 mila metri quadri 
soprannominata campo di ferro. Dopo alcuni mesi, per iniziativa della 
magistratura, un'indagine ha rivelato che in quell'accozzaglia di lamiere, 
oltre a vari tipi di inquinanti fra cui 13.500 metri cubi di amianto, 
c'erano anche 760 chili di uranio impoverito utilizzato per la 
fabbricazione di vecchie pale di elicottero finite al macero. E per questo 
sono ancora indagati Dino Nascetti e Ermogene Zannini, i due ammiragli che 
negli ultimi sei anni si sono succeduti alla guida dell'arsenale.

"L'altra volta purtroppo avevamo ragione", borbotta Carlo Ermanni del 
Coordinamento per la pace mentre i militari controllano i documenti davanti 
ai cancelli del Balipedio Cottrau. "Niente macchine fotografiche", è un 
ordine. "Non le abbiamo ma la legge concede ai parlamentari di portarle", 
risponde Paolo Cento. "Buongiorno onorevole, come va?", sdrammatizza 
l'ammiraglio Manlio Galliccia. Quattro passi colloquiali, poi tutti in una 
stanza in riva al mare per imparare, come spiegano gli ammiragli, che al 
poligono si fanno sperimentazioni per conto terzi. In pratica la marina 
della Repubblica, a due passi dalle Cinque Terre, fa test per collaudare e 
provare proiettili e cannoni di fabbriche armiere private italiane, prima 
fra tutte l'Oto Melara che dista solo una ventina di chilometri, ma anche 
straniere. La passeggiata continua nel piazzale, un grosso spiazzo di 
cemento quasi a livello del mare. Il piazzale durante l'ispezione era 
irrealisticamente vuoto, c'erano solo le divise graduate degli ammiragli. 
Solo qualche cannoncino è puntato verso tre tunnel distanti qualche decina 
di metri. Sembrano tre gallerie che attraversano la collina, invece sono 
solo tre buchi poco profondi. Le ogive più piccole vengono sparate là 
dentro e i colpi vengono smorzati da un sorta di carrello che sembra il 
vagone di un treno merci. E' fatto di vari strati di legno e sabbia dove 
rimangono le schegge dei proiettili dopo lo sparo. Da lì vengono recuperate 
e ridate alla ditta che li produce per le analisi del caso. "Dopo quanto 
tempo glieli ridate?", chiedono i deputati. "Questioni di giorni", risponde 
l'ammiraglio Galliccia, e non si riesce ad avere una risposta più precisa. 
E in quel magazzino, che c'è? Quello è il deposito munizioni ma è "area 
classificata", l'ordine nelle mani dell'ammiraglio Galliccia è chiaro: 
nessuno può entrare. Possibile? "La legge italiana è ancora più chiara - 
rispondono i deputati - questa è una base italiana e i parlamentari non 
hanno limiti d'acceso". Dopo una sceneggiata di qualche minuto si scopre 
che si tratta invece del capannone per il "confezionamento" delle ogive. Il 
deposito è poco più avanti e questa volta i militari devono aprire le 
porte. Il pavimento è coperto da casse di proiettili di tutte le grandezze. 
Quasi tutti sono targati Oto Melara, ovviamente nessuno all'uranio 
impoverito. I calibri più grossi vengono sparati in mare fino a 30 
chilometri di distanza. E quelli sono proiettili che non si possono più 
recuperare. "Da quel canale si accede al porto - racconta un velista di 
Portovenere - e il blocco dei militari forse può fermare le petroliere in 
transito, ma per i diportisti può essere pericoloso. Fino a poco fa 
sparavano anche d'estate poi si sono accorti che era meglio limitarsi a 
sparare colpi a mare solo d'inverno". E per accorgersi che l'errore umano è 
sempre possibile, nonostante le rassicurazioni dei militari, basta pensare 
che qualche settimana fa un colpo è partito per sbaglio a un pattugliatore 
italiano ormeggiato in rada. Per fortuna è finito in acqua.

"E allora, ammiraglio, naturalmente voi non fate uso di proiettili ad 
uranio impoverito?", è la domanda retorica di Paolo Cento che presto si 
trasforma nell'annuncio di un'imminente interrogazione parlamentare al 
ministro delle Difesa. Carte d'identità restituite, sorrisi, strette di 
mano e mentre la delegazione lascia la base incrocia un bambino con lo 
zainetto. "E' un figlio di militari".

L'ispezione prosegue sulle colline dietro La Spezia, a Vezzano. Dietro un 
incrocio, una strada tra villette e cascine si trasforma in una sterrata in 
mezzo all'umidità e al fango dei boschi di una valle qualsiasi. Si chiama 
val Molinello. Invece è un sito strategico Nato. Qui viene stoccato il 
cherosene e gli altri combustibili e olii che servono a far volare gli 
aerei - italiani, Nato e statunitensi - di tutte le basi dislocate nel nord 
Italia, Aviano compresa. Il combustibile viene risucchiato in Val Molinello 
dalle petroliere approdate a La Spezia fino a 20mila litri l'ora. Viene 
stoccato in serbatoi di cemento armato rinforzati da una lamina in acciaio 
e ricoperti di terra, non solo per impedire il rischio di perdite ma per 
proteggerli da eventuali attacchi. Quei depositi alimentano il più grosso 
oleodotto d'Italia. Il North Italian Pipiline System. Una rete lunga 900 
chilometri che attraversando 135 comuni porta il carburante fino al confine 
con la ex-Jugoslavia. Inaugurato l'1 gennaio del 1960, non ha mai smesso di 
pompare giorno e notte fino a un massimo di 1 milione 600 mila litri al 
giorno (il record durante la guerra in Kossovo). I graduati 
dell'aeronautica che lo gestiscono vantano un sistema a prova di bomba, 
sicuro ed efficiente, "con controlli e precauzioni superiori a qualsiasi 
oleodotto civile". Sarà. Eppure proprio qui l'estate scorsa, durante i 
lavori di ammodernamento di alcuni serbatoi qualcuno avrebbe lasciato 
aperta una pompa "campale", cioè da trasporto e per questo non monitorata 
dai sistemi di sicurezza. Per i militari questi sarebbero gli unici 
incidenti possibili e solo di "lieve entità". Una piccola perdita, dicono: 
al massimo 90 litri. Eppure in paese la paura non è passata, e l'area è 
ancora monitorata dai militari e dall'Arpal: l'acqua del torrente sembra 
pulita ma non è certo che il terreno sia del tutto bonificato.

"La nostra iniziativa era e resta prima di tutto contro la guerra - spiega 
una signora ricoperta di bandiere arcobaleno - volevamo denunciare che i 
militari italiani aiutano gli americani in Iraq. Ma poi abbiamo scoperto 
che l'arsenale è una bomba anche ecologica. Lavoro in ospedale e so che a 
La Spezia sono troppo numerosi i casi di mesotelioma e di forme tumorali 
legate all'inquinamento. Abbiamo toccato un tabù. A La Spezia l'arsenale 
con tutto ciò che gli gira attorno sembra inviolabile. Una città nella 
città. Finché si parla di bandiere arcobaleno e pace in generale, siamo 
tutti insieme sui pullman per Roma, ma quando si tocca l'arsenale e 
l'illusione dei posti di lavoro in troppi preferiscono non ficcare il naso 
nei segreti militari del golfo di La Spezia".






Viaggio nelle zone off limit del golfo Da qui parte il più grande oleodotto 
d'Italia. Serve a rifornire le basi dell'aeronautica italiana e americana 
di tutto il nord Italia. L'estate scorsa una perdita ha spaventato gli 
abitati della zona. A Porto Venere sperimentano proiettili ma, giurano i 
militari, non all'uranio impoverito
GIORGIO SALVETTI
INVIATO A LA SPEZIA
Caricano proiettili e cannoni in collina e poi li portano giù verso La 
Spezia fino al poligono di tiro di Portovenere. A venti all'ora. Con 
davanti le sirene dei carabinieri. Per le curve della piccola strada che 
costeggia il golfo, attraversando paesini e porticcioli e sfiorando lo 
stabilimento Eni di Panigalia dove attraccano le navi gasiere. Questo è il 
viaggio delle armi che la marina italiana testa al Balipedio Cottrau 
raccontato da chi giorno e notte se le vede passare sotto le finestre di 
casa. E poi si sentono i colpi dei cannoni fino a decine di chilometri di 
distanza, frequenti. Da ottobre a maggio al Balipedio sparano 5.500 
proiettili. Ovviamente, giurano i militari, non c'è traccia di uranio 
impoverito. Ma l'area (11.000 metri quadrati) è protetta dal limite 
militare e chi vive intorno può solo sentire quello che succede là dentro. 
I parlamentari però possono entrare e vedere. Lo hanno fatto nei giorni 
scorsi i deputati Paolo Cento (Verdi) e Elettra Deiana (Prc) su invito del 
Coordinamento per la Pace della Val di Magra. E' stata una doppia 
ispezione: oltre al poligono di Portovenere i deputati hanno ficcato il 
naso anche nei segreti degli impianti di stoccaggio e pompaggio del più 
grande oleodotto d'Italia, una lunga linea per usi militari che dal porto 
di La Spezia arriva fino al confine con la Slovenia, interconnessa con la 
rete di rifornimento in Europa della Nato. L'estate scorsa, durante lavori 
di ristrutturazione dei serbatoi, c'è stata una perdita, gli abitanti del 
vicino comune di Vezzano hanno sentito forte odore di cherosene e da allora 
sono in attesa di sapere cosa sia successo davvero. I precedenti non sono 
per nulla rassicuranti. A La Spezia, ogni volta che si riesce a intaccare 
per poche ore il limite militare, si scopre una piccola parte di una verità 
che tutti sanno ma che nessuno ha il coraggio di denunciare: l'arsenale con 
le sue mille strutture satellite, tra impianti militari e industrie 
armiere, in molti casi chiuse e fatiscenti, è una bomba ecologica fuori dal 
controllo civile e fa parte di un sistema militare internazionale che va 
ben oltre il diritto di difesa nazionale sancito dalla nostra costituzione.

Lo scorso maggio un'altra delegazione parlamentare era entrata nella base 
militare e aveva denunciato la presenza di una discarica di materiale 
ferroso accatastato per decenni su un'area di 17 mila metri quadri 
soprannominata campo di ferro. Dopo alcuni mesi, per iniziativa della 
magistratura, un'indagine ha rivelato che in quell'accozzaglia di lamiere, 
oltre a vari tipi di inquinanti fra cui 13.500 metri cubi di amianto, 
c'erano anche 760 chili di uranio impoverito utilizzato per la 
fabbricazione di vecchie pale di elicottero finite al macero. E per questo 
sono ancora indagati Dino Nascetti e Ermogene Zannini, i due ammiragli che 
negli ultimi sei anni si sono succeduti alla guida dell'arsenale.

"L'altra volta purtroppo avevamo ragione", borbotta Carlo Ermanni del 
Coordinamento per la pace mentre i militari controllano i documenti davanti 
ai cancelli del Balipedio Cottrau. "Niente macchine fotografiche", è un 
ordine. "Non le abbiamo ma la legge concede ai parlamentari di portarle", 
risponde Paolo Cento. "Buongiorno onorevole, come va?", sdrammatizza 
l'ammiraglio Manlio Galliccia. Quattro passi colloquiali, poi tutti in una 
stanza in riva al mare per imparare, come spiegano gli ammiragli, che al 
poligono si fanno sperimentazioni per conto terzi. In pratica la marina 
della Repubblica, a due passi dalle Cinque Terre, fa test per collaudare e 
provare proiettili e cannoni di fabbriche armiere private italiane, prima 
fra tutte l'Oto Melara che dista solo una ventina di chilometri, ma anche 
straniere. La passeggiata continua nel piazzale, un grosso spiazzo di 
cemento quasi a livello del mare. Il piazzale durante l'ispezione era 
irrealisticamente vuoto, c'erano solo le divise graduate degli ammiragli. 
Solo qualche cannoncino è puntato verso tre tunnel distanti qualche decina 
di metri. Sembrano tre gallerie che attraversano la collina, invece sono 
solo tre buchi poco profondi. Le ogive più piccole vengono sparate là 
dentro e i colpi vengono smorzati da un sorta di carrello che sembra il 
vagone di un treno merci. E' fatto di vari strati di legno e sabbia dove 
rimangono le schegge dei proiettili dopo lo sparo. Da lì vengono recuperate 
e ridate alla ditta che li produce per le analisi del caso. "Dopo quanto 
tempo glieli ridate?", chiedono i deputati. "Questioni di giorni", risponde 
l'ammiraglio Galliccia, e non si riesce ad avere una risposta più precisa. 
E in quel magazzino, che c'è? Quello è il deposito munizioni ma è "area 
classificata", l'ordine nelle mani dell'ammiraglio Galliccia è chiaro: 
nessuno può entrare. Possibile? "La legge italiana è ancora più chiara - 
rispondono i deputati - questa è una base italiana e i parlamentari non 
hanno limiti d'acceso". Dopo una sceneggiata di qualche minuto si scopre 
che si tratta invece del capannone per il "confezionamento" delle ogive. Il 
deposito è poco più avanti e questa volta i militari devono aprire le 
porte. Il pavimento è coperto da casse di proiettili di tutte le grandezze. 
Quasi tutti sono targati Oto Melara, ovviamente nessuno all'uranio 
impoverito. I calibri più grossi vengono sparati in mare fino a 30 
chilometri di distanza. E quelli sono proiettili che non si possono più 
recuperare. "Da quel canale si accede al porto - racconta un velista di 
Portovenere - e il blocco dei militari forse può fermare le petroliere in 
transito, ma per i diportisti può essere pericoloso. Fino a poco fa 
sparavano anche d'estate poi si sono accorti che era meglio limitarsi a 
sparare colpi a mare solo d'inverno". E per accorgersi che l'errore umano è 
sempre possibile, nonostante le rassicurazioni dei militari, basta pensare 
che qualche settimana fa un colpo è partito per sbaglio a un pattugliatore 
italiano ormeggiato in rada. Per fortuna è finito in acqua.

"E allora, ammiraglio, naturalmente voi non fate uso di proiettili ad 
uranio impoverito?", è la domanda retorica di Paolo Cento che presto si 
trasforma nell'annuncio di un'imminente interrogazione parlamentare al 
ministro delle Difesa. Carte d'identità restituite, sorrisi, strette di 
mano e mentre la delegazione lascia la base incrocia un bambino con lo 
zainetto. "E' un figlio di militari".

L'ispezione prosegue sulle colline dietro La Spezia, a Vezzano. Dietro un 
incrocio, una strada tra villette e cascine si trasforma in una sterrata in 
mezzo all'umidità e al fango dei boschi di una valle qualsiasi. Si chiama 
val Molinello. Invece è un sito strategico Nato. Qui viene stoccato il 
cherosene e gli altri combustibili e olii che servono a far volare gli 
aerei - italiani, Nato e statunitensi - di tutte le basi dislocate nel nord 
Italia, Aviano compresa. Il combustibile viene risucchiato in Val Molinello 
dalle petroliere approdate a La Spezia fino a 20mila litri l'ora. Viene 
stoccato in serbatoi di cemento armato rinforzati da una lamina in acciaio 
e ricoperti di terra, non solo per impedire il rischio di perdite ma per 
proteggerli da eventuali attacchi. Quei depositi alimentano il più grosso 
oleodotto d'Italia. Il North Italian Pipiline System. Una rete lunga 900 
chilometri che attraversando 135 comuni porta il carburante fino al confine 
con la ex-Jugoslavia. Inaugurato l'1 gennaio del 1960, non ha mai smesso di 
pompare giorno e notte fino a un massimo di 1 milione 600 mila litri al 
giorno (il record durante la guerra in Kossovo). I graduati 
dell'aeronautica che lo gestiscono vantano un sistema a prova di bomba, 
sicuro ed efficiente, "con controlli e precauzioni superiori a qualsiasi 
oleodotto civile". Sarà. Eppure proprio qui l'estate scorsa, durante i 
lavori di ammodernamento di alcuni serbatoi qualcuno avrebbe lasciato 
aperta una pompa "campale", cioè da trasporto e per questo non monitorata 
dai sistemi di sicurezza. Per i militari questi sarebbero gli unici 
incidenti possibili e solo di "lieve entità". Una piccola perdita, dicono: 
al massimo 90 litri. Eppure in paese la paura non è passata, e l'area è 
ancora monitorata dai militari e dall'Arpal: l'acqua del torrente sembra 
pulita ma non è certo che il terreno sia del tutto bonificato.

"La nostra iniziativa era e resta prima di tutto contro la guerra - spiega 
una signora ricoperta di bandiere arcobaleno - volevamo denunciare che i 
militari italiani aiutano gli americani in Iraq. Ma poi abbiamo scoperto 
che l'arsenale è una bomba anche ecologica. Lavoro in ospedale e so che a 
La Spezia sono troppo numerosi i casi di mesotelioma e di forme tumorali 
legate all'inquinamento. Abbiamo toccato un tabù. A La Spezia l'arsenale 
con tutto ciò che gli gira attorno sembra inviolabile. Una città nella 
città. Finché si parla di bandiere arcobaleno e pace in generale, siamo 
tutti insieme sui pullman per Roma, ma quando si tocca l'arsenale e 
l'illusione dei posti di lavoro in troppi preferiscono non ficcare il naso 
nei segreti militari del golfo di La Spezia".

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