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"Lavoro per la DynCorp". Gli agenti Cia licenziati da Carter ora mercenari in Iraq



Corriere della Sera 19/1/04


La testimonianza

RITORNO A BAGDAD

di SEAN PENN (regista americano)


(...) Stiamo guidando lungo una delle principali arterie che attraversano 
Bagdad. Dopo circa dieci minuti, sul lato opposto della strada, vedo 
un'unità militare americana che lancia un raid contro un edificio di 
appartamenti. Lo registro con la videocamera mentre passiamo accanto. Li 
riprendo con lo zoom attraverso il finestrino posteriore mentre abbattono a 
calci le porte e resto fisso sulla scena finché le immagini diventano 
troppo piccole per essere utili.
Sto per spegnere la videocamera quando avverto una forte luce sulla mia 
spalla destra. Mantenendo la videocamera sull'occhio inquadro sei soldati 
iracheni armati accanto a una postazione fortificata. Uno degli uomini 
armati grida qualcosa in arabo verso di me e punta il fucile verso la 
videocamera. Improvvisamente siamo bloccati nel traffico.
Spengo la videocamera e la lascio cadere ai miei piedi mentre fucili e voci 
si levano e si muovono verso di noi. Veniamo circondati e tenuti sotto tiro 
da sei guardie che ci tirano fuori dal taxi. Ci sono molte grida e il mio 
autista è spaventato. Siamo spinti fuori dalla zona illuminata della strada 
e adesso, in piedi in un vicolo scuro di Bagdad, braccia e gambe allargate, 
sono circondato da sei iracheni in giubbotti di pelle, i loro kalashnikov 
puntati su di me (...) Invece di spiegare questo in arabo, non parlo, 
aspetto il comandante di questa milizia ancora non identificata. Quando 
arriva, vengo perquisito. Non è la perquisizione casuale di dilettanti, ma 
piuttosto di persone convinte che troveranno unarma. E alla fine il 
comandante parla. Parla in inglese, controllando il passaporto e le 
credenziali che ha sfilato dalla mia tasca. Parla in buon inglese. 
Quest'uomo non è iracheno. Ma non riesco a identificare il suo accento. 
Forse sudafricano.
Quindi viene raggiunto da un altro uomo vestito in quella che chiamerei 
tenuta militarizzata della Cia: stivali militari con pantaloni mimetici 
infilati dentro, maglietta civile con una targa di identificazione su una 
lunga catena attorno al collo che non si riesce a leggere nel buio. Questo 
qui parla texano. Mi vengono chiesti i perché e i percome della mia 
presenza e della videocamera. Chiedo con innocente curiosità con chi ho a 
che fare.
Il texano mi informa stringato: «Lavoro per la DynCorp».
Chiedo un biglietto da visita.
Altrettanto stringato, dice: «Non ho un biglietto», poi indica la targhetta 
allacciata al collo, «solo questo identificativo».
Da allora ho fatto un po' di ricerche, e questo è ciò che ho trovato: la 
DynCorp è una presenza incombente a Bagdad. Società militare privata, la 
DynCorp venne creata alla fine degli anni 40 e ricevette una grande spinta 
di reclutamento dopo il licenziamento di migliaia di operativi della Cia da 
parte del presidente Carter alla fine degli anni 70.
Le società militari private, e ce ne sono molte, tendono ad essere composte 
e dirette da generali in pensione, funzionari della Cia, professionisti 
dellantiterrorismo, gente delle forze speciali e così via. Le forze della 
DynCorp sono mercenarie. I loro contratti hanno incluso azioni segrete per 
conto della Cia in Colombia, Perù, Kosovo, Albania e Afghanistan.
Nel 1999, la compagnia contava 25 mila impiegati. Personale della DynCorp, 
sotto contratto per la polizia delle Nazioni Unite in Bosnia, venne 
accusato di traffico di prostitute, incluse bambine di dodici anni. Quando 
diversi impiegati della DynCorp vennero anche accusati di aver 
videoregistrato lo stupro di una delle donne, limpiegata Kathy Bolkovac 
lanciò lallarme e venne immediatamente licenziata dalla compagnia. La 
DynCorp è uno dei primi 25 appaltatori del governo americano, con proventi 
per 2,3 miliardi di dollari nel 2002. Sono impiegati della DynCorp che 
forniscono il servizio di sicurezza per il presidente afghano Hamid Karzai. 
L'ex direttore della Cia James Woolsey è uno dei principali azionisti.
Ci dirigiamo attraverso il parcheggio verso la nostra macchina, quando BAM! 
Un colpo di fucile a circa 70 metri. Ecome essere colpiti su un orecchio 
con una tavola. Ali mi chiede se sono infastidito dai costanti spari a 
Bagdad. Rispondo «no, se non lo sei tu». Ma noto che i miei passi si 
affrettano mentre ci avviciniamo alla macchina.
Elora di punta in una zona di guerra. Ci sono spari, azioni militari, pale 
di elicotteri che ruotano e richiami alla preghiera. Tutte queste facce nel 
traffico, che mi guardano, un occidentale. Facce sospettose. O forse sono 
io che sono sospettoso?
Attraversato il ponte sul fiume Tigri, faccio scendere Ali su un viale 
vicino a casa sua. Ci facciamo una foto assieme e prometto di mandargli una 
copia. Mi scrive un indirizzo email su Hotmail. Hotmail.com? Questo mondo 
sta diventando troppo piccolo per la guerra.
Esco davanti all'hotel per fumare una sigaretta. Ed eccoli qui, un'altra 
unità di uomini di una società militare privata che lucidano i loro fucili, 
vestiti di giubbotti antiproiettile mentre scaldano i motori dei loro 
veicoli blindati. Dall'hotel esce il loro cliente. Anche lui ha una 
catenella attorno al collo con una targhetta didentificazione, mi vede e 
dice «Hey, non sei...?».
«Sì», dico. «La tua targhetta dice appaltatore. Cosa costruisci?».
E con un sorriso, dice: «Elezioni».
«Come fai?»
Sogghigna un po' e dice: «In qualunque modo».
(Che questo tizio venga dalla Florida?)

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Reportage scritto per San Francisco Chronicle

N.B. Il Corriere della Sera non riporta né nel titolo né nel sommario alcun 
cenno a questo importante aspetto del reportage di Penn; lo presenta invece 
come il racconto di un registra che un anno fa era contro la guerra e ora 
invece apprezza i "semi di libertà" portati dalle truppe Usa. Il titolo è 
infatti "Avete riportato i semi della libertà. Ora mantenete le promesse". 
Il sommario: "L'attore e regista Sean Penn, contrario alla guerra, torna in 
Iraq un anno dopo. 'Ho trovato gente che finalmente può parlare e che sa 
anche criticare l'America'."
  A. M.