[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

Fwd: [Nowar-Bo] Fw: [unponteper] articolo sulla manifestazione di sabrina e simona





>29 e 30 luglio 2003 Manifestazione
>
>E' il 29 luglio ci troviamo in Al Rashid Street, sta per iniziare la
>manifestazione organizzata dall'Unione dei Disoccupati Irakeni  cui ha
>aderito il Partito Comunista dei Lavoratori. Ci sono gia' molti uomini di
>tutte le eta' che oggi sfileranno per le strade di Baghdad
>rivendicando un posto di lavoro ed un salario, dato che sono 4 mesi che
>nessuno di loro percepisce uno stipendio. Dalle prime parole
>che ascoltiamo sentiamo un profondo senso di rabbia misto ad impotenza, ma
>non a rassegnazione ed oggi lo vogliono dimostrare.
>"Andremo a manifestare davanti agli americani che hanno occupato il nostro
>paese" uno di loro ci dice. Hanno creato questa Unione
>appena finita la guerra, "voglio e posso lavorare, i miei anni vanno veloci
>ed io non faro' niente, non parlo solo per me, ma per i tanti
>come me."
>Il corteo comincia a muoversi, arrivano tante persone, notiamo in seconda
>fila uno striscione dell'Organizzazione delle Donne Irakene,
>portato pero' da uomini e inoltre ci accorgiamo che ci sono solo 3 o 4
>donne. Durante il percorso lo slogan urlato e ripetuto
>continuamente e' " we want job"; alcuni giovani distribuiscono volantini e
>questo ci da' la sensazione che ci sia stata una preparazione
>per la riuscita dell'iniziativa.
>Arriviamo davanti all'ex palazzo presidenziale bombardato durante la guerra
>oggi interamente circondato di filo spinato, di carri armanti
>e trasformato nel quartier generale di Paul Bremer. Il corteo si ferma al
>centro dell'incrocio per bloccare il traffico e farsi vedere ed
>ascoltare, mentre i marines sono pronti con le loro armi. Subito dopo di
>fronte al palazzo viene allestita una tenda, vengono disposti
>attorno gli striscioni e gli irakeni si preparano a resistere, chiedendo
>fermamente di essere ascoltati.
>Fra i volti intorno a noi notiamo una ragazza, ci avviciniamo per conoscerla
>e per sentire ogni tanto una voce di donna fra tante voci
>maschili. Si chiama Fatma, e' una giornalista, lavora in un giornale di
>opposizione e partecipa alla manifestazione. Ce l'ha con gli
>americani e non vuole che il futuro del suo paese venga deciso da loro, ci
>dice che gli americani non fanno nulla per loro ed anche un
>intervento ONU, suggerito da uno del gruppo, non le ispira particolare
>fiducia. Conclude dicendoci che dopo la guerra la situazione per le
>donne e' peggiorata terribilmente e non hanno piu' alcuna liberta' di
>movimento.
>Girando fra le persone vicino alla tenda raccogliamo ogni tanto qualche
>testimonianza resa sempre spontaneamente; sono sempre loro
>a cercarci, a raccontarci e soprattutto a chiederci di essere la loro voce
>almeno nel nostro paese. Ci chiedono di raccontare la verita',
>quella vera non quella artificialmente costruita dai mass-media
>internazionale che stanno ricoprendo di menzogne il presente di questo
>paese.
>Hussein Al-Amsan ci ferma e ci spiega "e' un anno circa che non lavoro, ero
>contro il regime di Saddam ed oggi non ricevo niente. Non
>posso rubare e quindi non so come vivere". Il suo sguardo e' triste, ma non
>sembra un uomo rassegnato.
>Youssuf, nostro amico di Baghdad, si guarda intorno; notiamo il suo sguardo
>stupito e gli chiediamo perche', ci sorride e ci risponde "
>una cosa del genere non si era mai vista a Bagdad".
>Nonostante la mancanza assoluta di forme di organizzazione sociale in Iraq,
>oggi guardando queste centinaia di persone unite su una
>piattaforma comune di rivendicazione sociale e politica in quanto chiedono
>lavoro, ma chiedono anche la fine dell'occupazione
>americana, ci appare possibile la prospettiva di un popolo che sapra' unirsi
>sempre di piu' e condividere una lotta complessiva e
>soprattutto collettiva per la conquista di diritti troppo a lungo negati.
>Finita la manifestazione veniamo salutati dai sorrisi, dal calore, dal loro
>grazie "shukram".
>In serata veniamo avvertiti da una pacifista polacca che all'alba i marines
>hanno deciso di rimuovere la tenda dei disoccupati.
>
>All'alba del 30 luglio torniamo di fronte al quartier generale degli
>americani.
>La tenda allestita dai disoccupati non c'e' piu', alle 2 di notte sono
>arrivati i marines che all'ordine del capitano Neuman, come
>scopriremo piu' tardi, hanno eliminato la tenda, con violenza, buttando a
>terra i contenitori dell'acqua che avevano gli irakeni. E' terribile
>la scena di desolazione e quasi di sconfitta che abbiamo davanti, gli
>irakeni non hanno diritto a vivere, ne' a manifestare.
>La pacifista polacca ci dice che nella notte 19 di loro sono stati arrestati
>e portati dentro all'ex palazzo presidenziale dai marines e non
>se ne sa alcuna nulla. Decidiamo di andare a parlare con i marines che
>presidiano l'ingresso del palazzo, ci avviciniamo e chiediamo ad
>uno di loro dove siano e perche' siano stati arrestati, visto che la polizia
>irakena aveva autorizzato sia la manifestazione che la tenda. Il
>marine balbetta qualche parola, chiaramente impreparato alle nostre domande,
>e se la cava dicendoci che le persone arrestate avevano
>violato il coprifuoco.
>Torniamo indietro visto l'inutilita' di questo colloquio.
>Dopo un paio d'ore tornando nella piazza vediamo la tenda di nuovo montate
>ed una presenza enorme ed inquietante di marines
>armati che ci circondano con il dito pronto sul grilletto; l'atmosfera si fa
>pesante, elicotteri attraversano continuamente il cielo, gli irakeni
>gridano la loro rabbia e noi decidiamo di rimanere, perche' la loro lotta e'
>anche la nostra.
>Dopo una difficile e tesa trattativa con uno dei capi americani una piccola
>delegazione di irakeni viene ricevuta all'interno del palazzo;
>tutti noi rimaniamo ad aspettare con un senso di preoccupazione misto a
>rabbia per l'arroganza e la violenza dimostrata come al solito
>dagli americani.
>Passa un'ora e finalemente e' il momento dei sorrisi,degli applausi, della
>gioia di una vittoria che puo' sembrare piccola, ma che in
>realta' e' densa di significati: i 19 irakeni sono stati liberati e tornano
>dai loro compagni sotto la tenda, che esiste ancora con i suoi
>striscioni e con la voglia di lottare di tutti coloro che l'hanno costruita.
>E' un momento intenso, uno di quei momenti in cui senti che vale
>la pena vivere, abbiamo condiviso una esperienza straordinaria, in cui
>abbiamo toccato con mano la vitalita', nonostante tutto, di questa
>gente.
>Kassim, segretario generale dell'Unione dei Disoccupati, e' stato uno dei 19
>arrestati; ci racconta " ieri avevamo chiesto il permesso per
>la tenda anche alle forze americane, ma non e' servito a nulla". Il suo
>volto e' stravolto, ma i suoi occhi brillano di gioia per la liberta'
>sua e dei suoi compagni. Ci dice " gli americani sono venuti in 6 con una
>grande macchina, ci hanno svegliato, ci hanno dato dei calci e
>ci hanno portato dentro il palazzo, in una stanza sporca dove per 8 ore
>siamo stati solo per terra, senza acqua ne' cibo. Un soldato
>voleva darci dell'acqua, ma un superiore lo ha impedito. Verso le 6 del
>mattino un compagno si e' sentito male, ma non solo non ha
>ricevuto aiuto, ma i soldati hanno detto che fingeva". Ci saluta, desidera
>stare fra i suoi compagni e ci ringrazia per essere stati li'.
>Questo shukram, come tutti quelli ricevuti in questi giorni intensi, ci fa
>tremare il cuore e ci restituisce il senso della partecipazione attiva
>e concreta alla lotta di questo popolo che oggi comincia a far sentire la
>sua voce.
>E sara' una voce che non si spegnera'.
>Sabrina e Simona
>
>
>
>
>