Per quanto sarà possibile cercherò di
inserire la questione negli articoli che compariranno sul Regno e sull'organo di
informazione dell'Associazione Papa Giovanni XXIII. Ciao
achille
----- Original Message -----
Sent: Friday, February 01, 2002 11:52
AM
Subject: modifiche in corso alla legge
185/90 sull'esportazione di armi
Vi invio alcune note su un disegno di
legge attualmente in discussione che comporta modifiche alla legge n.185/90,
la legge italiana sulla trasparenza e il controllo del commercio di armi, una
delle più avanzate e lungimiranti nel contesto europeo ed internazionale. Le
modifiche riducono drasticamente controlli, trasparenza e divieti per una
parte rilevante dell export italiano di armamenti. Il ddl, presentato dall
attuale governo, è molto simile ad uno precedente presentato dal governo D
Alema, ma bloccato da ong come Amnesty ed Archivio Disarmo. E quindi
prevedibile che verrà approvato in tempi brevi. L Osservatorio sul commercio
delle armi vuole quantomeno informare opinione pubblica e parlamentari sulle
possibili conseguenze di tali modifiche.
Per saperne di più potete
leggere direttamente il ddl 1927 (su internet camera deputati).
Osservatorio sul Commercio delle armi
IRES (Istituto Ricerche Economiche e Sociali) TOSCANA Via di Novoli,
42 - Firenze Tel. 055/4288312 - 4288320 Fax 055/4265784 E-mail
staff@irestoscana.it internet http://www.irestoscana.it
IL DISEGNO DI LEGGE N.1927 CHE MODIFICA LA L. N. 185/90
SULLA TRASPARENZA E IL CONTROLLO DEL COMMERCIO DI ARMI ITALIANE: CONSEGUENZE E
RISCHI SULLA PACE E SICUREZZA INTERNAZIONALE.
Oscar
(Osservatorio sul Commercio delle armi di Ires Toscana)
E’ attualmente
in discussione nelle Commissioni riunite Esteri e Difesa il disegno di legge
n.1927 recante la ratifica ed esecuzione dell’accordo quadro relativo alle
misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea
, che comporta, al contempo, emendamenti la legge n. 185/90 sulla
trasparenza e il controllo del commercio di armi La modifica principale
consiste nell’introduzione di un nuovo tipo di autorizzazione alle
esportazioni di armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di
progetto. Per quanto si inserisca nell’ottica dell’integrazione
dell’industria europea degli armamenti, gli emendamenti introdotti possono
avere conseguenze sulla trasparenza e il controllo del commercio delle armi,
sulla pace e sicurezza sia italiana che internazionale. Il risultato è che
una parte significativa delle esportazioni di materiale di armamento
semplicemente scomparirà dalle possibilità di controllo degli organi
parlamentari, della stampa e dell’opinione pubblica. Ugualmente le
tradizionali rielaborazioni su tipo di armi esportate, imprese, banche
coinvolte e paesi destinatari, le analisi sul trend realizzate da Oscar ogni
anno non saranno più possibili per una parte rilevante dell’export italiano di
materiale di armamento Su tale parte di export italiano non si applicheranno
le normali procedure autorizzatorie né i normali controlli.
Per
comprenderne la portata e il contesto nel quale si inseriscono è utile avere
due parametri di riferimento: la legge n.185/90 recante “Nuove norme sul
controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di
armamento” ed alcuni riferimenti all’ “Accordo quadro relativo alle
misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea”
che con tale disegno di legge si vuole ratificare.
a) I tratti
salienti della legge vigente
La legge n.185/90, come noto, è un
insieme organico di norme che regola la trasparenza e il controllo del
commercio italiano di materiali di armamenti. I tratti distintivi della
normativa sono identificabili nei seguenti tre punti:
1. il
principio secondo cui le esportazioni sono subordinate alla politica
estera dell’Italia, alla Costituzione e ad alcuni principi del diritto
internazionale, segnando la fine del commercio di armi a basso grado di
responsabilità, da cui discendono i divieti di cui all’art.1.5 e 1.6
(tra cui il divieto di esportare armi se queste contrastino con la lotta al
terrorismo internazionale, il divieto di esportare a stati che responsabili di
violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani e il divieto di
esportare a paesi in stato di conflitto), che hanno anticipato i criteri del
Codice di Condotta Europeo;
2. il
sistema di autorizzatorio e di controllo che prevede chiare procedure
di rilascio di delle autorizzazione e meccanismi di controllo successivi,
segnando una chiara distinzione tra mercato lecito e illecito. Secondo la
legge vigente esiste un solo tipo di autorizzazione individuale per ogni
prodotto finito, pezzo o componente esportato. Il procedimento autorizzatorio
è estremamente articolato e vede il concorso di diversi ministeri. Nella
domanda di autorizzazione singola devono essere indicati, tra le altre cose,
il tipo, il quantitativo e il valore del materiale esportato, i compensi per
intermediazione, il destinatario intermedio e quello finale (nel caso in cui
il materiale venga assemblato in un paese estero ed esportato ad un terzo
paese). Alla domanda deve essere altresì allegato un certificato di
uso finale, firmato dalle autorità del paese che importa il materiale,
attestante che il materiale non verrà riesportato senza previa autorizzazione
dell’Italia. Sono inoltre obbligatore l’autorizzazione alle transazioni
bancarie, rilasciata dal Ministero del Tesoro, e la certificazione a
dogana che viene comunicata al Ministero delle finanze. L’alto grado di
collegialità ministeriale permette controlli incrociati ed limita possibilità
di abusi o collusioni. Infine restano attivi controlli successivi quali il
certificato di arrivo a destino e il controllo sull’uso finale. Tutti
questi dati sono infine riportati nei loro valori, quantitativi, industrie
esportatrici e destinazioni nei vari allegati della relazione annuale
presentata al Parlamento, che svolge il ruolo di ulteriore indirizzo e
controllo. L’obiettivo è quello di limitare le triangolazioni e impedire che
pezzi o materiali finiti di fabbricazione italiana finiscano nelle mani di
stati o di privati inaffidabili.
3. Di
estrema importanza è il divieto di cedere armi quando manchino adeguate
garanzie sulla destinazione finale, richiedendo che alla domanda di
autorizzazione sia allegato un certificato di uso finale attestante che
il materiale non verrà riesportato senza preventiva autorizzazione
dell’Italia. E’ rilevante che la legge richieda che il CUF sia rilasciato
dalle autorità governative: per cercare di evitare traffici illeciti e il
fenomeno delle triangolazioni si mira a
coinvolgere le autorità del paese in modo da impegnarlo a svolgere un’attività
di controllo sugli operatori economici e a limitare il fenomeno delle
triangolazioni.
4. Infine
la legge recepisce le istanze di trasparenza interna ed esterna emerse
in sede ONU prevedendo un’ampia e significativa informazione al Parlamento, e
quindi all’opinione pubblica, sulle esportazioni e importazioni di armi
italiane, tramite la presentazione di una relazione annuale al Parlamento del
Presidente del Consiglio dei Ministri, che riporta dati dettagliati su azienda
fornitrice, materiale esportato, valore, destinatario finale, banche
coinvolte, etc.
Per tali norme e principi l’Italia si colloca in una
delle posizioni più avanzate a livello europeo, sul versante della
trasparenza, dei controlli e delle prevenzione dei conflitti, ed è risultata
uno dei paesi meno coinvolti nel riarmo di paesi instabili quali ex
Jugoslavia, Iraq e Afghanistan. b) le
modifiche introdotte dal disegno di legge
La modifica principale
consiste nell’introduzione di un nuovo tipo di autorizzazione alle
esportazioni di armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di
progetto. Secondo l’art.7 del ddl, essa viene “ rilasciata a singolo
operatore, quando riguarda esportazioni, importazioni o transiti di materiali
di armamento da effettuare nel quadro di programmi congiunti
intergovernativi o industriali di ricerca, sviluppo, produzione di materiali
di armamento svolti con imprese di Paesi membri dell'UE o della
NATO”, con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi che garantiscano il
rispetto dei principi ispiratori della legge. In sintesi, per ciascun
programma di coproduzione realizzato con un paese Nato o dell’Unione
Europea, un’unica autorizzazione globale si sostituisce alle singole
autorizzazioni finora vigenti per l’esportazione di ogni specifico pezzo e
componente. Per ottenerla l’operatore deve dichiarare solo “la descrizione
del programma congiunto; le imprese dei paesi di destinazione o di provenienza
del materiale; il tipo di materiale”(art. 6 ddl).
c) Le
conseguenze sulla legge n.185/90
In linea generale (con
i distinguo che andremo ad illustrare relativi alle coproduzioni con cinque
paesi europei che hanno firmato l’accordo quadro), nel caso di
autorizzazione globale di progetto:
1. non
si applicano le tradizionali procedure autorizzatorie: scompaiono
quindi i riferimenti nella domanda di autorizzazione all’esportazione
al numero dei pezzi, al valore, al destinatario finale, alle
intermediazioni finanziarie, sia per i pezzi e componenti esportati, sia per
il prodotto finito (art. 6 del ddl).
2. non
si applica il sistema di controlli previsto dalla legge per le normali
esportazioni. Tali esportazioni sono esenti dai controlli bancari
(art.11. del ddl), e non viene richiesto né il certificato di arrivo a
destino, nè il certificato di uso finale (art. 10 del ddl).
Informazioni, procedure e controlli sono drasticamente ridotti non solo
per i singoli pezzi e componenti esportati, ma anche per il prodotto finito.
Esse non riguardano solo gli scambi tra i paesi Nato e UE, ma anche i casi di
esportazione a paesi terzi o privati del materiale coprodotto dall’Italia ed
assemblato in un paese partner .
3. Il governo
chiede di essere informato solo sulla destinazione intermedia e non su quella
finale del materiale coprodotto. In altre parole il rilascio della licenza
equivale ad un’abdicazione di sovranità e responsabilità e si traduce in
una delega in bianco sulla scelta dei paesi di destinazione finale
(anche extra europeo o extra Nato, anche repressivo o aggressivi o a
privati inaffidabili) alle autorità del paese con cui si coproduce, senza
che le nostre autorità possano controllare nulla in merito. Il riferimento
all’adesione ai principi della nostra normativa risulta estremamente generico
e insufficiente a garantirne il rispetto dei divieti e dei controlli.
Secondo il magistrato Bellagamba “E’ così legittimata la
triangolazione”. In una prospettiva più ampia europea, la prassi della
delega favorirà lo spostamento della capacità manifatturiera e di
assemblamento nei paesi con minori barriere all’esportazione e, al contempo,
un’armonizzazione verso il basso delle normative sulla trasparenza e
controllo;
4. Ugualmente
i divieti previsti dall’art-1 della legge saranno applicati solo sul
paese di destinazione intermedia (il paese Nato o UE con cui si coproduce) e
non su quello di destinazione finale (che può essere in contrasto con i
divieti della legge italiana) come accadeva fino adesso, il che li rende
superflui;
5. Nel caso di
autorizzazione globale di progetto viene drasticamente limitato anche il
grado di trasparenza, di indirizzo e controllo parlamentare. Per ciò
che concerne le esportazioni che godono di autorizzazione globale dalla
relazione scompariranno informazioni circa valore, destinatario finale,
controlli bancari etc. Non sarà nemmeno più possibile desumere dalla
relazione, come negli anni passati, un quadro completo e corretto sul valore
aggregato delle nostre esportazioni, operare le tradizionali ù analisi
diacroniche sul trend e avere un quadro chiaro di esportazioni per paese
e per valore.
Il campo di applicazione è molto vasto ed è prevedibile
che, in pochi anni, essa coprirà una parte rilevante delle nostre
esportazioni di armi. La licenza si applica a tutti i progetti di
coproduzione realizzati in con paesi della Nato o dell’Unione Europea, che
abbiano genericamente aderito ai principi della nostra normativa. Considerando
che i programmi di coproduzione intergovernativa coprono già il
50% degli scambi in ambito europeo e che tale percentuale è
destinata ad aumentare in seguito al processo di integrazione e
globalizzazione dell’industria si può avere una prima stima della
portata della modifica. A tale quota va aggiunta la percentuale di
coproduzioni interindustriali: secondo la formulazione dell’emendamento
all’art.13 della legge, infatti, le procedure semplificate non si applicano
solo agli accordi intergovernativi, “più sicuri” in quanto prevedono un
accordo preventivo tra governi, ma anche ad accordi tra industrie dei paesi
sopra elencati.
e) Un’ulteriore modifica
Il disegno di
legge prevede un’ulteriore modifica che riguarda il divieto di esportare a
paesi i cui governi siano responsabili di accertate violazioni dei diritti
umani. Il nuovo testo precisa che le violazioni delle convenzioni devono
essere gravi e accertate da appropriati organi dell’UE e dell’ONU. L’aggiunta
dell’aggettivo gravi restringe la cerchia dei paesi che ricadono
all’interno del divieto.
, viene motivata con la necessità di
“adeguarsi al criterio numero 2 previsto dal "Codice di condotta", che
prevede la specificità della gravità per le violazioni dei diritti dell'uomo”.
Merita precisare che il Codice di Condotta, approvato nel 1998 e non
vincolante giuridicamente, è stato inteso come una base di partenza, un minimo
comun denominatore sul quale costruire una regolamentazione più rigorosa e
vincolante. I criteri che introduce, specifica lo steso documento,
“should be regarded as the minimum for the management of, and restraint
in, conventional arms transfers by all EU Member”. Ed ancora, nelle
disposizioni operative è precisato che il Codice “non ostacolerà il diritto
degli Stati membri di operare politiche nazionali più restrittive”.
f) Il contesto europeo e l’accordo quadro per la ristrutturazione
dell’industria Le modifiche introdotte dal disegno di
legge sono motivate dalla necessità di adeguarsi e ratificare un accordo
internazionale: l’accordo quadro per la ristrutturazione dell’industria
europea della difesa ("Framework Agreement Concerning Measures to Facilitate
the Restructuring and Operation of the European Defense Industry")
presentato il 27 luglio 2000. L’accordo, come noto firmato e ratificato
da altri cinque paesi (Francia Gran Bretagna, Spagna, Germania e Svezia) è
nato su spinta dei rappresentanti delle industrie europee degli armamenti
con il fine di facilitare il processo di integrazione e di ristrutturazione
dell’industria. A tal fine l’accordo introduce appunto la licenza
globale di progetto da applicare a singoli programmi di coproduzione
intergovernativa realizzati solo tra i sei paesi che hanno ratificato
l’accordo e che si sono impegnati a rispettare le norme in esso
contemplate. Tale licenza si sostituisce alle singole autorizzazioni e
copre tutto il progetto di coproduzione non preclude la richiesta di
certificati di arrivo a destino e di utilizzo delle società, né i controlli a
dogana. Al contempo, per definire le destinazioni finali dei materiali
coprodotti, l’accordo prevede l’obbligo di una procedura di decisione
comune tra le autorità dei paesi partecipanti ad una coproduzione, volta a
definire assieme una lista di destinazioni lecite, cui esportare il prodotto
finito. La procedura è quella del consensus, molto simile
all’unanimità, la quale conferisce a ciascun paese partecipante alla
coproduzione una sorta di diritto di veto nel bloccare l’inserimento
nella lista di un paese ritenuto, secondo la propria politica e normativa, a
rischio, aggressivo o repressivo. In tal modo, almeno formalmente si
favoriscono i paesi con le normative più avanzate (Italia, Svezia,
Germania) e un processo di orientamento dei criteri esportativi verso
standard alti. Ogni paese le cui industrie partecipino alla coproduzione
mantengono quindi una responsabilità e potere sulla definizione delle
destinazioni finali.
Per quanto l’accordo quadro presenti vaghezze e
limiti soprattutto sul versante politico e della trasparenza, è’ evidente che
le modifiche introdotte dal ddl si spingono oltre a quanto previsto
dall’accordo sui seguenti punti:
1. La
differenza principale, consiste nel fatto che licenza di progetto
globale prevista dal ddl non si applica solo alle coproduzioni con i cinque
paesi partner, e che si sono impegnati a rispettarne gli obblighi, come
previsto dal trattato, ma anche ai restanti paesi dell’Unione Europea o
della Nato. Per i paesi che non hanno aderito all’accordo quadro
(Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Islanda,
Lussembugo, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Turchia, Stati
Uniti, etc. alcuni dei quali hanno legislazioni estremamente permissive e
controlli molto blandi) non valgono le norme relative alla procedura del
consensus per definire assieme la lista delle destinazioni lecite. Nei
confronti di tali paesi, il rilascio della licenza globale di progetto
equivale a conferire una delega in bianco sulla scelta delle destinazioni
finali anche a paesi extra europei ed extranato, senza che le nostre autorità
possano controllare nulla in merito, favorendo una deresponsabilizzazione e un
ammorbidimento verso il basso. Tale estensione contraddice lo spirito
dell’accordo quadro, che prevede invece una responsabilizzazione di tutti gli
stati partecipanti alla coproduzione nella definizione delle destinazioni
lecite. Inoltre la licenza non si applica solo a coproduzioni
intergovernative, come previsto dall’accordo quadro, che quindi prevedono
quantomeno un controllo statuale a priori minimo sia sulla coproduzione che
sulle industrie, ma anche a qualsiasi coproduzione interindustriale. E’
quindi sufficiente per una società italiana stringere un accordo con una
qualsiasi società ad es. turca (anche costituita ad hoc) per godere
delle procedure semplificate e aggirare i tratti salienti della legge n.185/90
(Bellagamba, magistrato).
Conclusioni
In sintesi gli
effetti delle modifiche apportate dal disegno di legge sulla attuale normativa
italiana, incidono, per una parte rilevante delle nostre esportazioni, sugli
aspetti salienti della legge n.185/90: principi, trasparenza, controlli,
divieti. In generale lo spirito che lo informa sembra essere quello di
una riduzione piuttosto drastica e frettolosa di alcuni elementi essenziali
della legislazione nazionale, quando ancora la regolamentazione multi o
sovranazionale non risulta sufficientemente forte, dettagliata o estesa,
delegando a paesi con normative meno avanzate delle nostre l’applicazione di
divieti controlli e trasparenza.
Le motivazioni di tali modifiche sono
quelle di facilitare l’integrazione dell’industria degli armamenti e di
adeguarsi a strumenti multinazionali, in particolare l’accordo quadro per la
ristrutturazione dell’industria. A prescindere da alcune inesattezze, e da
alcune modifiche introdotte dal ddl non richieste dagli strumenti
internazionali (quali l’estensione dell’autorizzazione globale a paesi Nato e
UE che non hanno ratificato l’accordo quadro o la restrizione del divieto di
esportare a paesi i cui governi sono responsabili di violazioni delle
convenzioni sui diritti umani), è importante sottolineare che, nel processo di
integrazione dell’industria e nel difficile cammino verso la costituzione di
una politica estera e di sicurezza comune, risultano estremamente importanti
le modalità con cui questo cammino viene intrapreso e gli obiettivi di
breve e lungo periodo da perseguire.
Sulle modalità si possono
tracciare alcuni brevi spunti di riflessione: 1. Destinazioni
finali. Nel caso di coproduzioni che coinvolgono più paesi la scelta delle
destinazioni finali del materiale coprodotto si possono seguire due criteri.
Il primo è quello dell’unanimità: una destinazione è lecita se accettata e
compatibile dalle normative e politiche di tutti i paesi partecipanti alla
coproduzione. Il secondo è quello di delegare al paese che assembla la scelta
delle destinazioni finali o terze. Nel primo caso, il meccanismo che si
favorisce è quello di orientare l’armonizzazione dei criteri per
l’esportazione a paesi extraeuropei verso gli standard più alti e verso i
paesi con normative più rigorose. Nel secondo caso, come dimostrato dalla
prassi, la tendenza seguita dalle industrie sarà quella di spostare capacità
manifatturiera ed assemblamento nel paese con legislazioni meno rigorose e
barriere minori all’esportazione, favorendo la politica del minimo comun
denominatore. L’accordo quadro (che si applica solo ai sei paesi che l’hanno
firmato), rappresenta uno sforzo per applicare il primo criterio (pur
temperato dalla mancanza di trasparenza), mentre il disegno di legge applica,
per tutti gli altri paesi Nato o UE che non l’hanno ratificato, la
delega in bianco, favorendo l’armonizzazione verso il basso e incentivando
triangolazioni con gravi rischi sulla pace e sicurezza internazionale.
Applicare l’autorizzazione globale solo alle coproduzioni con i cinque paesi
che hanno ratificato l’accordo quadro sembra la soluzione che meglio si
armonizza, sia con lo spirito della nostra legislazione, che con quello che
informa l’accordo.
2. Controlli
su pezzi e componenti. Facilitare gli scambi di materiali, pezzi e
componenti tra le industrie di paesi diversi che partecipano ad una stessa
coproduzione non significa eliminare un nucleo minimo di controlli.
L’autorizzazione globale (che si sostituisce alle singole autorizzazioni alle
esportazioni dei singoli pezzi per un programma di coproduzione che può
durarare anni) è stata formulata in modo talmente vago, senza alcun
riferimento al numero dei pezzi, al loro valore, a controlli su materiali ed
industrie, che non si comprende come si possa verificare l’aderenza delle
esportazioni al programma, l’affidabilità delle industrie, né seguire e
verificare l’iter di ogni pezzo e componente uscito dall’Italia, di cui si
rischia di perdere traccia. I pericoli sono quelli di deviazioni a privati o
paesi aggressivi o repressivi dei materiali di marca italiana, soprattutto se
si tratta di componenti di elettronica e avionica e se sono assemblati in
paesi con livelli bassi di controllo. In un’ottica di integrazione
transnazionale delle industrie sarebbe inoltre necessario integrare e
progressivamente sostituire tali controlli nazionali con nuove forme di
collaborazione e controllo prima multinazionale e poi sovranazionale (banche
dati e sistema informatico transazionale, controlli periodici sulle industrie,
collaborazioni tra dogane, autorità nazionali e polizia) più aderenti a questo
nuovo contesto ma anche realmente efficaci.
3. Trasparenza.
E’ noto che anche i paesi più restii a porre vincoli alle proprie
esportazioni, come Gran Bretagna e Francia, hanno pubblicato recentemente
relazioni annuali sulle esportazioni effettuate. Conoscere l’iter dei flussi
di armi è utile sia in un’ottica di prevenzione dei conflitti che in un’ottica
di controllo. Politicamente la redazione di una lista segreta di
destinazioni permesse costituisce un passo indietro rispetto alle
istanze di trasparenza portate avanti dalle NU e dall’UE e dai recenti
passi avanti fatti dai paesi europei nella pubblicazione di un rapporto
annuale sulle esportazioni di armi. Informare parlamento ed opinione pubblica
sulle destinazioni finali ed intermedie dei materiali coprodotti, si traduce
in un ulteriore strumento di controllo del rispetto degli accordi e delle
regole nazionali e multinazionali, limitando possibilità di collusioni e
condizionamenti. Inoltre il coinvolgimento e l’informazione al Parlamento
conferisce un’impronta democratica al processo di costruzione di un’Europa
politica, favorendo una maggiore responsabilizzazione e
lungimiranza.
La scelta delle modalità ha effetti diretti sul risultato
di medio e di lungo periodo che si vuole perseguire e sull’Europa politica che
si vuole costruire, sulla pace e sulla sicurezza italiana, europea ed
internazionale. Se il rapido processo di integrazione e globalizzazione
dell’industria è un dato di fatto e può costituire, secondo alcuni, una
spinta verso l’armonizzazione delle normative sulla trasparenza e controllo, è
evidente che la teoria funzionalista dello spill over così come quella del
mercato unico, non può essere integralmente applicata ad un’area dalle
molteplici implicazioni quale quella delle armi, in quanto gli interessi
dell’industria non sempre si conciliano con le esigenze di politica estera
nazionale sia essa intesa in termini tradizionali come mantenimento di una
capacità difensiva interna, sia in termini più avanzati come strumenti di
prevenzione dei conflitti che possono coinvolgere l’Italia e l’Europa, e della
tutela dei diritti umani.. Il processo di integrazione industriale non può
automaticamente creare un’Europa della difesa, se non è guidato, e corretto da
una dimensione politica che integri gli aspetti economico industriali con
quelli della della pace e della sicurezza e da un realismo
che prenda atto della gradualità di questo difficile processo cercando di non
lasciare vuoti normativi in un campo delicato quale quello del commercio di
armi.
In linea generale, lo spirito delle modifiche apportate,
anche nel contesto di accordi e documenti internazionali, come l’accordo
quadro e il codice di condotta, sembra rispecchiare da parte del nostro paese
una politica rinunciataria che risponde al principio del minimo comun
denominatore. Al contrario l’Italia, in forza della propria normativa, che la
poneva, fino adesso, in una delle posizioni più avanzate, avrebbe potuto
svolgere un ruolo guida, propulsivo e responsabile, volto a costruire una
regolamentazione europea di trasparenza e controllo del commercio delle armi
orientata verso standard alti. Solo con un atteggiamento responsabile si può
costruire politica estera e di sicurezza dell’UE, orientata al mantenimento
della pace e della sicurezza europea ed internazionale, che accompagni azioni
di soluzione dei conflitti ad azioni preventive realmente efficaci e
lungimiranti.
Chiara Bonaiuti Oscar (Osservatorio sul Commercio
delle armi di Ires Toscana)
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