Il TPNW entrerà in vigore il 22 gennaio 2021, avendo ottenuto la ratifica di oltre 80 nazioni. Ma in quell’elenco non ci sono né l’Italia né alcuna delle superpotenze nucleari (USA, Russia, Cina, India, Pakistan, Francia e Regno Unito). Addirittura, secondo Greenpeace, «l’amministrazione Trump avrebbe scritto a diversi Paesi che avevano già ratificato il Trattato per spingerli a ritirarsi». Cosa farà ora Joe Biden? E l’Italia? L’associazione ricorda amaramente che «il ministero degli Esteri rimane scettico sul TPNW», anche se 240 tra deputati e senatori – essenzialmente di Pd, M5S e LeU – abbiano sostenuto la campagna ICAN e oggi siano al governo. Mentre un sondaggio diffuso dalla stessa ong dice che l’80% degli italiani vorrebbe ritirate le bombe USA dal nostro territorio.
GRAFICO spesa globale per la gestione delle armi nucleari – fonte rapporto ICAN 2019
70 miliardi di dollari per mantenere le testate nucleari
Al di là dei temi di sicurezza cui fa riferimento l’incipit de “Il prezzo dell’atomica sotto casa”, il documento fa luce sulle spese globali e nazionali che comportano questi arsenali. Il mantenimento delle testate atomiche esistenti nel mondo ha infatti costi da capogiro. Perlopiù a carico dei proprietari, ma non solo. In particolare, Sofia Basso parla di « (…) circa 140mila dollari al minuto, per un totale di oltre 70 miliardi di dollari nel 2019, pari a 24 volte il budget annuale delle Nazioni Unite. Se si calcolano anche i costi indiretti, come i danni ad ambiente e salute o la difesa missilistica per proteggere le testate nucleari, il costo supera i cento miliardi l’anno».
GRAFICO variazione 2018-2019 spesa globale per la gestione delle armi nucleari – fonte rapporto ICAN 2019
Cifre enormi, già in aumento (+10% tra 2018 e 2019), e che potrebbero persino crescere in futuro. Il ritiro degli USA dal Trattato sulle Forze nucleari intermedie (Inf) e il rinnovo non scontato del New Strategic Arms Reduction Treaty (New START) tra Stati Uniti e Russia (in scadenza a febbraio 2021) spingono in tale direzione.
Testate atomiche
Il conto per le testate atomiche in casa nostra
Ma non è tutto. L’Osservatorio sulle spese militari italiane Milex ha stimato l’ammontare della spese direttamente riconducibili alla presenza di testate nucleari su suolo italiano. Tra gestione delle strutture, sistemi di protezione e stoccaggio degli ordigni e manutenzione degli aerei adibiti al loro utilizzo, si avrebbero almeno 20 milioni di euro l’anno. Anche se il costo effettivo, al netto delle opacità che impediscono un calcolo ufficiale, arriverebbe fino a 100 milioni di euro, cioè quattro volte quanto il nostro Paese versa all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Una somma a cui Milex aggiunge altri 2,3 miliardi di euro circa per sostituire i vecchi aerei Tornado del 6° Stormo dell’Aeronautica militare ormai in dismissione.
Al loro posto dovrebbero entrare in servizio venti cacciabombardieri F-35A predisposti per il “ruolo nucleare” E perciò preferiti ai più economici Eurofighter, che andrebbero adattati. Venti aerei destinati a Ghedi il cui mantenimento Milex prevede possa costare 7,7 miliardi di euro in 30 anni. Il totale? 333 milioni di euro all’anno, cioè quattro volte il contributo italiano alle Nazioni Unite (78 milioni di euro nel 2019). E senza contare gli oltre 90 milioni di euro a carico del ministero della Difesa per realizzare la base operativa apposita per questi velivoli, iniziata a novembre 2020 per essere terminata nel luglio 2022.
Francesco Vignarca: «Una strategia basata sul genocidio»
Esaminati i rischi e i numeri, rimane la sostanza della condivisione nucleare, su cui Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo, esprime una valutazione etica e complessiva. «Non sono le spese militari a difenderci dalle reali minacce, come dimostrano il 2020 e il climate change. Tanto più che le spese per il nuclear sharing ci portano a partecipare a un concetto strategico che si basa sulla capacità di realizzare genocidi.
Crediamo perciò che la stessa idea di fondare la propria sicurezza sul potere di cancellare milioni di vite in pochi secondi sia immorale e disumano. Mentre il TPNW è frutto di un processo che mette al centro le persone».
Una bomba dotata di testata nucleare B61 © Wikimedia, autore sconosciuto, ottobre 2008. Dominio pubblico
Da qui l’impegno a premere sulla politica per una adesione italiana al trattato. In un orizzonte che, con la presidenza USA affidata a Joe Biden, potrebbe migliorare lievemente. «Da Biden – conclude Vignarca – non ci aspettiamo molto di nuovo sul trattato TPNW e sulle testate B61-12 dispiegate in Europa, il cui ammodernamento fu avviato da Obama con lui vicepresidente. Ci aspettiamo però un approccio più multilaterale. Trump è uscito da alcuni accordi importanti (sulla produzione iraniana e l’INF, ndr) e non ha fatto i passi necessari per rinnovare il New START, stipulato tra Gorbaciov e Reagan, che permise la prima vera riduzione delle testate nucleari nel mondo, passando da 70mila alle attuali 14.300. Auspichiamo che Biden recuperi questi accordi e adotti una considerazione maggiore dei rapporti multilaterali, che sarebbe un aspetto fondamentale».