[Disarmo] Fwd: La Chiesa di base: «Chiudere i conti con l’industria delle armi»




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Da: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Date: mer 3 giu 2020, 00:23
Subject: La Chiesa di base: «Chiudere i conti con l’industria delle armi»
To: Elio Pagani <ElioPaxNoWar at gmail.com>


La Chiesa di base: «Chiudere i conti con l’industria delle armi»

I numeri del rapporto al Parlamento. Il papa chiede il disarmo ma alcuni enti cattolici mantengono rapporti con le «banche armate»

Il papa durante l'ultima cerimonia pasquale  

Il papa durante l'ultima cerimonia pasquale 

© LaPresse

Luca KocciIl Manifesto

03.06.2020

2.6.2020, 23:59

Chi si iscrive al corso di laurea in Scienze della pace presso la Pontificia università lateranense, «l’università del papa», versa le tasse su una «banca armata», la Popolare di Sondrio, quarta nella classifica degli istituti di credito che fanno affari anche con il commercio degli armamenti.

Intanto papa Francesco, anche a Pasqua, ha ripetuto: «Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite».

Intrecci di un complesso militare-industriale in cui cannoni e banche, bombe e finanza, sono vasi comunicanti. E contraddizioni di un sistema – quello vaticano ed ecclesiastico – per il quale a parole il denaro è «lo sterco del diavolo», ma siccome non puzza, allora va bene affidarsi anche a una «banca armata», se garantisce qualche zero virgola di interessi in più.

Mentre dallo stesso mondo cattolico, le riviste missionarie Nigrizia e Missione OggiPax Christi e Mosaico di pace, rilanciano la campagna di pressione alle banche armate (partenza ufficiale il 9 luglio, a trent’anni dall’approvazione della legge 185 sul commercio delle armi) e raccomandano, anche e soprattutto alle strutture cattoliche, di «verificare le banche in cui abbiamo depositato i risparmi evitando quei gruppi che finanziano, giustificano e sostengono l’industria, il commercio e la ricerca militare».

Nomi e numeri sono noti da pochi giorni: a fine maggio è stata consegnata, in ritardo, al Parlamento l’annuale relazione del governo sull’export italiano di armamenti nel 2019, in cui sono indicate anche le operazioni bancarie delle aziende armiere e l’elenco degli istituti di credito che spostano, anticipano e incassano soldi della vendita di armi, percependo interessi e commissioni.

Ai primi due posti della classifica delle «banche armate» si confermano Unicredit (Unicredit Spa + Unicredit factoring), con «importi segnalati» dal ministero dell’Economia e delle Finanze pari a un miliardo e 751 milioni di euro, e Deutsche Bank, con 793 milioni.

Al terzo posto c’è Barclays Bank (244 milioni). Al quarto e quinto altri due istituti italiani: Popolare di Sondrio (189 milioni) e Intesa San Paolo, con 143 milioni.

A seguire, per completare la top ten delle «banche armate», Commerzbank (121 milioni), Credit Agricole (111 milioni), Banca nazionale del lavoro (98 milioni), Bnp Paribas Italia (76 milioni) e Banco Bpm (59 milioni).

Molti enti ecclesiastici scelgono le «banche armate» come propri istituti di riferimento.

A cominciare dalla Conferenza episcopale italiana, che incassa erogazioni liberali ed offerte deducibili per il sostentamento del clero tramite sette diversi conti bancari, quattro dei quali aperti presso altrettante «banche armate»: Unicredit, Intesa San Paolo, Bnl e Bpm.

Ci sono poi gli atenei pontifici, quindi direttamente legati ala Santa sede, che le hanno scelte come tesorerie, gli istituti di credito dove gli studenti pagano le tasse: della Lateranense già si è detto; la Gregoriana, dei gesuiti, e l’università della Santa Croce, dell’Opus Dei, si appoggiano invece a Unicredit.

E c’è la sanità vaticana. Anche il policlinico Gemelli ha scelto Unicredit.

L’ospedale pediatrico Bambino Gesù invece ha optato per Intesa San Paolo che – riferiva una nota della banca al tempo della sottoscrizione dell’accordo, nel 2018, ricordata dall’agenzia Adista – fino al giugno 2021 sarà «il referente per l’erogazione dei servizi bancari e finanziari del Bambino Gesù, nell’ambito di una partnership che si svilupperà anche attraverso l’installazione di una ramificata struttura di punti operativi e la sottoscrizione di una specifica convenzione per prodotti e servizi a condizioni agevolate ai circa tremila dipendenti e collaboratori dell’ospedale».

E Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù nonché vicepresidente di Fondazione Cariplo (uno dei principali azionisti di Intesa): «Siamo contenti di intraprendere questa nuova avventura con una realtà autorevole e tradizionalmente attenta alla dimensione sociale come il gruppo Intesa San Paolo». Quinta «banca armata» italiana.