Re: [Disarmo] Non usiamo la parola guerra per il contrasto all’epidemia da coronavirus




Umilmente, a me sembra che il problema non sia la tempesta, ma la barca e la sua struttura, a prescindere da chi cerchi di farla galleggiare o la usi a propri fini corsari, mentre ai remi vengono costretti sempre e solo gli stessi, ora pure in catene domiciliari, atomizzati e resi innocui impossibilitati ad ogni rivendicazione, tranne elemosinare sussistenza. La crisi esposta è del sistema sanitario, e a monte di quello economico, rivelata e non semplicemente causata "da una enorme minaccia della natura che si manifesta nella sua potenza", minaccia sì pericolosa ma non enorme, che con una sanità non massacrata dalla rapina sarebbe stata ben più facilmente gestibile. Mi pare qui si trascuri il fatto che il CoViD-19, anzi la crisi del sistema sanitario innescato dal virus, si concentri in aree del Pianeta dove massimo è lo sfruttamento ambientale e sociale, a conferma e denuncia di quanto sopra. C'è una guerra, eccome se c'è, ma non è quella contro il virus: è quella che il capitale finanziario di aziende liquide senza testa porta contro il Pianeta intero drenandone le risorse con le buone, MES-CETA etc., o con le bombe, e qui l'elenco dal '99 (o dal 1945?) ad ora è infinito oramai. Questa è la guerra (necessaria e continua, ché la pace non rende) che ci ha portato a livelli di fragilità sociale, umana, intellettiva, al punto da cantare sui balconi in onore dei nostri carcerieri blaterando di untori. Invece di proporre di cambiare linguaggio per passare dal bellico al meteo, non sarebbe il caso di impegnarsi per cambiare barca e struttura?
Sugli strumentali richiami a Sarajevo sorvolo per carità di virus.

Jure Eler


Il 22/03/20 19:51, alfonsonavarra (via disarmo Mailing List) ha scritto:

Concordo con Antonia Sani: non usiamo la parola guerra per il contrasto all’epidemia da coronavirus 


da parte di Alfonso Navarra 


Sto riflettendo su cosa sostituire, quando si parla di contrasto all’epidemia da covid19, alla metafora della guerra sollecitato da un bel post di Antonia Sani, sotto riportato, che credo sia stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto. 

Come concepire questa crisi non usando la parola guerra? 

Non mi convince la soluzione trovata da Erri De Luca, che ha scritto oggi su Il Fatto Quotidiano.

Scrive De Luca: “Definisco la condizione attuale uno stato di assedio attenuato. Si sta come dentro Sarajevo degli anni ’90, ma senza piogge di granate, senza cecchini e senza penurie alimentari”.

Caro Erri, a me pare che anche lo stato d’assedio sia pur sempre collegato alla guerra e al suo immaginario.

Proviamo invece a pensare che siamo su una nave in piena tempesta e dobbiamo vincere la sfida della sopravvivenza. 

Siamo persone in uno spazio angusto sovrastato da una enorme minaccia della natura che si manifesta nella sua potenza.

Ci conviene attaccarci bene ai parapetti se no la furia del vento può buttarci in mare. E sapere armeggiare con vele e timone o affidarci e sostenere coloro che lo sanno fare.

Una ondata più alta può rovesciarci e sommergerci nel lutto…

Non è una guerra, allora, è un tifone e dobbiamo sapere guidare bene la barca su cui stiamo tutti per uscirne il più possibile indenni nel sentimento condiviso di fare parte della medesima comunità.

Possibilmente spodestando chi ci ha guidato su una rotta sbagliata che ci ha condotto nel mare delle tempeste…

Ho avuto uno scambio di opinioni con Antonia e a lei la metafora del tifone, della barca che resiste ad una tempesta, piace…


Gia’ che ci siamo vi invito a firmare l’appello, i cui primi firmatari sono, tra gli altri, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Michele Carducci, Laura Tussi, che promuovo con Antonia, rinvenibile sulla URL:  https://www.petizioni.com/no_arsenali_si_ospedali 



da parte di Antonia Sani


Non riesco ad adattarmi all'uso sempre più frequente del termine "guerra", abbinato alla lotta contro

il  coronavirus.

"Siamo in guerra", "dobbiamo vincere questa guerra". Espressione usata anche recentemente da Trump.

Tutti trasformati in guerrieri, anzi in militari, armi alla mano per sconfiggere il nemico.

L'emergenza non coincide con la guerra.


Credo che chi ha più di 80 anni non possa che opporsi all'uso di questa parola, sperimentata ahimè sulla propria pelle, parola  che ai più giovani può inculcare la voglia di combattere, suffragata dai videogames, una chiamata alle armi, addirittura sollecitata dagli adulti, applicata a uno scenario estraneo alla guerra, dominato da Scienza e Tecnologia.


Non è un caso che negli USA appena diffusasi  la notizia del contagio ci sia stata una corsa ai negozi di armi...

    

Noi bambini uscivamo dalle nostre abitazioni di "sfollati", avvolti in coperte tra le braccia di nonni e zii, di corsa verso "il rifugio" più vicino per sfuggire al bombardamento annunciato da spaventose sirene. Avevamo fame e la paura di vendette di cui sentivamo parlare senza rendercene conto.

Il nemico non era un virus ma un essere umano, pronto a massacrarci, ben altra cosa di un involucro amorfo entrato involontariamente nelle nostre vite. 

 Ai nostri giovani noi insegniamo la Pace tra i popoli, il rifiuto delle armi, l'accoglienza di coloro che in fuga dalle guerre cercano ospitalità nel continente europeo....

 Come possiamo usare la parola "guerra" in senso positivo, come se l'eliminazione, il superamento di un'epidemia potesse essere paragonato a  una "vittoria riportata in guerra" , sia pure battezzata come "guerra santa", in cui consapevolmente i potenti del mondo mandavano al massacro intere popolazioni, costringendole ad affrontarsi l'un l'altra, divenute all'improvviso nemiche.?

Questa era, è,  a tutt'oggi, la guerra. Non esportiamone le perverse rievocazioni su un terreno improprio.



 


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