[Disarmo] Fwd: Afghanistan, salute mentale e il lungo strascico della guerra
- Subject: [Disarmo] Fwd: Afghanistan, salute mentale e il lungo strascico della guerra
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- Date: Tue, 17 Mar 2020 09:27:00 +0100
Da: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Date: mar 17 mar 2020, 09:26
Subject: Afghanistan, salute mentale e il lungo strascico della guerra
To: Elio Pagani <ElioPaxNoWar at gmail.com>
Afghanistan, salute mentale e il lungo strascico della guerra
Venerdì, 13 Marzo 2020 - Unimondo
Foto: Commons.wikimedia.org
All’indomani del traballante accordo di pace tra Talebani e Governo – già squarciato dall’attentato del 6 marzo di matrice Daesh – l’Afghanistan si trova ad affrontare un’altra crisi più nascosta, ma dagli effetti devastanti: quella psichica e psicologica. Il paese ha assistito a circa 40 anni di violenza, con 19 anni ininterrotti di conflitto a seguito dell'invasione degli Stati Uniti nel 2001, e la salute mentale di milioni di afghani ne è uscita distrutta: secondo i dati governativi, più della metà della popolazione, compresi molti sopravvissuti alla violenza legata al conflitto, lotta con la depressione, l'ansia e lo stress post-traumatico, ma meno del 10 percento riceve un adeguato sostegno psicosociale dallo stato. «Era l’ora di uscire dall’ufficio, verso le 16. Il kamikaze mi è corso vicino, calpestandomi la scarpa, così ho preso un fazzoletto per pulirla, quando è avvenuta l’esplosione. Ho visto cadaveri e parti di corpi tutt’intorno a me» racconta Ahmed, 23 anni, a proposito dell’attentato di febbraio 2017 vicino alla Corte Suprema di Kabul. La sua testimonianza è raccolta in un importante report di Human Rights Watch (HRW) uscito a fine 2019 dedicato al tema della salute mentale nel Paese. Ahmed racconta di essere stato subito curato all’ospedale militare ma che solo le ferite del suo corpo sono state trattate. «Nessuno è venuto a chiedermi della mia mente», ha detto. Perché il trauma psicologico di quel giorno non se n’è mai andato via. Due anni dopo, Ahmed ha infatti cercato aiuto: «Ho ancora dei flashback, tutta la notte non riesco a dormire – racconta – mi arrabbio facilmente, specialmente quando le persone fanno rumore. Ma tengo dentro questa rabbia, e sono molto triste. Non so che tipo di trattamento dovrebbe essere fornito, ma ci dovrebbero essere persone che si occupano anche di questi nostri bisogni».
Secondo un sondaggio dell'Unione Europea del 2018 – sempre riportato da HRW – l'85% della popolazione afghana ha vissuto o assistito ad almeno un evento traumatico (la media è quattro). La metà degli intervistati ha avuto un disagio psicologico, con uno su cinque afghani «compromessi nel loro lavoro a causa di problemi di salute mentale». HRW stessa ha effettuato delle interviste a 21 afghani – 14 uomini e 7 donne – residenti nelle province di Kabul, Kandahar e Herat, che avevano subito un disagio psicologico dopo l'esposizione diretta alla violenza legata al conflitto, come attacchi suicidi, bombardamenti aerei, combattimenti a terra e vittime di munizioni inesplose. «Più della metà ha dichiarato di aver ricevuto poco o nessun supporto psicologico dai servizi sanitari pubblici. Quasi la metà ha dichiarato di non conoscere le risorse esistenti per la salute mentale» si legge. Come Armin B., 38 anni, commerciante di Kabul, che dopo aver perso il figlio tredicenne in un attentato, ancora non è venuto a patti col trauma. «Non sono a conoscenza dei servizi [sulla salute mentale] offerti dal governo – afferma – Sarebbero necessari, ma non credo che esistano affatto». O Siddiqui J., 62 anni di Bamiyan, sopravvissuto a un attentato suicida in cui ha perso una mano: «Quando provo a dormire, mi vengono in mente ricordi della guerra e il mio corpo inizia a tremare. Tutto diventa buio e perdo conoscenza» racconta, aggiungendo di aver ricevuto come cura dai medici solo dei sonniferi.
Un problema, quello della mancanza di cure e trattamento, che ritorna nelle varie interviste. «Il trauma correlato al conflitto può persistere e peggiorare a meno che le persone colpite non abbiano accesso al supporto psicosociale» scrive HRW, che aggiunge come siano soprattutto le donne e le ragazze ad affrontare notevoli difficoltà in quanto la loro libertà di movimento è spesso influenzata in modo sproporzionato dall'insicurezza: «La disuguaglianza di genere e le norme sociali discriminatorie creano anche importanti barriere per donne e ragazze. Il loro accesso ai servizi sanitari è spesso determinato dai membri maschi della loro famiglia e può essere condizionato dalla disponibilità di servizi separati con personale femminile e infrastrutture segregate, come cancelli e aree di attesa». E poi ci sono i giovani e le giovani, che non hanno mai vissuto in tempo di pace, e che faticano a visualizzare per se stessi e le loro famiglie un futuro felice. L'anno scorso la Commissione indipendente per i diritti umani afghana ha riferito che circa 3000 afghani tentano il suicidio ogni anno di cui l'80% sono donne.
La carenza di risorse umane per la cura e il trattamento dei disturbi mentali non fa che aggravare il quadro. «Secondo la Strategia nazionale per la salute mentale dell'Afghanistan per il periodo 2019-2023, in Afghanistan è disponibile un solo consulente psicosociale per ogni 46 mila persone – scrive HRW – La loro capacità di condurre una terapia di successo è influenzata dalla mancanza di esperienza e dalla formazione limitata». L'OMS afferma che il Paese ha all'incirca un solo psichiatra per ogni 435 mila persone e uno psicologo per ogni 333 mila persone, e soli 200 posti letto disponibili nelle strutture pubbliche dedicate alla salute mentale. Inutile dire che sono soprattutto le persone più povere che abitano nelle zone rurali, a soffrire della mancanza di servizi. Può succedere che il trattamento di problemi di salute mentale venga affidato a figure religiose «spesso mal equipaggiate per assistere adeguatamente le persone che soffrono di stress psicosociale e che talvolta contribuiscono a diffondere credenze stigmatizzanti, come l'idea che le persone con condizioni di salute mentale siano possedute da spiriti maligni». Per non parlare di una pratica, che ancora persiste, di portare e internare i sofferenti mentali nei santuari. Prassi dettata non solo da superstizione ma più sovente dall’impossibilità economica per molte famiglie di farsi carico di un onere così grande, nella totale assenza di supporti, informazione e servizi.
«Decenni di violenza hanno lasciato molti afghani in ferite psicologiche profonde, oltre a quelle fisiche – ha dichiarato Jonathan Pedneault, ricercatore area Conflitti e crisi presso HRW – C'è un urgente bisogno di servizi psicosociali estesi per supportare gli afghani esposti a violenza, attentati suicidi e attacchi aerei, e prevenire gli effetti a lungo termine che possono essere debilitanti per i sopravvissuti, le famiglie e l’intera comunità».
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