[Disarmo] Fwd: [ReteDisarmo] Su radio Città Fujiko con intervista a Giorgio Beretta - Egitto & co, tutte le armi italiane che calpestano i diritti umani
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- From: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
- Date: Wed, 12 Feb 2020 08:46:33 +0100
Da: Rete Disarmo - Segreteria <segreteria at disarmo.org>
Date: mer 12 feb 2020, 08:20
Subject: [ReteDisarmo] Su radio Città Fujiko con intervista a Giorgio Beretta - Egitto & co, tutte le armi italiane che calpestano i diritti umani
To: coordinamento Rete Italiana per il Disarmo <coordinamento_RID at googlegroups.com>
Egitto & co, tutte le armi italiane che calpestano i diritti umani
Mentre gli amici, le compagne di corso e le associazioni umanitarie sono preoccupati per le sorti di Patrick Zaki,
il giovane studente dell’Università di Bologna arrestato e torturato in
Egitto, il governo italiano dovrebbe vivere con un certo imbarazzo la
vicenda.
La ragione è molto semplice: da anni l’Italia
esporta armi verso Paesi in guerra o governati da dittatori, anteponendo
il business al rispetto dei diritti umani.
Egitto: il boom di armi italiane
I dati sugli affari che l’Italia fa con il governo di Al Sisi, salito al potere con un golpe nel 2013, sono noti. E quel che è peggio è che il nostro Paese non ha mai smesso di rifornire il regime egiziano, nemmeno quando la tensione era alle stelle per il caso Regeni. Nel 2018 sono arrivate al Cairo più di 69 milioni di euro di armi italiane. Una cifra che già superava di gran lunga i 7,4 milioni del 2017 ed i 7,1 milioni del 2016. Nel 2017, ad un anno dalla morte di Regeni, inoltre, sono stati esportati 17,7 milioni di euro in forniture militari.
E non è finita, perché l’Italia ha in previsione di vendere due
Fregate all’Egitto, nel quadro di un programma di forniture militari che
varrebbe 9 miliardi di euro.
Ma non è solo di armi, mezzi e
forniture varie italiani che Al Sisi fa incetta. Nel 2019, da gennaio a
ottobre, sono state spedite al Cairo armi leggere, quindi utilizzabili
anche nella repressione di piazza, per oltre 1,5 milioni di euro.
“Il punto della questione – osserva Giorgio Beretta
di Opal Brescia e Rete Italiana Disarmo, che ha tracciato un quadro ai
nostri microfoni – è che le grandi commesse riguardano due aziende a
controllo di Stato, Leonardo e Fincantieri. Anche quando si tratta di piccole commesse, tutto è finalizzato a tenere aperti i rapporti per contratti futuri”.
All’indomani
del colpo di Stato di Al Sisi, l’Unione europea aveva sospeso l’invio
di armi, anche per volontà dell’ex-ministra degli Esteri Emma Bonino, ma
poi l’Italia ha ripreso l’esportazione, fornendo 30mila pistole alle
forze di sicurezza egiziane. “È per questo che dico spesso che molto
probabilmente chi ha preso in custodia Regeni aveva nella fondina una pistola italiana“, osserva Beretta.
Libia, le motovedette, la formazione e i lager contro i migranti
Lo scorso 3 febbraio il governo italiano ha rinnovato il memorandum con la Libia che, in cambio di soldi, motovedette e formazione, ha effettuato respingimenti per procura in mare e contenuto i flussi migratori verso l’Europa attraverso la detenzione delle persone, la loro tortura e l’estorsione ai loro danni all’interno di veri e propri lager.
L’esportazione di armi verso il Paese coinvolto da una guerra civile è
sostanzialmente ferma a causa di un sostanziale embargo dell’Unione
europea, ma a quanto pare la frittata era già stata fatta.
“Gli affari sono andati avanti finché è rimasto al potere Gheddafi – sottolinea Beretta – In particolare ci sono
11.100 armi della Beretta che erano stipate nel bunker del dittatore
libico e che alla sua morte sono state saccheggiate dalle milizie, come hanno testimoniato tutti i giornali internazionali”.
“Quando ci chiediamo chi sta armando i terroristi – continua l’esponente di Rete Italiana Disarmo – dovremmo sempre chiederci chi sta armando i dittatori, perché se armi un dittatore ci sono solo due possibilità: o che il dittatore usi quelle armi contro la popolazione civile o che, una volta deposto, vadano in mano a gruppi terroristici o di insorti”.
Turchia, la repressione “made in Italy” del Rojava
Nell’ultimo anno il regime di Erdogan ha potuto utilizzare armi italiane per un valore di 102 milioni di euro. Un ulteriore record, se si considera che il picco di export del 2012 si era fermato a 90 milioni di euro.
Tutto
ciò è avvenuto e continua ad avvenire nonostante il ministro degli
Esteri italiano, Luigi di Maio, abbia firmato lo scorso ottobre l’atto
interno ministeriale che interrompeva la vendita di future armi alla Turchia, in seguito all’invasione del nord della Siria e l’attacco alle popolazioni curde del Rojava.
Da qualche anno a questa parte, inoltre, la Turchia di Erdogan non è solo un Paese di destinazione di armamenti, ma anche un partner nella produzione. In particolare negli anni scorsi sono stati realizzati in Turchia gli elicotteri Mangusta, per un valore di 1,2 miliardi di euro.
“La Turchia è il primo Paese della Nato verso cui esporta l’Italia –
sottolinea Beretta – e in particolare negli ultimi due anni è emerso
come 200mila euro di export riguardino il munizionamento pesante da
parte di un’azienda semisconosciuta che risiede in Lazio”.
Arabia Saudita: lo stop arriva solo dai portuali genovesi
Nel maggio del 2019 fece clamore la protesta dei lavoratori del porto di Genova che bloccarono la nave cargo battente bandiera dell’Arabia Saudita Bahri Yambu, carica di armi destinate alla sanguinosa guerra in Yemen. Le responsabilità dell’Italia nei crimini compiuti dall’Arabia Saudita in Yemen è stata al centro dell’attenzione mondiale. In particolare, fece scalpore il ritrovamento di reperti di bombe che, con la certificazione dell’Onu, vennero fatte risalire alla Rwm, azienda tedesca che ha siti produttivi anche in Italia. “I reperti delle bombe riportavano la sigla A4447, che corrisponde allo stabilimento di Ghedi, nel bresciano”, sottolinea l’esponente della Rete Italiana Disarmo.
Dopo lo scandalo, fu sospesa l’esportazione delle bombe Rwm, ma è continuato l’export di altri sistemi militari, che pure potevano essere utilizzati nella guerra in Yemen, così come di armi leggere.
Gli altri scenari: il Golfo Persico
La lista dei Paesi, retti da dittatori o che violano sistematicamente
i diritti umani, verso cui esporta armi l’Italia è ancora molto lunga.
Sicuramente un ruolo principale lo occupano i Paesi del Golfo, che ormai
rappresentano il 50% delle vendite militari italiane nonostante siano
in una zona molto calda.
Negli ultimi anni l’Italia ha fornito al Kuwait 28 eurofighter, dei cacciabombardieri, per un valore di 7,5 miliardi di euro. Le corvette vendute al Qatar hanno invece fruttato circa 5 miliardi di euro, mentre altri sistemi navali sono stati forniti agli Emirati Arabi.
Lo Stato italiano è illegale
La questione non ha solo un carattere morale di inopportunità. Tutto
il business italiano nell’export di armamenti verso Paesi in guerra o
retti da regimi che non rispettano i diritti umani, infatti, è illegale.
Lo dice chiaro e tondo una legge, la 185/90, che regola le esportazioni di armamenti e pone dei limiti.
In particolare, all’articolo 6 della legge viene dettagliata la casistica che vieta l’export di armamenti.
In particolare, in due punti, si legge che l’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati: “verso
i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi
dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il
rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse
deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere
delle Camere” e “verso i Paesi i cui governi sono responsabili
di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di
diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite,
dell’Ue o del Consiglio d’Europa“.
Anche in questo caso, però, nel nostro Paese vige il motto “fatta la
legge, trovato l’inganno”. “La legge parla di gravi violazioni dei
diritti umani accertati dall’Onu o dall’Ue – sottolinea Beretta – per cui se chi deve accertare non lo fa, non significa che in quei luoghi non vengano violati.
Allo stesso modo per le guerre: chi dichiara guerra oggi? Spesso si
utilizza l’escamotage in cui il governo precedente che è stato deposto
chiede un intervento militare alla comunità internazionale”.
Detta in altre parole, l’ipocrisia dell’Italia e di altri Paesi europei sta tutta nel premurarsi di non incorrere in sanzioni per
la violazione di divieti delle Nazioni Unite o dell’Europa, ma se
questi divieti non vengono emanati, il nostro governo non si pone
scrupoli e autorizza le esportazioni.
ASCOLTA L’INTERVISTA A GIORGIO BERETTA:
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