[Disarmo] Fwd: La fine del neoliberismo e la rinascita della storia
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- Date: Mon, 23 Dec 2019 14:32:55 +0100
Da: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Date: lun 23 dic 2019, 13:55
Subject: La fine del neoliberismo e la rinascita della storia
To: Elio Pagani <ElioPaxNoWar at gmail.com>
La fine del neoliberismo e la rinascita della storia | Joseph E. Stiglitz
giovedì 19 Dicembre 2019 - Centro Studi Sereno Regis - ToninoJoseph E. Stiglitz – Project Syndicate
(04 nov. 2019) – Per 40 anni le élite dei paesi ricchi e poveri hanno promesso che le politiche neo-liberiste avrebbero condotto a una più rapida crescita economica, e che i benefici sarebbero sgocciolati su tutti, compresi i più poveri, per loro maggior benessere. Adesso che ci sono le prove [dell’accaduto], non può sorprendere che la fiducia nelle élite e nella stessa democrazia sia crollata
Alla fine della Guerra Fredda il politologo Francis Fukuyama scrisse un celebre saggio – “La fine della storia?”. Il crollo del comunismo, sosteneva, avrebbe tolto di mezzo l’ultimo ostacolo frapposto al mondo intero dal suo destino di democrazia liberale e di economie di mercato. Molti concordavano.
Oggi, di fronte al ripiego dell’ordine globale basato sulle norme liberiste, con governanti autocrati e demagoghi alla guida di vari paesi con ben più della metà della popolazione mondiale, l’idea di Fukuyama sembra bizzarra e ingenua. Eppure ha rafforzato la dottrina dell’economia neoliberista che ha prevalso negli ultimi 40 anni.
La credibilità della fede neoliberista nei mercati senza vincoli di sorta come via più sicura a una prosperità condivisa è in terapia intensiva di questi tempi. E quanto mai comprensibilmente. Il simultaneo venir meno della fiducia nel neoliberismo e nella democrazia non è una coincidenza o una pura correlazione. Il neoliberismo ha minato la democrazia per 40 anni.
La forma di globalizzazione prescritta dal neoliberismo ha lasciato singoli e intere società incapaci di controllare una parte importante del proprio destino, come Dani Rodrik dell’Università di Harvard ha spiegato così chiaramente, e come sostengo io nei miei recenti libri Globalization and Its Discontents Revisited e People, Power, and Profits. Gli effetti della liberalizzazione die mercati dei capitali sono stati particolarmente odiosi: se un candidato presidenziale con buone prospettive in un paese emergente perdeva il favore di Wall Street, le banche tiravano via dal paese il proprio denaro; gli elettori si trovavano allora di fronte a una cruda scelta: cedere a Wall Street o affrontare una grave crisi finanziaria. Era come se Wall Street avesse più potere politico che i cittadini del paese.
Anche in paesi ricchi si diceva ai cittadini comuni: “non potete perseguire le politiche che volete” – che fossero un’adeguata protezione sociale, salari decenti, una tassazione progressiva, o un sistema finanziario ben-regolato – “perché il paese perderà competitività, spariranno posti di lavoro, e soffrirete”. In paesi sia ricchi sia poveri le élite promettevano che le politiche neoliberiste avrebbero condotto a una crescita economica più rapida e che i benefici sarebbero sgocciolati su tutti, compresi i più poveri, per loro maggior benessere. Per arrivarci, però, i lavoratori avrebbero dovuto accettare salari più bassi e tutti i cittadini avrebbero dovuto accettare tagli in importanti programmi [sociali] governativi.
Le élite pretendevano che le loro promesse fossero basate su modelli economici scientifici e su una “ricerca basata su prove”. Beh, dopo 40 anni, i numeri relativi sono acquisiti: la crescita ha rallentato e i frutti di tale crescita sono andati prevalentemente a pochissimi al vertice. Mentre i salari stagnavano e la borsa valori volava, reddito e ricchezza fluivano verso l’alto, invece di spargersi in basso.
Come fanno mai la stretta dei salari – per raggiungere o mantenere la competitività – e programmi sociali ridotti diventare livelli di vita più elevati? I cittadini comuni si sentivano come se gli avessero rifilato una distinta base anziché la merce: avevano ragione di sentirsi buggerati.
Adesso stiamo provando le conseguenze politiche di quel grande inganno: sfiducia verso le élite, la “scienza” economica su cui si basava il neoliberismo, e il sistema politico corrotto dal denaro che ha reso possibile tutto ciò.
La realtà è che, a dispetto del nome, l’era del neoliberismo è stata lungi dall’essere liberale. Ha imposto un’ortodossia intellettuale i cui guardiani erano estremamente intolleranti al dissenso. Gli economisti con vedute eterodosse erano trattati da eretici da evitare o al meglio dirottare su qualche istituzione isolata. Il neoliberismo ha avuto ben poca somiglianza con la “società aperta” invocata da Karl Popper. Come George Soros ha enfatizzato, Popper riconosceva che la nostra società è un sistema complesso in perenne evoluzione nella quale più s’impara, più la nostra conoscenza cambia il comportamento del sistema.
L’intolleranza è stata massima nell’area macroeconomica, dove i modelli prevalenti escludevano la possibilità di una crisi come quella subita nel 2008. Quando avvenne l’impossibile, lo si trattò come se si trattasse di un’alluvione che ha luogo ogni 500 anni – un evento strambo imprevedibile da qualunque modello. Ancora oggi, i difensori di tali teorie rifiutano di accettare che la loro credenza nei mercati autoregolantisi e la non considerazione delle esternalità in quanto o non esistenti o non importanti abbia condotto alla deregulation che fu cardine nell’alimentare la crisi. La teoria continua a sopravvivere, con tentativi tolemaici di adattarle i fatti, il che attesta il fatto che le idee sballate, una volta insediate, hanno spesso una morte lenta.
Se la crisi finanziaria del 2008 non ci ha fatto rendere conto che i mercati senza vincoli non funzionano, dovrebbe certamente riuscirci la crisi climatica: il neoliberismo porrà letteralmente fine alla nostra civiltà. Ma è anche chiaro che i demagoghi che vorrebbero che si voltassero le spalle alla scienza e alla tolleranza renderanno solo peggiori le cose.
L’unica strada in avanti, l’unico modo per salvare il nostro pianeta e la nostra civiltà, è una rinascita della storia. Dobbiamo rivitalizzare l’Illuminismo e reimpegnarci a onorare i suoi valori di libertà, rispetto per la conoscenza, e la democrazia
Joseph Eugene Stiglitz – Premio Nobel 2001 per l’Economia – è un economista USA e professore alla Columbia University), percettore anche della Medaglia John Bates Clark (1979). E’ stato vice-presidente senior della Banca Mondiale ed è noto per la sua posizione critica della gestione della globalizzazione, degli economisti del libero mercato (che chiama “fondamentalisti del libero mercato”), e di alcune istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la stessa Banca Mondiale. Stiglitz è autore di The Price of Inequality [Il prezzo dell’ineguaglianza] e recentemente di People, Power, and Profits: Progressive Capitalism for an Age of Discontent [Gente, potere e profitti: capitalismo progressista per un’era di scontento].
NOBEL LAUREATES, 16 Dec 2019 | Joseph E. Stiglitz, Nobel Literature Laureate | Project Syndicate – TRANSCEND Media Service
Titolo originale: The End of Neoliberalism and the Rebirth of History
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
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