[Disarmo] Fwd: Gli impianti Eni in Libia sotto attacco e Serraj si consegna a Erdogan




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Da: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Date: ven 29 nov 2019, 07:36
Subject: Gli impianti Eni in Libia sotto attacco e Serraj si consegna a Erdogan
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Gli impianti Eni in Libia sotto attacco e Serraj si consegna a Erdogan

Libia. Mentre la Farnesina e Palazzo Chigi tacciono la guerra continua Il generale Haftar con mercenari russi stringe l’assedio a Tripoli

Impianti petroliferi dell’Eni in Libia, sotto il generale Khalifa Haftar 

Impianti petroliferi dell’Eni in Libia, sotto il generale Khalifa Haftar

 © Ansa

Rachele GonnelliIl Manifesto

29.11.2019

28.11.2019, 23:59

Il più importante campo petrolifero operato dall’Eni in Libia, il grande giacimento di El Feel nella parte sud-occidentale del Paese, nei dintorni della città di Sebha, è stato bombardato martedì dall’aviazione del generale Haftar. La produzione è stata bloccata e il personale – tra cui non ci sono italiani – è stato temporaneamente trasferito in un’area più sicura.

FONTI LOCALI ci chiariscono che lo strike non è sembrato aggressivo, piuttosto simbolico – è stato colpito solo il parcheggio dell’edificio amministrativo – e non ha fatto che danni leggeri. Un solo veicolo in azione con l’intento di respingere la milizia affiliata al governo di Tripoli (Gna) agli ordini del comandante Hassan Moussa che in mattinata aveva cercato di insediarsi davanti ai pozzi, dove da febbraio stazionano invece le guardie armate fedeli al generale cirenaico Haftar e che in serata hanno in effetti ripreso le loro posizioni all’esterno del campo di El Feel e l’impianto ha ripreso a pompare dal sottosuolo i suoi oltre 70 mila barili di greggio giornalieri.

L’EPISODIO, che segue quello dell’abbattimento di un drone italiano la scorsa settimana, ha allarmato il gruppo M5S del Senato che in serata ha emesso un comunicato in cui esprimeva “forte preoccupazione”, ma anche in questo caso dal governo e dalla Farnesina, così come persino dall’Eni, non c’è stata alcuna reazione. Solo un silenzio ormai piuttosto rumoroso. Perché la guerra a bassa intensità nell’ex Quarta sponda continua ad andare avanti dall’aprile scorso e l’Italia sembra sempre più defilata, nonostante la presenza di circa 400 soldati italiani nel compound dell’ospedale italiano a Misurata e nonostante i continui richiami del premier Giuseppe Conte alla strategicità della stabilità libica per l’Italia, ancora tutta da ritrovare.

NESSUNO HA VOLUTO CHIARIRE neanche cosa ci facesse il drone Mq9 Reaper (tipo Preadator B) della nostra Aeronautica in volo sulla prima linea della battaglia di Tripoli, cioè nell’area di Tarhouna dove l’Esercito nazionale libico (Lna) agli ordini del generale Haftar ha posto il suo acquartieramento per espugnare la capitale Tripoli, che gli resiste da oltre sette mesi. Il drone con i cerchi tricolori sulle ali è stato abbattuto il 20 novembre dalla contraerea di Haftar e solo uno scarno comunicato della Difesa ha parlato di una sua missione di supporto all’operazione Mare Sicuro, cioà quella a sostegno dell’attività anti-migranti della Guardia costiera del governo Serraj.

MA LE MILIZIE DI HAFTAR in lotta con quelle di Serraj per il controllo di Tripoli si sono ben guardate dallo scusarsi con il governo di Roma per l’abbattimento del drone italiano, al contrario di ciò che hanno fatto nel caso dell’altro drone abbattuto, questa volta a stelle e strisce, appena il giorno dopo, sempre nell’area di Tripoli. In quel caso il comando di Haftar si è scusato, sarebbe stato scambiato per un velivolo armato a controllo remoto di fabbricazione turca, come quelli che da mesi solcano il cielo della capitale per ordine del premier Serraj. E non è per parlare di questo episodio che una delegazione americana di alto rango ha voluto avere un abboccamento nei giorni seguenti con lo stesso Haftar.

WASHINGTON È ALLARMATA casomai dal la presenza di centinaia di mercenari russi al fianco di Haftar documentata dai giornali statunitensi come New York Times e Washington Post. Paramilitari d’assalto del Wagner Group, agenzia privata di contractors che il Cremlino utilizza sui fronti di guerra dove non vuole esporsi in tutta evidenza, come l’Ucraina, la Siria e il Sudan. Anche grazie a loro l’Lna riesce ancora a controllare l’80% del territorio libico, con il sostegno dell’Egitto, degli Emirati e più timidamente della Francia. L’ambasciatore Usa in Libia Richard Norland martedì scorso ha ribadito al premier Serraj l’inquietudine di Trump per «il crescente intervento russo che destabilizza il Paese».

ANGELA MERKEL, che a fine estate aveva preso il testimone dai fallimentari tentativi di Parigi e Roma per tentare di portare accordi di pace in Libia, è ancora alle prese con l’oranizzazione di una conferenza internazionale a Berlino alla quale nessuna delle due parti in conflitto sembra interessata a partecipare. Serraj per tutelarsi da una disfatta è volato due giorni fa a Istanbul dove ha firmato importanti accordi di cooperazione militare. La Libia, nell’unico orizzonte europeo di sigillare le frontiere dai flussi migratori, in silenzio rischia di diventare un protettorato turco.