Re: [Disarmo] Alberto Negri - Al Baghadi: la sua pelle in cambio dei curdi




Alberto Negri mostra di credere appieno alla sceneggiata montata in studio dal genio Trump, prove sul campo del DNA comprese. Contento lui, fino a ieri lo denigrava come imbecille. Qualcuno propone visioni alternative, e meno strampalate. Allego sotto.

Jure

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E infatti, come da precedente post, adesso c'è la possibilità di riciclare l'Isis.
Ma il comunicato di Trump è fatto per fare infuriare i clintonoidi, questo è degno di nota. La guerra tra le due Americhe si fa sempre più aspra.

Ps. Trump ringrazia i Curdi per "un certo aiuto" ma gli Iracheni hanno detto che sono stati loro a localizzare al Baghdadi.

Piero

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Il dom 27 ott 2019, 20:49 Fulvio Grimaldi <fulvio.grimaldi at gmail.com> ha scritto:

    Si, e gli asini volano. Come volavano quando i Navy Seals avrebbero ucciso Osama bin Laden nel 2011, sorvolando sul fatto che l’affetto da diabete e perennemente attaccato alla macchina della dialisi, dove l’aveva trovato anche il capostazione Cia a Dubai, era morto, con comunicazione su tutti i media, nel Pakistan, in ospedale, nel dicembre 2001.  Corpo ovviamente sottratto a ogni esame autoptico per accertarne l’identità e gettato in mare dalla nave Usa che avrebbe dovuto esibirlo al mondo per comprovare il fatto. Niente riprese video mostrate al pubblico di quanto i Navy Seals avrebbero certamente dovuto filmare da telecamere piazzate sugli elmetti.

    Analogamente, ma proprio analogamente, Al Baghdadi (per l’attacco al quale gli Usa si sarebbero anche serviti di curdi, a Idlib, dove un curdo non s’è mai visto e dell’assistenza russa, smentita da Mosca) si sarebbe polverizzato da solo insieme alle sue donne, per cui niente cadavere, niente esame autoptico, niente prove.

    Tutto questo a prescindere dagli asini che volano anche sulle teste di coloro che accreditano essere stati Osama e Al Baghdadi liberi e indipendenti combattenti islamici contro l’Occidente e non di quell’Occidente particolarissimo, creature e fedeli esecutori.

    Fulvio

    
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    Da: Piero Pagliani
    Inviato: domenica 27 ottobre 2019 19:10
    Oggetto: Edizione straordinaria!!! Dichiarazione bomba di Donald Trump sull'eliminazione di al-Baghdadi. C'è da rimanere attoniti, senza parole. Leggete e capirete perché.

    

    Donald Trump ha hannunciato ufficialmente che gli USA hanno ucciso al-Baghdadi nel raid di ieri, assieme a tre bambini che lui aveva portato nel tunnel dove cercava di nascondersi, mentre altri 11 bambini erano stati fatti evacuare.

    Un ufficiale dell'Intelligence irachena ha dichiarato che i servizi segreti iracheni hanno contribuito a localizzare al-Baghdadi ad Idlib.

    Chissà se i media mainstream la smetteranno adesso di dire che a Idlib c'è l'opposizione "democratica". Dovrebbero farlo, ma non è detto, visto a chi devono rispondere. Magari, al contrario, condanneranno quest'azione del detestato Trump (e a ragione: tutto sommato sia l'ISIS che al-Qaeda erano "assets" dei guerrafondai neo-liber-cons clintonoidi, quelli che da una parte sono tanto filo LGBT e dall'altra finanziano e armano abominevoli tagliagole che gli LGBT li lapidano o li gettano dall'alto delle torri).

    E la nota ufficiale di Donald Trump sembra essere stata concepita proprio per dichiarare guerra al'establishment clintonoide, alla CIA e al Deep State.

    Perché c'è un colpo di scena straordinario. Fate bene attenzione perché sembra di vivere in un'epoca diversa o in un altro mondo.

    Verso la fine della sua dichiarazione ufficiale il presidente degli Stati Uniti ringrazia per il successo dell'operazione la Russia (sì, avete capito bene), la Turchia, la Siria (sì, avete capito ancora bene), l'Iraq e i Curdi siriani:

    "I want to thank the nations of Russia, Turkey, Syria and Iraq, and I also want to thank the Syrian Kurds for certain support they were able to give us."

    ( https://www.whitehouse.gov/briefings-statements/statement-president-death-abu-bakr-al-baghdadi/)    

    Non so voi, ma io ho la sensazione che ne vedremo delle belle.

    PS.

    Nel post "Di caos in peggio", la frase " Gli accordi tra Damasco e Siria" deve essere ovviamente interpretata come " Gli accordi tra Damasco e Curdi".

    In generale vorrei scusarmi per altri errori precedenti, di ortografia (come "l'anno" invece di "l'hanno") o di grammatica (come "la mia predilezione va per Tulsi Gabbard" invece che "la mia predilezione va a Tulsi Gabbard) e così via. Succede così quando si scrivono "instant posts".

Piero

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Il 28/10/19 09:13, Elio Pagani (via disarmo Mailing List) ha scritto:

---------- Forwarded message ---------
Da: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Date: lun 28 ott 2019, 06:56
Subject: Al Baghadi: la sua pelle in cambio dei curdi
To: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>


Al Baghadi: la sua pelle in cambio dei curdi

Il nuovo ordine regionale. Il presidente americano Trump conferma: al Baghdadi «È morto come un cane, da codardo». Il suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava

Alberto NegriIl Manifesto

27.10.2019

27.10.2019, 15:15

E così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.

Il suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.

“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.

E ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.

Insomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?

La fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.

Ma gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.

E senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.

Fatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’Isis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.

I miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.

Eliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.

Qui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.

Da questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.

L’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.

L’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.

Idlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.

In realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.

Un percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.

Al Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.

Ma fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.

Proprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.

Essenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.

La scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.

Anche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.

Non stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.

Tutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.

“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.

L’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.
Quando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.

“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.

Ecco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. Ora sì che i due possono tornare amici.


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