C’era da aspettarselo. Quasi come se fosse un copione già scritto, dopo la firma “istituzionale” due giorni fa da parte di Italia e Regno Unito, è arrivato l’ok, più corposo e sostanziale, delle aziende leader nel settore della difesa: Bae Systems da una parte e Leonardo dall’altra hanno infatti annunciato l’intenzione di collaborare alle “attività relative al Combat AirSystem Tempest firmando una dichiarazione di Intenti”, si legge nel comunicato stampa diffuso ieri. Un nuovo caccia all’orizzonte, dunque. Nonostante siano, di fatto, ancora operativi sia gli Eurofighter sia gli F-35.
Difficile stabilire, oggi, quale sarà l’impegno economico per l’Italia. Le cifre più veritiere (ma che, ovviamente, non tengono conto dei costi indiretti) parlano di un impegno iniziale quantificato dai britannici in 2 miliardi di sterline (2,2 miliardi di euro), ma il processo è ancora lungo e mira a rendere i nuovi aerei militari operativi non prima del 2035. Restano, però, numerosi interrogativi. Grossi come un macigno. Perché – si sono chiesti in tanti – avviare un nuovo programma militare, nonostante per mesi abbia tenuto banco l’idea (tristemente naufragata) di bloccare gli F-35?
La questione non è banale, specie se si considera che a portare avanti il progetto, più che Lorenzo Guerini (il quale comunque ha salutato la firma con grande giubilo), è stata verosimilmente l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta. “È curioso – sottolinea non a caso Francesco Vignarca, portavoce della Rete per il Disarmo – che il programma sia andato avanti nonostante il cambio di Governo: tutto ovviamente è stato fatto dal precedente esecutivo e non è stato minimamente messo in dubbio dal nuovo assetto di Governo, quasi a dire che il cambio di maggioranza non influisce su questo programma militare”.
Ma c’è di più: lo studio di fattibilità del progetto, risalente a circa un anno fa, si concentra sul fatto che Italia e Gran Bretagna sono partner naturali nel combat air. Non c’è, però, alcun riferimento a eventuali necessità da parte dell’Italia. “Eppure – chiosa ancora Vignarca – la Difesa dovrebbe pensare a questo, non a esigenze industriali ed economiche” (leggi l’intervista).
AVANTI UN ALTRO. Ma accanto alla questione politica, con un Movimento cinque stelle che rischia di tradire le sue idee sul campo più delicato che ci sia, quello pacifista, resta proprio la questione economica. Difficile non avere il dubbio che il nuovo progetto militare risponda solo a esigenze industriali.Innanzitutto perché, come sottolinea ancora Vignarca, l’Italia si troverà tra qualche anno, inspiegabilmente e illogicamente, ad avere più di tre programmi militari in campo aeronautico: l’Eurofighter, l’F-35 e ora il Tempest. Con un particolare che ha del folle: “il nostro Paese – spiega ancora il portavoce della Rete per il disarmo – partecipa anche al programma dell’eurodrone. Ma alcuni elementi di questo progetto confluiranno nel Fcas (Future Air Combat System), il caccia franco-tedesco, che è competitor diretto del Tempest.Insomma, pagheremo indirettamente anche il competitor del nostro nuovo progetto”.
A sorridere, manco a dirlo, è Leonardo. Fa niente per i lavoratori del comparto di Brindisi che rischiano un giorno sì e l’altro pure il licenziamento. Pochi sanno che, mentre si siglano accordi miliardari, c’è un tavolo aperto al ministero dello Sviluppo economico, quello stesso dicastero diretto da Luigi Di Maio che è stato invitato in pompamagna, insieme a Giuseppe Conte, all’inaugurazione del campus a Pomigliano (la città natale di Di Maio) creato e voluto proprio da Leonardo. E forse non è un caso che i dossier militari da tempo non occupano più l’agenda pentastellata. Nello stesso contratto Pd-M5S non c’è alcun riferimento alla spesa armata. E lo stesso progetto italo-britannico è stato portato avanti in questi mesi. In sordina. E, dopotutto, proprio Di Maio era indeciso se andare o meno al ministero della Difesa. Altra coincidenza.
QUELL’AUDIZIONE DI MAGGIO. Ed è altrettanto difficile non legare questo nuovo programma, che non trova ragione logica o strategica, a quanto dichiaratodall’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo (nella foto), nell’audizione tenuta a maggio in commissione Difesa al Senato. Vale la pena ricordare le parole dell’ex banchiere di Unicredit ed Mps: serve “un’azione sempre più coordinata sotto il profilo del supporto economico-finanziario alle imprese della difesa”. E ancora: “sarebbe da valutare se sia logico avere un plafond difesa che pone dei limiti”. “Pensiamo – ha concluso Profumo – si possano avere delle ottimizzazioni nella nostra normativa, prevedendo soluzioni che possano consentire un sostegno dell’export più rilevante, in linea con quanto stanno facendo i nostri concorrenti”.
Ma l’Ad in audizione ha suggerito a Parlamento e Governo anche un sistema più agevole per assecondare il business del settore: “Vediamo che Paesi concorrenti hanno questo strumento del G2G cioè della possibilità da parte del Paese di effettuare contratti diretti con altri Paesi e crediamo che questo sia uno strumento di cui anche il nostro Paese si dovrebbe dotare, con una normativa per il G2G”, ha detto l’amministratore delegato. Un aspetto, come sottolinea il sito specializzato StartMag, che si rintraccia in uno studio: uno strumento di influenza nelle relazioni geopolitiche (e industriali), si legge nel rapporto presentato mesi fa, “è rappresentato dagli accordiGovernment-to-Government (G2G)”. Da chi è stato realizzato questo studio? Da Ambrosetti in collaborazione con Leonardo. E che tipo di accordo abbiamo conTempest? G2G. Manco a dirlo.
Vignarca (Rete per il disarmo): Manca una strategia. La Difesa obbedisce solo a logiche economiche.
Ancora un altro aereo? Ancora nuovi acquisti militari? “Sembra quasi che avremo una generazione di aerei dietro l’altra. Ma la domanda resta: per combattere chi?”. Alla domanda di Francesco Vignarca, portavoce della Rete per il disarmo e profondo conoscitore dell’ambito armato e militare, è difficile dare una risposta. E l’impressione è che neanche chi di dovere ce l’abbia. “Abbiamo gli Eurofighter di IV generazione per i quali ancora adesso che sono funzionali e sicuri. Però poi sono arrivati gli F-35 che dovevamo acquistare perché altrimenti non saremmo stati integrati…”.
E ora è arrivato il Tempest.
Esatto. Ma il punto è che stiamo parlando di sistemi d’arma talmente
avanzati che hanno senso solo in contesti con realtà di un certo tipo,
non per interventi come quelli che ci sono stati inAfghanistan o Iraq.
La domanda quindi è: ce n’è veramente bisogno o è solo un programma voluto per altro?
Esatto. O pensiamo veramente che ci sia qualche forza convenzionalmente
forte – e quindi Russia o Cina – da dover affrontare nel futuro, oppure
non c’è ragione, a meno che non si viri su una giustificazione
economica, con l’esigenza di dare miliardi alle aziende del settore. C’è
poi un altro aspetto.
Quale?
Che tipo di strategia abbiamo? In questo modo siamo dentro ben 3
progetti e mezzo in campo aeronautico. Siamo ancora dentro gli
Eurofighter, ancora in piedi come struttura di vendita (tanto che
abbiamo in corso la commessa col Kuwait). Poi però si è introdotto, come
dicevamo, l’F-35 che è un programma internazionale e per il quale ci
hanno detto cheabbiamo dovuto investire tanto puntando su Cameri per
coprirci per i prossimi decenni. Ma ecco che arriva Tempest, che è un
progetto bilaterale con la GranBretagna che peraltro uscirà dall’Unione
europea a breve. Che senso ha se non quello di dare soldi alle aziende
produttrici?
Al di là del pacifismo, dunque, c’è una mancanza di strategia.
Peraltro Tempest entrerà in competizione con il Fcas, il caccia
franco-tedesco che a sua volta si prenderà tutta una serie di componenti
e dati derivanti dall’eurodrone, a cui noi collaboriamo. In pratica
siamo dentro anche un progetto da cui il Fcas prenderà elementi.
Fondamentalmente noi paghiamo ancora per l’Eurofighter, paghiamo lo
sviluppo e l’acquisto dell’F-35, paghiamo il primo sviluppo del Tempest e
paghiamo anche gli sviluppi dell’eurodrone che poi andranno dentro nel
progetto franco-tedesco. Questa cosa non ha senso logico: pagheremo tre
volte lo sviluppo di progetti tra loro concorrenti.
Resta un problema anche politico: si è giustificato il
mancato stop agli F-35 dicendo che, essendo un progetto avviato, non si
poteva interrompere. Nel frattempo, però, ne è stato avviato un altro ex
novo…
Assolutamente vero. In realtà il problema è culturale e politico, non è
riferibile a un solo colore politico o a un certo momento storico. Molti
programmi, soprattutto nel settore dell’armamento, sono portati sempre
avanti come servizio all’industria. Eppure il ministro della Difesa
avrebbe come mandato quello di difendere il Paese, non quello di
favorire un’industria piuttosto che un’altra. È legittimo dire che
servono 100 aerei ma se c’è una necessità prima, non perché sono al
servizio di qualche industria. Il caso Tempest è rivelatore di questo:
lo studio di fattibilità è uno studio industriale e, invece, non ha
alcuna valenza strategica.