[Disarmo] Cina - Hong Kong: da Pino Arlacchi (F.Q.) a Simone Pieranni (Il Manifesto, oramai alla 'delazione')




Il Manifesto oramai è alla 'delazione dei traditori'...:

"la potenza degli uffici della propaganda di Pechino è arrivata anche in Occidente, dove ormai il peso dei media cinesi non è più ininfluente come qualche tempo fa. I network televisivi e informativi cinesi sono ormai in grado di fare breccia anche nel panorama mediatico occidentale, spesso anche grazie a collaborazioni con importanti media e agenzie".
Inoltre:
"fornendo strumenti (...) agli occidentali che parteggiano, come se fosse una partita di calcio, con la Cina contro i manifestanti di Hong Kong (...) la città è stata descritta come un luogo di perdizione e decadenza, in preda ai criminali e come un ricettacolo di mafiosi e businessmen senza scrupoli." (Infatti, i soldini ivi nascosti da Bettino Craxi erano di provenienza cristallina - Jure).

Qui sotto potete leggere la versione di Pino Arlacchi, nota spia al soldo di Pechino al cui scritto - non riportato come riferimento - l'articolo de Il Manifesto con evidenza (per chi lo ha letto) si è ispirato. Arlacchi l'ha pubblicato Il Fatto Quotidiano, espressione del Partito Comunista Cinese, come finalmente svelato dal Quotidiano Comunista.
In fondo l'articolo de Il Manifesto, noto organo indipendente della libera stampa italiana.

Altri elementi utili su Cina - Hong Kong (e collegati):
https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/08/cupola-i-fronti-delle-milizie.html

Jure Eler

https://1.bp.blogspot.com/-InXvD6gUj20/XVgui2v8KpI/AAAAAAAAOhI/VMFj5mqXBskLcR1JLPBxTWDcRgnOwNuHgCLcBGAs/s1600/hong%2Bkong%2Bbandiere%2BUK%2B2.jpg
https://1.bp.blogspot.com/-S9QpozrJbUw/XVgs2-0F51I/AAAAAAAAOgM/sVv_Bv898vALV0BoioNy7mtgm8mUxOmZgCLcBGAs/s1600/hong%2Bkong%2Bbandiera.jpg

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Pino Arlacchi - HONG KONG, LA STORIA CHE NON LEGGERETE

 


di Pino Arlacchi* - Fatto Quotidiano, 18 giugno 2019 


Non riportare mai la versione dell’altra parte in campo e limitarsi a ripetere la stessa storiella, senza il minimo approfondimento, sono diventati le regole seguite dai media mainstream nel trattare i fatti internazionali. Che si tratti di Cina, Venezuela, guerre, massacri e catastrofi, ogni volta che si deve informare si ricorre a una formuletta preconfezionata. Che coincide regolarmente con gli interessi dei proprietari dei mezzi di comunicazione, dei governi occidentali e dello 0,1% che tenta di governare le cose del mondo.

Per rompere  questa corruzione mediatica, che svuota di senso il discorso democratico e ci mette nelle mani di una plutocrazia sempre più ristretta, occorre immergersi nel caos delle fonti alternative di informazione o fondare giornali indipendenti. Oppure essere dei premi Nobel come Paul Krugman. Il quale si può permettere dalle colonne del New York Times di elencare le forme attraverso cui lo 0,1% distorce a proprio vantaggio le priorità pubbliche. E produce, aggiungiamo noi, la comunicazione ipersemplificata, falsa e omissiva di cui siamo vittime.

Ecco la lista di Krugman: 1) Corruzione hard: mazzette di soldi a politici e giornalisti. 2) Corruzione soft. Cioè “porte girevoli” tra governo e business, compensi per giri di conferenze, membershipdi club esclusivi. 3) Contributi elettorali. 4) Definizione dell’agenda politica attraverso la proprietà dei media e dei think tank, in modo da far prevalere priorità che fanno spesso a pugni con la ragionevolezza e il bene comune ( P. Krugman, NYT 22.6.2019). Quando lo 0,1% decide che un Paese va attaccato – o perché privo di armi nucleari e ricco di risorse naturali, o perché in grado di competere sul piano economico e geopolitico, o perché attestato su posizioni ostili alla finanza neoliberale, o per una combinazione di questi motivi – scatta un assalto coordinato al suo governo. Le altre priorità di politica estera scompaiono, e parte la crociata mediatica. Poiché viviamo in un’epoca di diffusa avversione alla guerra, il pretesto preferito per aggredire un Paese è diventato quello umanitario e della violazione dei diritti umani.

La corruzione mediatica ha di recente preso di mira la Cina, attraverso la disinformazione sulle proteste che avvengono a Hong Kong in queste settimane presentate come manifestazioni di difesa delle libertà politiche dei cittadini da un trattato di estradizione che consentirebbe alla Cina di prelevare da Hong Kong i dissidenti per imprigionarli nella madrepatria.

Non una parola viene sprecata per ricordare:

A) che Hong Kong fa parte della Cina, ed è una regione a statuto speciale tornata a far parte della Cina stessa dal 1997 dopo essere stata per oltre un secolo colonia inglese in conseguenza delle guerre vinte dalla Gran Bretagna nell’Ottocento in nome della libertà di vendere l’oppio ai milioni di tossicodipendenti cinesi. 

B) che la Cina ha rispettato le istituzioni democratiche introdotte a Hong Kong dagli inglesi all’ultimo minuto prima della loro dipartita.

C) che la maggioranza degli elettori della città sono pro-Cina e che i partiti anticinesi continuano a perdere consensi.

D) che il trattato riguarda i reati comuni sopra i 7 anni di carcere (omicidi, rapine, stupri, etc.) puniti in entrambi i sistemi.

Ed esclude quindi qualunque possibilità di uso politico.

E) che la Cina lamenta il fatto che Hong Kong ha firmato solo 20 trattati di estradizione con paesi esteri ed è diventata perciò un ricettacolo della delinquenza cinese ed internazionale di ogni risma: dagli assassini di alto bordo ai contrabbandieri, dai politici corrotti ai mega-truffatori finanziari che risiedono sul posto imboscando il loro malloppo (Hong Kong è ancora uno dei massimi paradisi fiscali). A proposito di quest’ultimo punto, è stato a Hong Kong che, da vicepresidente della Commissione antimafia, il sottoscritto ha trovato le tracce, nel 1995, di qualche soldino depositato per conto di Bettino Craxi.

F) che il vero problema che sta alla base del disagio degli abitanti di Hong Kong è il suo declino come centro finanziario rispetto alla crescita impetuosa della madrepatria e della zona confinante di Shenzhen dopo il 1997. Crescita dovuta allo sviluppo di una vasta industria manifatturiera che sta agli antipodi della finanza semi-criminale di Hong Kong. Scavalcata ampiamente, tra l’altro, nella sua componente legale, dalle Borse di Shanghai e Guangzhou.

Una parte degli abitanti di Hong Kong, perciò, coltiva il sogno di un ritorno al passato che preservi uno status di hub finanziario che per la Cina ha perso rilevanza. E che non è sintonia con le politiche di Pechino volte a favorire l’economia reale a scapito della finanza privata. Ma è una storia non facile da raccontare. Lo 0,1% preferisce far passare una storiella più sbrigativa, con il tiranno Xi Jinping da un lato e gli eroi della democrazia liberale dall’altro.

Notizia del:






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Sulle proteste di Hong Kong è piombata l’offensiva mediatica cinese

Ieri si è anche tenuta una manifestazione a
                  favore del governo di Hong Kong e Pechino 

Ieri si è anche tenuta una manifestazione a favore del governo di Hong Kong e Pechino

© LaPresse

Simone PieranniIl Manifesto

18.08.2019

17.8.2019, 23:59

18.8.2019, 0:48

Un video di un paio di minuti nel quale sono state montate scene di film ambientati a Hong Kong e immagini delle recenti proteste. Un montaggio da kolossal e un’atmosfera epica e finale. Lo scopo del video: dimostrare al pubblico cinese il supporto del governo centrale alla polizia dell’ex colonia britannicaalle prese con le proteste in corso da ormai undici settimane. Si tratta di uno dei metodi con i quali Pechino prova a dare la propria versione dei fatti accaduti a Hong Kong in Cina e non solo.

SE NEI PRIMI GIORNI delle manifestazioni a Hong Kong gli accadimenti erano stati silenziati sulle reti sociali cinesi, ben presto invece Pechino ha cambiato strategia, inondando WeChat e Weibo di messaggi a favore del governo e della polizia della città e sottolineando le «violenze» dei manifestanti che poi lo stesso governo ha bollato come prodromo di «terrorismo».

Ma la potenza degli uffici della propaganda di Pechino è arrivata anche in Occidente, dove ormai il peso dei media cinesi non è più ininfluente come qualche tempo fa. I network televisivi e informativi cinesi sono ormai in grado di fare breccia anche nel panorama mediatico occidentale, spesso anche grazie a collaborazioni con importanti media e agenzie, fornendo strumenti sia ai cinesi all’estero che mal hanno sopportato le manifestazioni a Hong Kong sia agli occidentali che parteggiano, come se fosse una partita di calcio, con la Cina contro i manifestanti di Hong Kong (naturalmente c’è anche chi «tifa» allo stesso modo contro la Cina).

In questo modo Pechino ha tentato di veicolare una narrazione più omogenea e facilmente comprensibile rispetto alla complessità di quanto sta accadendo a Hong Kong: la città è stata descritta come un luogo di perdizione e decadenza, in preda ai criminali e come un ricettacolo di mafiosi e businessmen senza scrupoli.

I MANIFESTANTI sono stati rappresentati come studenti benestanti e inglese-parlanti (quindi «privilegiati») e in balia dell’ingerenza americana, quando non direttamente sospettati di esserne «agenti» con finalità anti cinesi.

Questo sforzo riguardo ai fatti di Hong Kong da parte dell’apparato statale cinese – comprese alcune ambasciate, come quella di Roma che ha organizzato una conferenza ad hoc sui fatti dell’ex colonia britannica, conseguenza di una tendenza generale, iniziata da alcune ambasciate in Africa capaci di usare i media con molta sicurezza –  costituisce comunque una novità e dipende da alcuni elementi fortemente radicati nel sentimento più nazionalista cinese: una diffidenza ovvia, storica, nei confronti dei media occidentali e la sensazione – spesso giustificata – che in ogni diatriba che coinvolga la Cina, gran parte della stampa occidentale sia pervasa da sentimenti anti-cinesi pregiudiziali e per interesse o in ogni caso si dimostri acriticamente favorevole a qualsiasi richiesta di democrazia arrivi da una piazza contrapposta a Pechino (da qui lo sforzo attuale di penetrazione nel sistema dei media occidentali, dopo aver provato a comprarsi direttamente gruppi editoriali stranieri).

Da parte loro i manifestanti oltre ad aver dimostrato la propria variegata composizione, scegliendo anche di manifestare in zone più periferiche per non incorrere in divieti ma anche per sensibilizzare altre fasce di popolazione (operazione riuscita) hanno attivato diversi canali su Telegram e hanno cercato di gestire l’impatto mediatico come meglio hanno potuto, chiedendo perfino scusa a seguito di alcuni eventi cavalcati dalla propaganda cinese, come il caso del giornalista del Global Times(quotidiano costola del partito comunista e su posizioni ultra nazionaliste) bloccato e malmenato dai manifestanti all’aeroporto.

Un’altra chiave con la quale la Cina ha provato a fare pressione sulle proteste è stata la minaccia più o meno velata di un intervento dell’esercito. Dopo alcuni articoli allarmistici sulla stampa internazionale è stato proprio il Global Times a escludere, per ora, l’eventualità, dimostrando quanto in realtà in tanti avevano scritto: siamo di fronte a qualcosa di diverso da quanto accaduto trent’anni fa a Pechino, a Tiananmen.

LA CINA È PIÙ POTENTE di allora, ma ha anche molti più strumenti per reagire. Uno di questi è la tattica utilizzata ad ora da Xi Jinping: non fare niente, se non utilizzare minacce verbali e aspettare che tutto quanto sta accadendo finisca per spegnersi da solo.

Il problema di questa opzione è la straordinaria capacità della mobilitazione a Hong Kong: anche ieri la città è stata percorsa da tre diverse manifestazioni, una delle quali organizzata dagli insegnanti a dimostrare l’ampio fronte anti Pechino.

Si è trattato di una giornata di proteste pacifiche, ennesimo tentativo dei manifestanti di mostrare che le proprie ragioni non hanno bisogno di violenza, almeno se non a seguito di provocazioni e violenti pestaggi come quelli messi in atto dalla polizia di Hong Kong (guidata, per altro, da due ufficiali britannici). Insieme alle proteste contro il governo della città e Pechino, si è svolta anche una manifestazione contro le proteste e a favore del governo di Carrie Lam.

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