Buongiorno a tutte e
tutti,
di seguito alcune
mie note sul documento della
direzione RWM sulla sospensione
di commesse militari verso
l'Arabia Saudita e gli Emirati
Arabi, in relazione al loro uso
in Yemen.
- Il fatto che il
direttore RWM abbia anticipato
la pubblicazione del Documento
del Governo (Risoluzione
ministeriale riferita da Di Maio
via social) e non abbia atteso
che fosse pubblicato indica
l'esistenza di una "cortesia"
governativa nei confronti di RWM
che è venuta a conoscerlo
(naturalmente) per prima, e
direttamente, e non mediante
altri strumenti.
- Tuttavia (ma è
ipotesi remota) se il Documento
fosse riservato o non destinato
alla pubblicazione (totale), ciò
potrebbe significare l'esistenza
di margini di manovra a favore
dell'azienda (la mozione
recepita a detta di alcuni
settori parlamentari non è
nemmeno vincolante) ...
- Il tono legalistico del
Direttore Generale RWM Italia,
dimostra come la sostanza
dell'art.1 della L.185/90
definisca prioritario il
rispetto della Politica Estera
italiana rispetto ai divieti di
esportare a paesi in conflitto o
che violano i diritti umani.
L'adeguamento a
questo (parzialmente) nuovo
indirizzo di Politica Estera
costringe l'Azienda ad
adeguarsi.
- Il riferimento al mercato
(delle armi) come indipendente e
non condizionato dalla presenza
e dalle decisioni statali, come
indifferente al tipo di merce, è
un approccio ideologico utile ad
entrambe le parti (Azienda e
Stato) per giustificare i
reciproci vantaggi economici e
tecnologici (le aziende belliche
hanno ruolo centrale nel
"Sistema Difesa e Sicurezza").
- Tuttavia il periodo di 18
mesi di sospensione dello
specifico export, non sembra
vincolato al superamento del
conflitto in Yemen, ma, nel
migliore dei casi, può risultare
la prima di sospensioni
successive, cosa che il D.G.
vuole scongiurare auspicando che
il "periodo di transizione" duri
il meno possibile.
- Il tono "sereno"
e paternalistico del D.G. sembra
sottendere alla possibilità di
utilizzare risorse e strategie
riparatorie della situazione
critica.
Contemporaneamente strizza
l'occhio ai sindacati e cerca di
evitare la nascita di una
conflittualità interna (del
personale) consapevole
finalmente della necessità di
una riconversione (o almeno di
una diversificazione) anche per
evitare una saldatura tra i
lavoratori e il Comitato per la
riconversione (esterno).
- Il fatto che il D.G. non
accenni minimamente
all'esistenza e alla
"responsabilità" del Comitato
per la riconversione può
significare due cose, evita di
evocare un possibile alleato dei
lavoratori (come appena detto) o
ritene che il Comitato, nel caso
di acutizzazione della crisi,
possa tornare utile in alcune
sue istanze (ad esempio quelle
che sollecitano interventi dello
Stato e della Regione).
- L'assenza di piani
alternativi già presenti
(neppure sulla carta) renderà
difficile la possibilità di una
transizione rapida e indolore al
civile, questo aumenta la
probabilità che la
"ristrutturazione" di cui parla
il D.G. venga gestita con uso
massiccio della Cassa
Integrazione e/o altri
ammortizzatori sociali,
approccio favorito anche dal
fatto che si tratta di "soli" 18
mesi di sospensione.
- La D.G. considera questa
sospensione effettivamente non
definitiva, tant'è che conferma
l'intenzione di "proseguire nei
suoi investimenti strategici".
- Contemporaneamente, volendo
mantenere la propria "posizione
di mercato", probabilmente
l'Azienda chiederà allo Stato
supporti o facilitazioni per
esportare armi in altri Paesi
(la D.G. parla infatti di altri
contratti acquisiti e in fase di
acquisizione).
- Il Comunicato aziendale non
parla della necessità di
coinvolgere la Direzione tedesca
della RWM (Rheinmetall), né dei
prodotti civili che in Germania
vengono realizzati (per il
settore autoveicoli), ciò può
significare che non si fa
affidamento (o non si ha
interesse) ad una
redistribuzione delle attività
civili nelle aziende italiane
del gruppo. Ciò dimostra il non
interesse alla
diversificazione/riconversione
al civile.
- L'assenza di piani
alternativi già presenti (almeno
sulla carta) mostra le
responsabilità, oltre che della
Azienda, dei Sindacati (locali e
non) e delle Forze politiche
(locali e non) che non hanno mai
affrontato il problema di quella
produzione bellica dal punto di
vista etico e di politica
economica e industriale
sostenibile. Questi soggetti
possono configurarsi come
rinnovato soggetto di lobbying
pro attività militari.
- Più in generale questo caso
deve spingere l'intero
"movimento ecopacifista" a
pretendere, anche applicando la
legge 185/90 che afferma il
sostegno alla riconversione, la
stesura di piani preventivi di
riconversione per ogni azienda
bellica (ed ecologicamente
distruttiva), come già
auspicavano peraltro quella
parte di lavoratori e settori
sindacali "riconvertisti" negli
anni '70-'80...
Elio Pagani