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È
partito tutto nel 2007, quando Banca Etica – su
suggerimento di Greenpeace e Amnesty International –
comprò azioni di Enel ed Eni. È stata quella
la
prima iniziativa di azionariato critico intrapresa
da
Fondazione
Finanza Etica, che esisteva già dal
2003.
«Lo
scopo di quei due progetti era quello di supportare le
campagne delle due ONG contro l’investimento in nucleare
e carbone da parte di Enel e l’inquinamento nel delta
del Niger da parte di Eni», ricorda Mauro
Meggiolaro, responsabile shareholder
engagement per Fondazione Finanza Etica.
Ma
partiamo dall’inizio.
Cosa
si intende per azionariato critico?«Il nostro
obiettivo è quello di promuovere la cultura della
finanza etica, anche attraverso la proprietà
responsabile delle azioni delle imprese. Così facendo
creiamo l’opportunità di dire agli azionisti che non
bastano i dividendi, ma bisogna anche pensare
all’impatto sull’ambiente e sui diritti civili e alle
conseguenze negative che tale impatto può avere anche
sui guadagni», spiega Mauro.
Fondazione
Finanza Etica dunque – insieme ad altre realtà simili
come
Re:common,
A Sud o l’internazionale
Global Witness – vuole
diffondere l’idea di azionariato responsabile e aiutare
le campagne delle ONG ad avere uno strumento in più,
l’azionariato critico appunto.«
Spesso
è impossibile dialogare con le grandi imprese dall’esterno»,
osserva Mauro. «Volete avere risposte? L’impresa non ve
le fornisce? Comprate un’azione e venite con noi in
assemblea, così l’impresa avrà il dovere di rispondere».
Questa
strategia ha dimostrato grande efficacia e sono sempre
di più le ONG che seguono la strada dell’azionariato
critico. Fondazione Finanza Etica mette loro a
disposizione le competenze tecniche per districarsi fra
la burocrazia societaria e spiega come formulare le
domande in sede di assemblea degli azionisti. «C’è
un valore aggiunto nel fare questo: l’impresa
risponde. Poi spesso le risposte sono
parziali ed evasive, ma almeno si apre il dialogo. Dopo
bisogna insistere».
Già,
perché le
assemblee degli azionisti sono il momento topico delle
campagne di azionariato critico, ma l’attività prosegue
senza sosta durante tutto l’anno: «L’azionariato critico
è un impegno continuo. L’assemblea è fondamentale perché
è l’occasione – che capita una volta all’anno – in cui
si può parlare con gli amministratori, c’è anche la
stampa e ci sono altri azionisti. Ma noi non ci fermiamo
mai».
La
foto della protesta degli attivisti tratta dal sito di
Greenpeace
Le
iniziative da intraprendere e le società di cui comprare
azioni non vengono mai stabilite a priori, ma
sono
sempre scelte in funzione di campagne già avviate
dalla società civile e da altre ONG. Negli
ultimi anni per esempio sono state acquistate azioni di
Generali insieme a Re:common per mettere in discussione
il forte investimento del colosso assicurativo nelle
centrali a carbone dell’Europa dell’Est; per conto
della
Rete Italiana per il Disarmo la
Fondazione ha comprato quote di Leonardo, ex
Finameccanica, produttore di tecnologie belliche; poi è
stata la volta della multinazionale di fast fashion
H&M: i membri della Fondazione sono andati
all’assemblea degli azionisti in Svezia insieme a
Clean Clothes Campaign.
Venendo
all’attualità, ecco il caso di Rheinemetall,
la maggiore industria tedesca nel settore degli
armamenti. Mauro ci racconta com’è iniziato
tutto: «Abbiamo deciso di appoggiare le istanze dei soci
sardi di Banca Etica e della Rete Italiana per il
Disarmo riguardo a RWM, industria sarda del gruppo
Rheinmetall. Dopo aver acquistato delle azioni abbiamo
cominciato a partecipare alle assemblee, ultima in
ordine di tempo quella di quest’anno, tenutasi pochi
giorni fa a Berlino».
La cronaca di quell’evento è
piuttosto movimentata, anche per via della
protesta inscenata dagli attivisti di un movimento di
sinistra tedesco che hanno comprato un’azione a testa e
sono entrati in incognito bloccando l’assemblea per
un’ora, aprendo striscioni e urlando slogan pacifisti.
«Erano una cinquantina e hanno colto di sorpresa
l’azienda, che ha dovuto richiedere l’intervento della
polizia. È stata un’azione diversa dalle nostre, non per
questo non valida. La interpreto come una reazione alla
forte chiusura della Rheinmetall, che genera molta
frustrazione negli azionisti critici».
Fondazione
Finanza Etica ha comunque portato avanti la propria
campagna: «In sala erano presenti solo azionisti minori,
molti di loro sono pensionati, ma la componente più
importante delle quote è detenuta da grandi investitori
istituzionali, come il fondo sovrano norvegese. Noi abbiamo
formulato dodici domande molto specifiche su
procedimenti amministrativi del TAR della Sardegna su
Rwm».
Uno
scatto dell’intervento della polizia all’assemblea
degli azionisti Rheinmetall
Come
sottolinea Mauro, è proprio questa la forza
dell’azionariato critico: «Noi
non andiamo in assemblea a fare la morale agli
azionisti. Li avvisiamo dicendo loro: “il
modo in cui vi comportate non è etico e per giunta causa
problemi come cause legali, calo della reputazione e
possibili multe”. In questo modo li coinvolgiamo ed
evidenziamo anche le possibili ricadute economiche di
una politica societaria non etica».
Nel
2017 Fondazione Finanza Etica ha lanciato insieme ad
altre sigle una rete di azionariato attivo chiamata shareholders
for change. Per ora conta undici membri
provenienti da Germania, Francia, Svizzera, Austria,
Italia e Spagna, che insieme
rappresentano asset per 140 miliardi di euro.
«Questa iniziativa è meno “radicale” – ci spiega Mauro
in conclusione –, quasi sempre andiamo da imprese che
hanno già adottato una serie di criteri sociali e
ambientali e acquistiamo un numero non simbolico ma
consistente di azioni».
Parleremo
presto anche di questo progetto. Nel frattempo se volete
saperne di più potete consultare
l’ampio dossier di Valori sull’azionariato
critico.
Articolo
riproducibile citando la fonte con link al testo
originale pubblicato su Italia che Cambia