[Disarmo] Fwd: Convegno Pax Christi Nazionale: ''Forgeranno le loro spade…'' su Camp Darby
- Subject: [Disarmo] Fwd: Convegno Pax Christi Nazionale: ''Forgeranno le loro spade…'' su Camp Darby
- From: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
- Date: Thu, 30 May 2019 15:54:15 +0200
Da: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Date: gio 30 mag 2019, 15:53
Subject: Convegno Pax Christi Nazionale: ''Forgeranno le loro spade…'' su Camp Darby
To: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Il 27-28 aprile si è svolta la consueta annuale Assemblea di Pax Christi Italia, presso la Casa per Ferie Regina Mundi a Calambrone (Pisa).
Il convegno, che ha preceduto l’adempimento e la discussione degli aspetti amministrativi dell’associazione, era intitolato “Forgeranno le loro spade…” ed ha affrontato due aspetti dell’attuale problema della militarizzazione.
Il primo, la militarizzazione del territorio: dalla base USA di Camp Darby al porto nucleare di Livorno; il secondo, la militarizzazione della società.
Nel suo saluto introduttivo, il presidente mons. Giovanni Ricchiuti ha sottolineato la necessità di uno spirito giovane per diffondere semi di pace e per far fronte al momento difficile che viviamo.
Nel corso della prima tavola rotonda, la mattina del 27 aprile, moderata da Franco Dinelli, è intervenuto il giornalista Manlio Dinucci, che ha ricordato il grande interesse suscitato dal recente convegno internazionale a Firenze, testimoniato da un altissimo numero di iscritti. Ha quindi illustrato l’attuale situazione della militarizzazione del territorio con un efficace video. In Italia sono presenti 2300 edifici USA, che coprono una superficie di 2 milioni di mq. A questi bisogna aggiungere le strutture NATO. Inoltre, la base di Aviano è statunitense, mentre quella di Ghedi è italiana, ma sotto comando USA.
La base di Camp Darby (900 ettari) rappresenta il più grande arsenale militare degli Stati Uniti al di fuori del territorio statunitense.
E’ ormai accertato che sono esistite delle forme di collaborazione tra queste basi militari straniere e l’organizzazione “Gladio”. Come pure è noto che l’esplosivo utilizzato in tutte le stragi della cosiddetta “strategia della tensione” proveniva dalle basi NATO.
Superfluo ricordare l’importanza e l’impatto militare delle basi NATO di Napoli e di Sigonella (Catania) e dei poligoni di addestramento in Sardegna. A Niscemi (Caltanissetta), infine, la mega installazione radar della Marina degli Stati Uniti fa parte del MUOS (Mobile Unit Objective System), che, collegando tra loro altre tre stazioni terrestri e alcuni satelliti geostazionari, è in grado di controllare e guidare qualsiasi missione militare in qualunque parte del pianeta.
La preoccupante conclusione di Dinucci è che, oltre all’invadenza territoriale, è in corso una vera e propria conquista delle menti.
Franco Busoni, della “Rete civica livornese contro la normalità della guerra”, ci ha parlato del porto di Livorno. Dal settembre 1944 i militari USA non si sono più allontanati dal porto di Livorno, collegandosi poi efficacemente con la vicina base di Camp Darby. Nel porto di Livorno possono stazionare sottomarini nucleari e la portaerei Nimiz. Trattandosi di mezzi a propulsione nucleare, per obbligo di legge il prefetto di Livorno ha elaborato un piano d’emergenza per rischio nucleare. Pertanto, il piano esiste, ma l’informazione sul suo contenuto non è divulgata, perché segreta. Nel caso fosse necessario metterlo in atto, quindi, non si saprebbe cosa fare. Nel porto di Livorno approdano e partono circa 70 navi che costituiscono una flotta, apparentemente civile, ma ad uso militare e con personale militare USA, che trasporta armi ovunque, in tutti gli scenari di guerra. La “Rete civica” svolge informazione su questo tema da 2-3 anni, nella convinzione che il peggior nemico in questo campo è il silenzio.
Jeff Hoffman, coordinatore del “Tavolo per la pace della val di Cecina”, altra realtà territoriale, ha raccontato le attività ventennali della sua associazione.
Giovanna Pagani, della Women International League Peace and Freedom, organizzazione per il disarmo e co-promotrice di ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), ci ha parlato del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, avendo partecipato direttamente alla negoziazione. Tale Trattato è stato approvato dall’Assemblea Generale dell’ONU il 7 luglio 2017 e per tale attività all’ICAN è stato assegnato il premio Nobel per la Pace 2017. Tutti i Paesi dotati di bombe nucleari non hanno firmato il Trattato, che entrerà in vigore nel 2020 dopo la ratifica di almeno 50 Stati. Neanche l’Italia lo ha firmato (non produce, ma detiene sul suo territorio bombe atomiche). Sorprendentemente, la NATO ha posto il veto sulla ratifica del Trattato, e per i 21 stati europei che fanno parte della NATO questo appare come un vero e proprio ricatto.
Il fronte nucleare non è però compatto e su questo versante si dovrebbe agire. Per esempio, l’Olanda ha partecipato al negoziato, anche se poi non ha firmato il Trattato. Inoltre, il 23 dicembre 2016, quando l’Assemblea dell’ONU ha deciso di avviare le trattative, la Corea del Nord, Paese notoriamente nucleare, ha votato a favore dello svolgimento della conferenza, mentre altri Paesi dotati di nucleare si sono astenuti. In quella circostanza tre Paesi, Italia, Albania ed Estonia, hanno votato a favore, ma poi hanno ritrattato, perché “si sarebbero sbagliati” (inizio dei ricatti). Successivamente, dopo l’approvazione del Trattato nel luglio 2017 come già ricordato, la NATO ha intimato ai Paesi dell’Alleanza di non firmare.
Dobbiamo essere consapevoli del rischio nucleare, e sarebbe un crimine anche solo non parlarne. In particolare, è importante l’educazione dei giovani e la mobilitazione delle donne, sottolineando i rischi per la loro salute.
Nella tavola rotonda del pomeriggio, moderata da Anna Scalori, è intervenuto mons. Roberto Filippini, vescovo di Pescia. Con riferimento al decreto Sicurezza di Salvini, da lui definito in realtà come decreto “Insicurezza”, egli ha citato alcuni episodi del Vangelo, tra i quali la grande scena del giudizio di Matteo, cap. 25. Da queste pagine si comprende con la massima chiarezza quale debba essere il comportamento del cristiano, che non può quindi chiudersi al grido del povero. Pericolosissimo, inoltre, lo slogan “Prima i nostri…”, che segnerebbe la fine di una buona convivenza umana.
L’imam Mohammad Khalil, a Pisa dal 1981, ha rilevato che il fenomeno della migrazione è storico e che l’accoglienza dei migranti è semplicemente normale. Ha ricordato che la Giordania accoglie iracheni, siriani, palestinesi. A proposito delle presunte differenze razziali ha fatto l’esempio dei donatori di sangue: i gruppi sanguigni sono uguali in tutto il mondo, sono sempre quelli, a testimonianza di un’unica razza umana. Non le religioni, ha affermato, ma le persone si fanno la guerra. Non è la religione che crea le restrizioni, ma le persone che la interpretano e si fanno la “propria” religione. Non dovrebbe esserci un “voi e noi”, ma siamo tutti cittadini uguali. E’ vero che ci sono Paesi molto chiusi da questo punto di vista, ma nella maggioranza dei Paesi del terzo mondo ci sono molte chiese. Bisogna quindi dare fiducia a una comunità, non isolarla.
Aminata Kida, italo-maliana, rappresentante della diaspora africana a Roma, guida turistica di Roma e cittadina italiana, riferendosi alle origini di ciascun popolo, ha ricordato che secondo la leggenda Roma discende da Enea e dal figlio Ascanio, cioè da profughi. Per altri aspetti, poi, Roma era aperta sessualmente, perseguitava i cristiani e accettava anche la pedofilia. Bisognerebbe quindi stare attenti a quello che si dice quando parliamo delle nostre origini. Mentre da una parte oggi si svolge il “Family Day”, dall’altra non si realizzano i ricongiungimenti familiari, incentivando così l’illegalità. Mentre l’imperatore Caracalla nel 212 stabilì lo “ius soli”, questo oggi non è ammesso neanche se si nasce in Italia. Ha fatto quindi un accorato appello a lavorare sullo ius soli, a resistere, a scendere in piazza, a smorzare le paure.
Entrambe le tavole rotonde, quella del mattino e quella del pomeriggio, sono state animate da un vivace dibattito tra l’uditorio e i relatori.
La mattina del 28 aprile, prima degli adempimenti amministrativi, mons. Giovanni Paolo Benotto, vescovo di Pisa, ha rivolto un saluto all’assemblea. Ha denunciato il clima di abitudine alla guerra e ha rilevato la necessità di un cambiamento culturale. Di grande importanza sono quindi l’educazione e il recupero del tema della pace. Si è dichiarato però sicuro che stia ancora realizzandosi un disegno di salvezza, attraverso di noi. Ha invitato, quindi, ad avere fiducia. Ha affermato, infine, che entrare in relazione con il prossimo si deve considerare un argomento teologico.
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