[Disarmo] Lo stupro delle donne è (ancora oggi) un’arma di guerra



Dalla Bosnia alla Cecenia, dal Ruanda al Congo e più di recente in Iraq: la violenza sessuale è un dramma senza fine e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si lega le mani

Il 13 aprile il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione volta a combattere l’uso dello stupro come arma in guerra. Una buona notizia? Non proprio. Il documento è uscito ampiamente impoverito dopo i veti posti da Stati Uniti, Russia e Cina, che si sono uniti in una strana alleanza per «annacquare» i diritti delle vittime. A dirlo non sono soltanto le Ong - tra queste l’italiana Fondazione Pangea e Amnesty International - e le attiviste come Amal Clooney, ma gli stessi Paesi che si sono battuti per avere una risoluzione che desse più poteri, in primis la Germania, e la stessa Italia attraverso l’ambasciatore Stefano Stefanile, rappresentante permanente a New York, che sperava in un testo «più onnicomprensivo e inclusivo». Dalla bozza su cui Berlino aveva lavorato duramente la strana alleanza ha imposto di eliminare l’istituzione di un nuovo e specifico organismo per monitorare e segnalare gli stupri. E su pressioni di Washington è stato tolto ogni riferimento alla «salute riproduttiva» che, per estensione, costituiva il sostegno all’interruzione di gravidanza per le vittime di violenze sessuali in guerra. Alla riunione hanno partecipato, oltre al ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas e al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, anche i premi Nobel per la Pace 2018 Nadia Murad e Denis Mukwege, che ci ricordano gli esempi più recenti dello stupro come arma di guerra. Nadia Murad è una delle 6.700 e più donne yazide fatte prigioniere in Iraq, torturate e violentate dagli uomini dell’Isis. Mutwege è un attivista e medico congolese, specializzato in ginecologia e ostetricia, che nel 1998 ha fondato il Panzi Hospital, dove cura le donne stuprate dai soldati congolesi. «Non c’è una guerra dove non ci siano stupri», sostiene Simona Lanzoni, vicepresidente e capo dei progetti di Fondazione Pangea. «Ma è con la guerra della ex Jugoslavia negli anni Novanta e con la denuncia da parte di associazioni di donne che lo stupro emerge come arma di guerra, utilizzata in maniera massiccia e sistematica». Nel febbraio del 2001 per la prima volta il reato di violenza sessuale contro le donne è considerato un crimine contro l’umanità dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per la ex Jugoslavia. Una sentenza storica condanna tre miliziani serbo-bosniaci per lo stupro e la riduzione in schiavitù sessuale di donne. Le associazioni umanitarie calcolano che tra il 1992 e il 1995 tra le 20 e le 50mila vittime della guerra nella Bosnia-Erzegovina furono abusate dalle forze nazionaliste. Ma i casi che arriveranno all’Aja saranno una percentuale piccolissima rispetto al dramma. Le violenze sessuali arrivano poi in Kosovo dal 1996 al 1999 e dopo i Balcani proseguono con altri protagonisti - i soldati della Federazione russa - nella guerra in Cecenia dal 1999 al 2009, con testimonianze riportate da Human Rights Watch, che documenta anche gli stupri in Sierra Leone durante la guerra civile che termina nel 2002. In Africa lo stesso schema di stupri si ripete in Ruanda con il conflitto tra Hutu e Tutsi tra il 1990 e il 1993, in Congo tra il 1997 e il 2002. «Nei Balcani e in Africa sub-sahariana ci sono decine di migliaia di donne che attendono giustizia», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «Nella Repubblica Democratica del Congo i conflitti e gli stupri iniziati negli anni Novanta proseguono ancora oggi. Lo stesso accade in Sud Sudan oggi e in passato a causa del genocidio del Ruanda che ha avuto un’incidenza altissima di stupri di guerra». Non ha fatto eccezione la guerra in Iraq con le violenze sessuali perpetrate dai soldati americani, conosciuti anche per gli abusi sulle donne giapponesi in tempo di pace, sin da quando nel 1945 hanno base nell’isola di Okinawa. «Lo stupro è un’arma per spaventare - spiega Simona Lanzoni- ma è anche usato come pulizia etnica. E questo è accaduto contro le yazide in Iraq e accade contro le rohingya in Myanmar. Se stupriamo le donne, i figli non saranno rohingya: questa è la logica». Per Lanzani la risoluzione del Consiglio di Sicurezza «delegittima le istituzioni internazionali che lavorano per la pace e la giustizia, come la Corte penale internazionale alla quale Stati Uniti, Cina e Russia non hanno aderito. Un accordo in controtendenza con «tutti i progressi che si stanno facendo in questo campo». Un passo avanti, anche se molto più corto e incerto di quello che si sperava, è stato comunque fatto. Grazie alla risoluzione le varie agenzie dell’Onu potranno giustificare un budget per i progetti di assistenza alle donne. 17 maggio 2019 https://www.corriere.it/buone-notizie/19_maggio_17/stupro-donne-ancora-oggi-un-arma-guerra-066ff57c-7891-11e9-8596-c65b94f06070.shtml


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