[Disarmo] Fwd: "Dichiarazione di Firenze" propone la creazione di un fronte internazionale NATO EXIT in tutti i paesi UE della Nato
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- Date: Tue, 9 Apr 2019 15:36:53 +0200
From: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
Date: mar 9 apr 2019, 15:35
Subject: Fwd: "Dichiarazione di Firenze" propone la creazione di un fronte internazionale NATO EXIT in tutti i paesi UE della Nato
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Date: mar 9 apr 2019, 15:31
Subject: "Dichiarazione di Firenze" propone la creazione di un fronte internazionale NATO EXIT in tutti i paesi UE della Nato, costruendo una rete organizzativa a livello di base capace di sostenere la dura lotta x conseguire tale obiettivo vitale x il nostro futuro
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"Dichiarazione di Firenze" propone la creazione di un fronte internazionale NATO EXIT in tutti i paesi UE della Nato, costruendo una rete organizzativa a livello di base capace di sostenere la dura lotta x conseguire tale obiettivo vitale x il nostro futuro
Contro-celebrazione a Firenze del 70° della Nato
Foto Jeff Hoffmann
Effemeride (caduco, dura una giornata) “il manifesto” del 09.04.2019
Il 70° anniversario della Nato è stato celebrato dai 29 ministri degli Esteri riuniti non nel quartier generale della Nato a Bruxelles, ma in quello del Dipartimento di Stato a Washington.
Maestro di cerimonie il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che si è limitato ad annunciare il discorso di apertura pronunciato dal segretario di Stato Michael Pompeo.
La Nato – spiega il Dipartimento di Stato – è importante perché, «grazie ad essa, gli Stati uniti possono meglio affrontare, militarmente e politicamente, le minacce globali ai loro interessi: la Nato rimane fondamentale per le operazioni militari Usa nella regione transatlantica (cioè in Europa) e in altre regioni strategicamente critiche, come il Medio Oriente e l’Asia Meridionale».
È quindi lo stesso Dipartimento di Stato a dirci chiaramente che la Nato è uno strumento degli Stati uniti. Nessuna reazione politica in Italia. L’unica risposta è venuta dal Convegno che, promosso dal Comitato No Guerra No Nato e da Global Research, centro di ricerca diretto da Michel Chossudovsky, ha riunito al cinema-teatro Odeon di Firenze il 7 aprile circa 600 partecipanti.
Le conclusioni sono esposte nella «Dichiarazione di Firenze», riportata qui di seguito:
“DICHIARAZIONE DI FIRENZE”
Foto Jeff Hoffmann
«Il rischio di una grande guerra che, con l’uso delle armi nucleari potrebbe segnare la fine dell’Umanità, è reale e sta aumentando, anche se non è percepito dall’opinione pubblica tenuta all’oscuro dell’incombente pericolo.
È di vitale importanza il massimo impegno per uscire dal sistema di guerra. Ciò pone la questione dell’appartenenza dell’Italia e di altri paesi europei alla Nato.
La Nato non è una alleanza. È una organizzazione sotto comando del Pentagono, il cui scopo è il controllo militare dell’Europa Occidentale e Orientale.
Le basi Usa nei paesi membri della Nato servono a occupare tali paesi, mantenendovi una presenza militare permanente che permette a Washington di influenzare e controllare la loro politica e impedire reali scelte democratiche.
La Nato è una macchina da guerra che opera per gli interessi degli Stati uniti, con la complicità dei maggiori gruppi europei di potere, macchiandosi di crimini contro l’umanità.
La guerra di aggressione condotta dalla Nato nel 1999 contro la Jugoslavia ha aperto la via alla globalizzazione degli interventi militari, con le guerre contro l’Afghanistan, la Libia, la Siria e altri paesi, in completa violazione del diritto internazionale.
Tali guerre vengono finanziate dai paesi membri, i cui bilanci militari sono in continua crescita a scapito delle spese sociali, per sostenere colossali programmi militari come quello nucleare statunitense da 1.200 miliardi di dollari.
Gli Usa, violando il Trattato di non-proliferazione, schierano armi nucleari in 5 Stati non-nucleari della Nato, con la falsa motivazione della «minaccia russa». Mettono in tal modo in gioco la sicurezza dell’Europa.
Per uscire dal sistema di guerra che ci danneggia sempre più e ci espone al pericolo imminente di una grande guerra, si deve uscire dalla Nato, affermando il diritto di essere Stati sovrani e neutrali.
È possibile in tal modo contribuire allo smantellamento della Nato e di ogni altra alleanza militare, alla riconfigurazione degli assetti dell’intera regione europea, alla formazione di un mondo multipolare in cui si realizzino le aspirazioni dei popoli alla libertà e alla giustizia sociale.
Proponiamo la creazione di un fronte internazionale NATO EXIT in tutti i paesi europei della Nato, costruendo una rete organizzativa a livello di base capace di sostenere la durissima lotta per conseguire tale obiettivo vitale per il nostro futuro». (il manifesto, 9 aprile 2019)
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Da Firenze la rinascita del movimento pacifista di massa: Ouverture
di Jeff Hoffmann
L’Italia è più fedele alla NATO che all’ONU e finchè ci sarà la NATO non esisterà nessun Europa! Ecco due prime pillole dall’intensissima conferenza internazionale di Firenze sul bilancio storico dei 70 anni di nato che si è svolta il 7 aprile a Firenze al Teatro Cinema Odeon: “Uscire dal sistema guerra, ora!”. Sembrano riflessioni piuttosto forti quelle suggerite da Franco Dinelli di Pax Cristi.
Michel Chossudovsky, invece, ci ha spiegato in tono molto pacato che gli interventi militari sono associati ad atti concomitanti di sabotaggio economico e manipolazione finanziaria. L’obiettivo finale, dice il direttore del Global Research Centre del Canada, è la conquista sia delle risorse umane e naturali che delle istituzioni politiche. Il progetto egemonico degli states è di trasformare i paesi sovrani in territori aperti. CONTINUA QUI
- il ritiro dei 29 paesi membri dalla nato, che porterebbe all’abolizione della stessa
- la chiusura delle basi e installazioni militari USA di ogni stato membro nella nato
- il ritiro di tutto il personale statunitense dei paesi membri della nato
- il rifiuto dei paesi membri di pagare il finanziamento delle basi USA
- il congelamento dei budget militari e il ricollocamento a programmi sociali civili delle risorse
- Come per il CLIMA: non c'è più tempo: BASTA FUMO DA SUBITO!
https://youtu.be/zHCniIrdWVU?t=4
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Nel nuovo conflitto il fallimento della Nato
Caos libico. Le «Nato» sono tre: una originale, alquanto in ribasso, una «araba», corrispondente al maggiore mercato di armi americano e occidentale e una «operativa», a direzione israeliana, dotata di armi nucleari, un’aviazione sempre in attività per tenere a bada l’Iran in Siria e aiutare il generale egiziano Al Sisi in Sinai
Il comando della missione italiana a Misurata
Effemeride (caduco, dura una giornata) “il manifesto” del 09.04.2019
Settant’anni e li dimostra tutti. Nel caos libico e in quello siriano emergono i fallimenti occidentali e della Nato che ha appena celebrato la sua fondazione nel 1949, in piena guerra fredda. E quando una Nato comincia proprio a scricchiolare se ne fa un’altra, magari «araba».
Il generale Khalifa Haftar, oltre a essere cittadino americano, è sostenuto da Egitto, Arabia saudita ed Emirati, ovvero da quella «Nato araba» sorta con il viaggio del presidente americano Donald Trump in Medio Oriente nel maggio 2017.
In Siria Turchia e Stati Uniti, due Paesi dell’Alleanza, sono ai ferri corti sul destino dei curdi e Putin ha buon gioco a ricevere il presidente turco Erdogan a Mosca, come ha fatto ieri, per tagliare le fette della torta siriane. Dalla Siria gli Stati uniti di Donald Trump dovevano ritirarsi ma in realtà sono ancora sul campo perché non possono abbandonare al loro destino i principali alleati nella lotta all’Isis.
Inoltre Trump ha appena certificato l’annessione israeliana del Golan per dare una mano all’amico Benjamin Netanyahu, oggi alla prova delle urne, che è il vero guardiano degli americani sul fronte sud-orientale in quanto Erdogan, che ha stretto accordi con Russia e Iran, non è più affidabile.
Le «Nato» insomma sono tre: una originale, alquanto in ribasso, una «araba», corrispondente al maggiore mercato di armi americano e occidentale e una «operativa», a direzione israeliana, dotata di armi nucleari, un’aviazione sempre in attività per tenere a bada l’Iran in Siria e aiutare il generale egiziano Al Sisi in Sinai.
In Libia gli Stati Uniti ora se ne sono andati dalla periferia di Tripoli di soppiatto, contando sulla confusione innescata dall’offensiva del generale Khalifa Haftar, un altro dei loro alleati nella guerra al Califfato, sotto l’ala protettrice di Washington dagli anni’90, quando fu abbandonato da Gheddafi dopo la sconfitta in Chad.
Che strana storia questa degli americani in Libia. Hanno sempre detestato Gheddafi sin dai tempi dei raid – effettuati per ucciderlo – sulla Libia da parte di Ronald Reagan nell’86. E per coinvolgerci nell’attacco all’ex colonia mandarono in giro la fake news che aveva lanciato dei missili contro Lampedusa, versione avallata dal Colonnello, per altro salvato diverse volte dalla punizione americana con i buoni uffici di Andreotti e Craxi. «Per giorni cercammo i resti dei due missili libici, senza mai trovare nulla, neanche una sardina morta», ha testimoniato pubblicamente il generale Basilio Cottone, allora capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare italiana.
Nel 2011 gli Usa si unirono ai raid dei francesi e inglesi per farlo fuori, ma dopo un mese misero a terra gli aerei lasciando che a prendere il comando fosse la Nato.
Operazione abbracciata dall’Italia che forse avrebbe fatto bene a restare neutrale nell’ex colonia nonostante gli interessi petroliferi. Poi gli Usa hanno mandato marines e forze speciali a sostenere Haftar nella lotta al Califfato e si sono dislocati anche sul fronte opposto, alla periferia di Tripoli.
E che strana storia anche quella dei marines. In Libia arrivarono nel 1802 quando gli Usa cominciarono una guerra contro il pascià di Tripoli sul passaggio delle navi nel Mediterraneo. Un’impresa ricordata persino nel loro inno: From the halls of Montezuma, to the shores of Tripol / Dai saloni di Montezuma, alle spiagge di Tripoli.
L’altro giorno i marines si sono involati con un hovercraft senza cantare alcun inno e alla chetichella dalla spiaggia di Janzour, alla periferia di Tripoli. lasciandosi alla spalle il governo di Al Sarraj e le insidiose delizie del resort di lusso Palm City, una colata di cemento destinata a turisti che non sono mai arrivati. La Libia non è un posto di vacanze né di porti sicuri. La decisione di evacuare è stata presa dal generale dei marines e comandante di Africom Thomas Waldhauser.
Forse gli americani volevano evitare guai, memori dell’uccisione con la sua scorta dell’ambasciatore Usa Chris Steven nel consolato di Bengasi l’11 settembre del 2012. Oppure si preparano a cambiare politica, o a tornare, in forze visto che, – in sintonia con l’offensiva – hanno appena nominato un ambasciatore plenipotenziario in Libia, Richard Norland, già consigliere politico del Pentagono.In realtà prima o poi gli Stati uniti vorranno far funzionare anche la Nato «araba» con il generale Al Sisi, l’Arabia Saudita ed gli Emirati, tutti amiconi del generale Khalifa Haftar, nemici giurati dei Fratelli Musulmani e ottimi clienti delle armi Usa.
E, guarda caso, a sostenere il governo di Tripoli, insieme all’Italia, sono Qatar e Turchia, avversari delle monarchie del Golfo.
Gli Usa, che sembrano così restii a essere coinvolti in Libia, hanno un certo interesse a piazzare una base sulle sponde del Mediterraneo, il che farebbe perdere all’Italia ancora un po’ del suo peso strategico. Per ottenere questo obiettivo non è neppure così necessario avere un Libia riunificata: la Siria non lo è e non lo sarà mai più, con il Golan occupato dagli israeliani, l’Iraq è una nazione sempre in odore di disgregazione, all’Iran ci pensano Israele e le sanzioni. Un quadro perfetto, non è vero?
Ue in bilico: può essere potenza o «preda» nello scontro Usa-Cina
Incontro annuale tra Bruxelles e Pechino. Ue in bilico: può essere potenza o «preda» nello scontro Usa-Cina
La cancelliera Merkel e il premier cinese Li Keqiang
© LaPresse
Effemeride (caduco, dura una giornata) “il manifesto” del 09.04.2019
Oggi il premier cinese Li Keqiang è a Bruxelles per l’incontro annuale – il 21° – con l’Ue. Li presiederà l’incontro con il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e con quello della Commissione, Jean-Claude Juncker. Secondo rumors sembra esclusa per ora la possibilità di chiudere l’incontro con un documento congiunto.
Gli argomenti che ancora sarebbero in ballo riguardano le regole per il commercio e il tema dei diritti umani con particolare riferimento alle accuse nei confronti della Cina per il trattamento della minoranza turcofona e musulmana uigura nella regione nord occidentale dello Xinjiang.
MA QUANTO PESA DI PIÙ nelle relazioni attuali tra Cina e Ue è lo scenario internazionale, profondamente cambiato e in continuo mutamento. Con la Cina impegnata in una strenua negoziazione con gli Usa, secondo gli analisti, l’Ue avrebbe l’occasione di fissare delle norme nella relazione con il gigante cinese in grado di proporre il Vecchio continente come attore fondamentale in un mondo «tripolare». Ma il rischio, dovuto allo sfilacciamento e all’attuale debolezza delle istituzioni europee – con l’incognita elettorale di maggio – è quello che l’Ue possa diventare «preda» dei due contendenti.
Come ha scritto su Asia Times Jonhatan Gorvett, le relazioni tra il continente europeo e la Cina sono a un punto di svolta: «Dal 1998, ci sono stati alcuni importanti cambiamenti, compreso l’equilibrio tra le economie del mondo sviluppato dell’Ue e l’economia in rapido sviluppo della Cina. I leader europei non sono solo preoccupati dal complicato accesso delle imprese europee ai mercati cinesi, ma anche dalla salda forza e influenza cinese in Europa».
UNO DI QUESTI CAMBIAMENTI è stato conclamato dalla firma italiana del Memorandum of understanding sulla Nuova via della Seta, un fattore che ha provocato poi un incontro preparatorio a quello di oggi in Francia, tra Macron, Merkel, Juncker e il presidente cinese Xi Jinping. In generale oggi i paesi europei ritengono che sia la Cina ad avere maggiormente beneficiato delle relazioni commerciali; così come gli Usa, anche l’Europa ha un deficit commerciale non da poco con Pechino e come fa Trump, gli europei chiedono fondamentalmente reciprocità. C’è però un problema: nell’azione commerciale ogni paese procede con una propria agenda e in modo bilaterale con la Cina – strumento che a Pechino per altro va benissimo – lamentando una mancanza di unità solo a fronte di accordi politici che rischiano di smuovere gli equilibri raggiunti.
C’È POI UN ALTRO ELEMENTO di incertezza, mitigato appena dalle dichiarazioni ufficiali cinesi: l’Ue teme che l’azione di Pechino, con i paesi dell’Europa orientale – dopo Bruxelles Li Keqiang incontrerà in Croazia il cosiddetto «16+1» di cui 11 sono stati membri Ue – vada nella direzione di disgregare la Ue. Pechino nega, ma Bruxelles rimane sospettosa.
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