[Disarmo] Fwd: Il caso Aleksandrov. Un modello climatico troppo scomodo




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Date: dom 27 gen 2019, 07:47
Subject: Il caso Aleksandrov. Un modello climatico troppo scomodo
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Un modello climatico troppo scomodo

Scienza&politica. Il caso del fisico russo Vladimir Aleksandrov, scomparso nel 1985 a Madrid dove si era recato per un convegno. Stava indagando sull'inverno nucleare e sulle possibili catastrofi climatiche. In un saggio, «De la guerra fria al calientamento global», Giulia Rispoli cerca risposte alla sua sparizione

Andrea CapocciIl Manifesto

27.01.2019

27.1.2019, 0:04

26.1.2019, 17:03

Nella notte del 31 marzo 1985, il quarantasettenne fisico ucraino Vladimir Aleksandrov sparisce a Madrid senza lasciare tracce. Ora la storica della scienza Giulia Rispoli offre una nuova lettura della misteriosa vicenda in un saggio contenuto nella raccolta De la guerra fria al calientamento global(edizioni Los Libros de la Catarata) appena pubblicato a Madrid. E la rende straordinariamente attuale.

LO SCIENZIATO è arrivato dall’Urss due giorni prima per partecipare a un incontro internazionale dei movimenti anti-nucleari a Cordoba. È una delle star del convegno. Le simulazioni al computer del suo modello climatico prevedono che un attacco atomico provocherebbe un gelido «inverno nucleare» e, forse, l’estinzione dell’umanità. I climatologi statunitensi gli credono al punto da collaborare con lui. Il prestigio e i contatti internazionali ne fanno un testimonial perfetto per il movimento pacifista.

IL SOGGIORNO SPAGNOLO, però, appare singolare sin da subito. Aleksandrov, bevitore solitamente moderato, lo trascorre in permanente stato di ubriachezza. La notte della conferenza lo raccolgono sul marciapiede e lo riportano in albergo a Madrid, dove non smette bere. Lo vedono l’ultima volta a notte fonda barcollare tra l’hotel e una vicina sala bingo. Al mattino, gli emissari dell’ambasciata russa bussano alla sua stanza senza risposta. Lo scienziato sembra svanito nel nulla.

ESCLUSA la diserzione all’ovest, si punta il dito sui servizi segreti. Dapprima su quelli sovietici, che potrebbero aver eliminato uno scienziato in procinto di passare col nemico. A Madrid, ancora sobrio, era stato avvicinato dal personale dell’ambasciata. Però Aleksandrov in Urss stava bene: era la punta di diamante del Centro Informatico di Mosca e viaggiava liberamente in occidente tanto da collaborare con gli scienziati del Laboratorio Nazionale di Livermore, in California. In più, adorava la sua famiglia e conduceva una vita piuttosto agiata, persino secondo i suoi colleghi americani.
Anche la Cia avrebbe interesse a farlo sparire. Aleksandrov ha avuto accesso ai potenti calcolatori statunitensi il cui uso è sorvegliato dai militari. Inoltre, era un attivista del movimento anti-nucleare. Nonostante i sospetti, prove concrete a carico dei russi o degli americani non sono mai emerse.
Oltre trent’anni dopo, secondo Rispoli, la chiave di quei fatti va cercata nella vicenda scientifica di un pugno di ricercatori: il gruppo di Mosca di cui faceva parte Aleksandrov e il team di climatologi americani con cui collaborava sin dagli anni ’70. Unendo la potenza informatica statunitense e l’approccio teorico sovietico, essi integravano nell’analisi dell’atmosfera anche le leggi dell’ecologia e dell’economia. La loro ricerca non metteva in discussione solo la proliferazione nucleare, ma l’intero modello di sviluppo occidentale. Nacquero allora le domande che, dopo la Guerra Fredda, hanno animato gli studi sul riscaldamento globale.

TUTTAVIA, QUELL’ALLEANZAanomala rischiava di sfuggire di mano al governo. La collaborazione fu smantellata, complice la crisi economica russa. I ricercatori statunitensi furono emarginati. Ad Aleksandrov fu negato l’accesso ai computer americani e la sua reputazione scientifica venne screditata. Tre mesi prima della scomparsa, un rapporto del Pentagono sosteneva che in lui «era difficile distinguere il ricercatore dall’attivista» e che il suo modello era «obsoleto». Secondo i ricercatori interpellati da Rispoli, invece, le teorie e le previsioni di Aleksandrov rappresentano «idee brillanti ancora al centro delle ricerche più avanzate».
In ogni caso, oggi come allora rappresentavano tesi scomode, perché mostravano che le conseguenze dell’uomo sull’ambiente possono essere globali e irreversibili. Solo lo scorso febbraio, il Times citava ancora l’inverno nucleare come una «bufala creata dalle spie russe». Impossibile non notare la somiglianza con i toni di Trump, secondo cui il riscaldamento globale «è una bufala dei cinesi».
Secondo gli scienziati, invece, la crisi climatica è reale e ci restano pochi anni per invertire la rotta dello sviluppo e limitare i danni. Se le ricerche di quel pugno di studiosi coraggiosi non fossero state fermate così presto, oggi avremmo qualche chance in più.

INTERVISTA A GIULIA RISPOLI

Vladimir Aleksandrovic

Giulia Rispoli, laureata in filosofia alla Sapienza di Roma, dopo aver lavorato all’università di Mosca e al Museo nazionale di storia naturale di Parigi oggi svolge le sue ricerche all’Istituto Max-Planck di Berlino. Lo studio della cibernetica e dei sistemi complessi l’ha portata ben presto in Russia, sulle tracce di intellettuali eclettici come Alexandr Bogdanov. O di scienziati come Vladimir Vernadsky, l’ideatore del concetto di «noosfera» secondo il quale «l’uomo è divenuto per la prima volta la più importante forza geologica». Anche nelle ricerche di Vladimir Aleksandrov l’evoluzione della società e della natura erano strettamente legate. Questo potrebbe averne fatto uno scienziato scomodo, a est come a ovest. La sua scomparsa evoca quella di altri scienziati le cui conoscenze potevano rivelarsi utili o pericolose a seconda del punto di vista, da Bruno Pontecorvo (poi riemerso oltre cortina) a Ettore Majorana.

In questi casi, spesso i servizi segreti giocano un ruolo decisivo nell’offuscare il quadro. Nella vicenda di Aleksandrov le cose non appaiono più chiare. «Ipotesi se ne sono fatte tante – racconta Rispoli – ma elementi concreti a carico di Cia o Kgb non ce ne sono. Certo, ancora oggi rilevo molto imbarazzo a parlare di quella vicenda. Qualche testimone non ha voluto essere contattato via e-mail o su Skype». Quando Aleksandrov svanì, qualcuno pensò che sarebbe riapparso all’ovest, magari proprio in Italia. Secondo Rispoli era una tesi inverosimile già allora: «Non avrebbe mai disertato per passare con gli americani. A Mosca era una star, gli Usa non gli avrebbero offerto maggiori opportunità».

In più godeva di una libertà di circolazione inusuale per uno scienziato sovietico. Come spiegarla? «La storia dell’inverno nucleare conosce due fasi. Dapprima vi fu una forte promozione della collaborazione scientifica internazionale. Alexandrov era perfettamente a suo agio in questo contesto. Era ambizioso e parlava benissimo inglese. Inoltre aveva un modello climatico più avanzato di quello americano – dice la filosofa – Nella seconda fase, invece, dominano ritrosia e diffidenza. La collaborazione non funziona più. Alexandrov diventa una mina vagante, perché fomenta i movimenti anti-nucleare». E a quel punto la teoria dell’«inverno nucleare» diventa una fake news. «Ma non era vero. I primi modelli di circolazione dell’aria in atmosfera erano anzi molto avanzati, perché tenevano conto di un gran numero di fattori naturali e sociali. Questo approccio olistico ai sistemi complessi era tipico della scuola scientifica sovietica. Due mesi fa, ho incontrato il climatologo statunitense Alan Robock (ex-collaboratore di Aleksandrov, oggi uno degli autori dei rapporti dell’International Panel on Climate Change, ndr). Mi diceva che ancora oggi le simulazioni al computer basate sui modelli di Aleksandrov riproducono il reale andamento del clima». Al confronto, quelli statunitensi che prendevano in considerazione poche variabili erano eccessivamente semplici. «Divennero fake news quando gli scienziati si traformarono in attivisti e iniziarono a sostenere che sostenibilità e sviluppo avrebbero dovuto procedere insieme. Negli Usa facevano paura». La teoria dell’inverno nucleare peraltro era nata proprio negli Usa, grazie al gruppo di ricerca di Carl Sagan.  Fu allora che si capì che l’impatto umano sul clima può essere sistemico e persistente. «Anche gli scienziati americani furono accusati di condurre campagne politiche invece di fare ricerca e costretti a abbandonare gli studi. Sono i metodi tipici della Guerra Fredda, e assomigliano molto a quelli di Trump». (a ca.)