Ciao Elio, capisco la tua buona fede. Ma un conto è elencare le
proprie proposte in un incontro (per quel che vale), altro è
andare in Parlamento come rappresentanti di rete pacifiste. Senza
entrare nel merito dell'uso che si fa di queste relazioni con i
politici, a cosa servono e per chi, ti ricordo che in sede
parlamentare questi pacifisti hanno detto, fra le altre cose:
1) "Il Pentagono non interviene dicendo che i tagli non vanno
fatti. Sicuramente nella discussione politica lo afferma, ma
quello che decide in maniera forte l'esecutivo (come avviene in
quella forma d'istituzione) viene eseguito. Al massimo si chiede
al Pentagono di decidere, a fronte delle risorse che ha a
disposizione, qual è il sistema d'arma migliore per gli obiettivi
prefissati. Questo è il modello che, a nostro parere, dovrebbe
funzionare anche qui. Non lo dico da disarmista, ma da cittadino
italiano, che in ogni parte dell'amministrazione pubblica vorrebbe
mettere in luce questo meccanismo".
A parte l'ignoranza su che cosa è il Pentagono, il suo essere
promotore di guerre nel mondo e del riarmo negli USA, come si fa a
dire che il modello USA dovrebbe essere il nostro? E si definisce
anche disarmista!
2) "Si potrebbe anche valutare, confrontandosi, l'opportunità di
bloccare l'acquisto degli F-35 e ritornare agli Eurofighter, con
tutti gli strumenti più moderni di cui disponiamo".
Come ben sai gli EFA continuiamo a produrli per noi nella versione
d'attacco (la Germania sta aspettando l'ok per dotarli delle
nucleari B61-12) e a esportarli nei paesi del Golfo (ogni nazione
del consorzio firma contratti per la sua area di competenza ma vale
per tutti). Dunque come valuti questa proposta?
3) "Le minacce, viste da queste due grandi organizzazioni a cui noi
facciamo riferimento, sono: in primo luogo la proliferazione
nucleare; in secondo luogo il terrorismo; in terzo luogo
l'immigrazione incontrollata, e in ultimo il riscaldamento globale.
Sono questi i quattro elementi che sia l'uno che l'altro studio
riportano. Noi, rispetto a questo, dobbiamo decidere che tipo di
armi e che tipo di strumento militare dobbiamo avere. Dopodiché
possiamo ragionare sugli F-35, sugli Eurofighter, sul tipo di carro
armato, e sul tipo di missioni di peacekeeping a cui partecipare.
Altrimenti giriamo a vuoto, e andiamo di volta in volta a tappare
dei buchi. Per quanto riguarda l'immigrazione clandestina, non
fermiamo certamente i barconi nel Mediterraneo con le portaerei o
con i cacciabombardieri. Forse c’è bisogno di un altro tipo di
approccio. Secondo me è importante che il Parlamento si faccia
promotore di un impegno per arrivare insieme al Governo a definire
una strategia di sicurezza nazionale, altrimenti di volta in volta
andremo a mettere delle toppe, e non se ne esce mai. Dopodiché
potremo decidere giustamente se ci serve l’Eurofighter o l’F-35.
Diversamente giriamo in modo improprio e non riusciamo a definire il
nostro obiettivo".
Dunque anche per i pacifisti parlano di immigrazione incontrollata,
clandestina. Certo non sono gli F-35 a fermare i clandestini (ma non
gli fa schifo definire clandestini persone che scappano dalla
guerra, fame, violenze?), allora gli va bene chiudere i porti o
meglio farli morire in Libia? Per il resto ti sembra un discorso
valido per chi vorrebbe una Europa come spazio che usa la diplomazia
come strumento per la soluzione dei conflitti?
Il 23/06/2018 20:08, Elio Pagani (via
disarmo Mailing List) ha scritto:
Cara Rossana, solo per informazione per tutti i
presenti in lista.
All'incontro di Assisi io c'ero, e sono intervenuto
un paio di volte a sostegno della necessità di inserire
tra i punti qualificanti della marcia la ratifica
governativa del Trattato per la Proibizione delle Armi
Nucleari e la necessità di cambiare il Modello di
Difesa, oggi ispirato all'interventismo militare ovunque
nel mondo a difesa degli interessi nazionali e
occidentali.
Questa mia posizione è stata sostenuta anche da Marco
Tamborini, anch'egli del Forum Contro la Guerra (già
nostro compagno di lotta per la riconversione in
Aermacchi) anche se parlavamo a titolo personale.
Vi era anche Padre Zanotelli, che avevo pregato di
essere presente. Il suo intervento ha messo al centro la
necessità che la marcia si concludesse con la richiesta
di incontro al Governo su tre questioni:
1) la ratifica del TPAN (Trattato per la Proibizione
delle Armi Nucleari)
2) la difesa della 185 attraverso la richiesta di
fermare l'esportazione di bombe all'Arabia Saudita che,
in guerra, le scarica sulla popolazione civile dello
Yemen
3) la difesa della vocazione umanitaria dell'Italia
attraverso l'accoglienza dei migranti.
Sia Lotti (Tavola della Pace), che Bassoli (Rete
della Pace) si sono mostrati disponibili ad accogliere
queste istanze.
Io ho ribadito che l'efficacia della 185 sulle
esportazioni di armi, è minata dalla assunzione (dal
1991, un anno dopo l'approvazione della 185) del NMD
-Nuovo Modello di Difesa, poiché l'articolo 1 della 185
vincola l'export di armi alla politica estera e di
difesa che è informata al NMD, che ammette alleanze con
paesi in guerra...
Elio
Rimanere umani non significa spartirsi la torta per
assicurare la propria sopravvivenza. E in quell'assemblea
il pacifismo troppo spesso è un affare.
Il
23/06/2018 07:55, Elio Pagani (via disarmo Mailing List)
ha scritto:
Restare umani, ma anche «uniti». Il movimento
pacifista riparte da Assisi
Verso la marcia per la pace. L'incontro
del disgelo ospitato dai francescani. Cattolici,
giovani musulmani, associazioni: le diverse
anime si riassemblano
Se restare umani è ormai un imperativo
categorico del movimento pacifista, «restare
uniti» sembra il messaggio più forte uscito
ieri dalla giornata di incontro tra una
cinquantina fra le associazioni che il 7
ottobre si ritroveranno alla marcia
«Perugia-Assisi», la storica camminata nata
nella mente di Aldo Capitini negli anni
Sessanta. Il luogo ospitante è il sacro
convento dei francescani che sovrasta un
paesaggio mozzafiato. Sono stati i frati,
pressati da alcuni gruppi, a farsi anfitrioni
di un incontro che par suggellare la fine di
un periodo di freddezza, scontri interni,
divisioni che – se non hanno messo a tacere il
movimento – lo hanno in parte disgregato e per
di più in tempi difficili, approdati a un
governo che vuole schedare i rom,
criminalizzare le Ong, abbandonare in mare chi
sta affogando.
Ma le cose cambiano anche in positivo come
racconta proprio la storia del sacro convento
che, negli anni Sessanta, chiuse le porte ai
marciatori di Capitini ma che, vent’anni dopo,
ospitava il segretario del Pci Berlinguer
rompendo un tabù. Bergoglio ha fatto il resto.
Alla riunione, per altro solo vagamente
rappresentativa di una realtà complessa e
diffusa assai più che non si creda sul
territorio nazionale, ci son cattolici, come i
Focolarini o Sant’Egidio, ma anche una solare
rappresentante dei Giovani musulmani oltre
alle associazioni storiche come la Tavola
della pace o la Rete della pace e, ancora, gli
Scout, Rete disarmo, Arci… La riunione sceglie
di non avere una presidenza né un documento
già preparato da votare ma propone un percorso
per ridefinire un’agenda, una nuova
organizzazione liquida che faccia da
contenitore e riassembli gli spezzoni di un
movimento che altrimenti rischia di sembrare
in affanno più di quanto non sia.
La marcia di ottobre sarà dunque solo una
tappa in cui dovrebbero confluire le varie
proposte emerse dall’incontro: rimettere le
persone e la loro dignità al centro, ricordare
i diritti fondamentali – che riguardano anche
diseguaglianze sociali e lavoro – studiare e
capire le nuove guerre, riconfrontarsi sui
principi. Ricostruzione difficile (scarse
risorse, frantumazione delle reti
organizzative, insensibilità degli enti
locali) ma non impossibile e che prova a
ripartire da Assisi.
Alla riunione parlano tutti. Sono interventi
brevi e che focalizzano, oltre al lavoro di
ogni singola associazione o rete, i temi: la
capacità di essere nuovamente un soggetto
politico in grado di incidere, di parlare alla
gente, di coordinare le iniziative che ognuno
ha coltivato nel suo piccolo orticello. Non
una sommatoria delle singole azioni ma la
sfida ad andar oltre la semplice condivisione
di intenti o di attività.
Le proposte non mancano: con forza quella di
ottenere dal governo la ratifica del Trattato
adottato dalle Nazioni Unite il 7 luglio sulla
messa al bando delle armi nucleari (entrerà in
vigore solo dopo la ratifica di almeno 50
Paesi); il rilancio del multilateralismo e dei
Corpi civili di pace, istituiti da una legge
del 2016; la difesa della Costituzione, dei
diritti umani universali, della legalità
internazionale; smascherare gli aggiramenti
della legge 185 sulla vendita di armi; la
necessità infine di uscire dal perimetro
nazionale per far parte di un movimento più
ampio. Europeo, internazionale.
A fine giornata l’antico convento di
Francesco viene investito da un’acquazzone che
spazza l’aria e lava le strade di una pianura
accaldata: un buon auspico per ricominciare da
una pagina bianca. Senza dimenticare
l’esperienza di un movimento, quello
pacifista, che ha ormai alle spalle oltre
mezzo secolo di storia.
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