[Disarmo] Crisi libica. L’Italia si faccia promotrice di operazione di de-escalation



Dopo gli articoli di Repubblica che hanno ricostruito il curriculum del nuovo ministro Trenta, ecco una intervista del 2015 dal sito ormai famoso anche in Italia:

Crisi libica. L’Italia si faccia promotrice di operazione di de-escalation

Sputnik Italia ha raggiunto la dottoressa Elisabetta Trenta, program manager per SudgestAid, società consortile italiana, impegnata nel promuovere e gestire progetti di sviluppo locale sostenibile, prestando assistenza nelle aree dove più gravi sono gli elementi di crisi e maggiori le difficoltà di sviluppo.

— Oggi in Libia ci sono due governi, due parlamenti, due capitali (Tobrouk e Tripoli, ndr). Come si è venuta a creare questa situazione politica così fortemente instabile?

— Quest'instabilità politica si è creata negli ultimi due anni con un processo lento ma inesorabile, durante il quale le nascenti istituzioni non sono riuscite a rappresentare tutte le diversi componenti di una società libica molto spaccata. L'evento che ha creato la separazione fra i due governi sono state le elezioni del giugno 2014. La componente laica — che in realtà rappresenta molti gruppi — ha vinto, mentre la componente cosiddetta islamica non ne ha riconosciuto la vittoria. Si è generata una separazione tra milizie che supportavano il governo legittimamente eletto e milizie che, invece, sostenevano quella parte politica che non aveva trovato rappresentanza nel nuovo parlamento. Ci sono stati molti attacchi nei confronti del parlamento, a tal punto che quest'ultimo è stato costretto a spostarsi da Tripoli per difendersi, andando a Tobrouk, una città che si trova sulla costa, vicino all'Egitto. Questo significava, anche, mettersi immediatamente sotto la protezione dell'Egitto ed, eventualmente, poter scappare lì. D'altra parte, l'ex parlamento si è riunito di nuovo, rappresentando solamente la componente islamista del precedente governo. E' stato quindi nominato un nuovo primo ministro e si è concretizzata la spaccatura del paese.

Di fatto, la guerra civile in Libia, c'è stata da sempre. La guerra combattuta nel 2011 — questo è stato l'errore principale delle potenze occidentali — non era una guerra di liberazione, era già una guerra civile tra componenti del paese. La società era già spaccata e avrebbe avuto bisogno di un periodo di accompagnamento in un processo di riconciliazione perché è difficile creare una nuova costituzione e nuove istituzioni quando non siano stati risolti i problemi di rappresentanza. La nostra paura dell'Islam ci ha fatto troppo velocemente pensare che la Libia sarebbe stata molto presto un paese democratico. Invece, non abbiamo tenuto conto del fatto che, quando si sovrappone un voto basato sui partiti su una società che è invece fondata su spaccature tribali, le cose non coincidono.

- L'Egitto è stato protagonista di un raid aereo in Libia il 16 febbraio scorso. E' di poche ore fa l'annuncio, non ancora confermato, che il presidente egiziano al-Sisi sta programmando un attacco di terra a Derna. Quali sono le reali motivazioni che spingono l'Egitto a essere così presente in Libia?

— Credo che l'Egitto, insieme all'Arabia Saudita, stia principalmente tentando di ostacolare la presenza dei Fratelli Musulmani in Libia. Supportare il governo di Tobrouk significa opporsi al governo di Tripoli, in cui la componente dei Fratelli Musulmani è molto forte. Per questo motivo, l'Egitto e l'Arabia Saudita stanno supportando il governo di Tobrouk, mentre potenze come il Qatar e la Turchia stanno sostenendo il governo di Tripoli. Questo è anche uno dei motivi per cui, secondo me, forse noi italiani faremmo bene a non farci coinvolgerci in questo gioco.

- Qual è il ruolo dell'Italia e del premier Renzi, che si pone come mediatore internazionale per una soluzione della crisi libica?

 Io credo che l'Italia abbia un ruolo importante e riconosciuto dai libici perché loro stessi ci hanno chiesto più volte d'intervenire e di fare la nostra parte. D'altra parte siamo stati l'ultima ambasciata ad andare via dal paese, e l'abbiamo fatto solo per ragioni di sicurezza. Ma, se si vuole avere un ruolo, la nostra proposta di mediazione deve prima essere avvallata dal consesso internazionale, anche perchè contro il ruolo dell'Italia pesa il fatto di essere stati una potenza coloniale. Allo stesso tempo, non ritengo che sia una mossa molto utile quella di chiedere alla Russia d'intervenire a risolvere la crisi perché la Russia, in qualche modo, sta già parteggiando per il governo di Tobrouk attraverso l'Egitto. Se noi andiamo a chiedere alla Russia d'intervenire sappiamo già che lo farà in favore di uno dei due governi e questo non è utile a risolvere la questione libica. Il governo di Tripoli sta chiedendo aiuto a Kiev — c'è stato un incontro nel mese di febbraio — mentre, d'altra parte, Tobrouk si sta rapportando con la Russia. E' come se si mettessero insieme due crisi che sono già difficilmente risolvibili se prese separatamente. Unire i due archi di crisi non conviene a nessuno, men che meno all'Italia.

— Quale soluzione propone?

— La soluzione è stare né da una parte né dall'altra. In questo momento l'Italia, credo, potrebbe farsi promotrice di un'azione di de-escalation a livello regionale e convocare una grossa conferenza con tutte le forze regionali. Nel frattempo dovrebbe insistere con le Nazioni Unite perché si formi un governo d'unità nazionale che riprenda in mano il paese.

- Potrebbe essere questa una soluzione accettabile sia per l'Occidente che per Putin?

Direi di si perché l'alternativa non è favorevole a nessuno.

- Un eventuale intervento internazionale senza l'egida dell'ONU quali effetti potrebbe comportare sull'occidente?

-Un intervento occidentale, sia sotto l'egida dell'ONU o meno, che non sia soltanto un supporto logistico o un rafforzamento degli armamenti di uno dei due governi — cosa che potrebbe anche essere accettata — servirebbe soltanto a unire le due parti che combattono adesso tra loro per combattere contro l'occidente. In questo momento, intervenendo, otterremmo soltanto l'aumento dei giovani che entrerebbero nelle file degli integralisti per combattere contro l'occidente.

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