La Camera dei Deputati si è pronunciata. Rigettando le mozioni presentate da Marcon, Duranti e altri (Sinistra italiana e Articolo 1-Mdp) e da Corda e altri (M5S) – e accogliendo invece le mozioni rese note solo all’ultimo minuto da Lia Quartapelle Procopio (Pd), Valentina Vezzali (Sc, Ala, Maie) e Bruno Archi (Fi) – le forze di maggioranza (ma non solo) hanno sostanzialmente affermato che, in mancanza di un embargo internazionale, l’Italia può continuare a fornire bombe e altro materiale bellico alla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita che da oltre 900 giorni sta bombardando – senza alcuna mandato internazionale – lo Yemen, causando più della metà degli oltre 10 mila morti tra i civili e contribuendo alla catastrofe umanitaria che sta devastando il paese.
L’unico impegno al riguardo è di «adeguarsi immediatamente», ma solo «a prescrizioni o divieti che fossero adottati nell’ambito delle Nazioni Unite o dell’Unione europea». Un impegno che è la fotocopia della posizione espressa, a nome del Governo, dal sottosegretario Vincenzo Amendola nel suo intervento durante il dibattito parlamentare. Impegno di scarso valore, se non puramente retorico, considerato che – ce lo auguriamo – nessuno nel governo e tra i partiti di maggioranza sta proponendo che l’Italia possa fare a meno di attenersi alle prescrizioni e agli embarghi internazionali di armi.
Nessun ruolo attivo dell’Italia nell’embargo di armi
Il governo e la Camera dei deputati rinunciano così ad esercitare un ruolo attivo e propositivo riguardo all’embargo di armamenti nei confronti dell’Arabia Saudita. Embargo richiesto da due risoluzioni votate ad ampia maggioranza dal Parlamento europeo. E ribadito per la terza volta in una risoluzione sul controllo delle esportazioni di sistemi militari approvata, grazie soprattutto al voto dei gruppi progressisti, la scorsa settimana dall’Europarlamento.
La mozione del Partito Democratico, presentata da Quartapelle Procopio, Alli, Marazziti, Locatelli ed altri (n. 1-01695), pur richiamando le risoluzioni europee non menziona, infatti, due passaggi fondamentali della risoluzione che è stata votata anche dai parlamentari del suo partito a Strasburgo. Li riporto testualmente:
«Considerando che la situazione nello Yemen, da allora, si è ulteriormente deteriorata anche a causa delle azioni militari portate avanti dalla coalizione guidata dai sauditi; che alcuni Stati membri hanno interrotto la fornitura di armi all’Arabia Saudita in ragione delle azioni da essa perpetrate nello Yemen, mentre altri hanno continuato a fornire tecnologie militari in violazione dei criteri 2, 4 6, 7 e 8 (della Posizione Comune europea, ndr)»;
(il Parlamento europeo) «Ritiene che le esportazioni all’Arabia Saudita violino almeno il criterio 2 (della Pozione Comune) visto il coinvolgimento del paese nelle gravi violazioni del diritto umanitario accertato dalle autorità competenti delle Nazioni Unite; ribadisce il suo invito del 26 febbraio 2016 relativo alla necessità urgente di imporre un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita.
Parole evidentemente imbarazzanti per un partito che ha deciso di allinearsi alla posizione del governo fingendo di non sapere che vari paesi europei hanno interrotto le forniture militari all’Arabia Saudita.
La associazioni: basta vendere armi per guerra Yemen
Le mozioni votate, ed in particolare quella del partito di maggioranza, sono soprattutto uno sberleffo alle associazioni della società civile sia nel merito, ma ancor più nel metodo.
La discussione in Parlamento sulla situazione in Yemen non è nata dall’iniziativa del parlamento, ma è stata una risposta alla richiesta avanzata da un ampio gruppo di associazioni e reti della società civile le quali, dopo anni di appelli inascoltati, l’hanno espressa in una conferenza stampa tenutasi lo scorso 21 giugno presso la sala stampa della Camera dei deputati.
A fronte della drammatica situazione in Yemen, Amnesty International Italia, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari in Italia, Oxfam Italia, Rete Italiana per il Disarmo e Rete per la Pace hanno infatti chiesto al Parlamento di farsi promotore di un effettivo processo di pace e di aiuto alla popolazione e, soprattutto di sospendere l’invio di materiali militari a tutte le parti in conflitto tra cui la coalizione a guida saudita.
Le mozioni arrivate in Parlamento
Accogliendo le istanze dell’appello delle associazioni, gli onorevoli Giulio Marcon e Donatella Duranti hanno presentato una mozione (n. 1/01662) raccogliendo trenta firme non solo tra i deputati dei loro gruppi, ma anche di due parlamentari di Democrazia solidale-Centro democratico e di un parlamentare del Pd.
Anche il Movimento 5 Stelle ha presentato una mozione (n. 1/01663) a prima firma Emanuela Corda sottoscritta da altri undici deputati dello stesso partito. Queste mozioni, presentate prima dell’interruzione estiva dei lavori parlamentari, hanno avviato il dibattito alla Camera.
Lo sberleffo della maggioranza alla società civile
Il Partito Democratico, pur intervenendo nel dibattito pre-estivo, non ha ritenuto di presentare in anticipo alcuna mozione: la già citata mozione a firma di Lia Quartapelle Procopio e altri, sottoscritta da altri parlamentari della maggioranza, così come le mozioni a firma Bruno Archi (n. 1-01696) e di Valentina Vezzali (n. 1-01697) sono infatti state depositate solo poco prima del dibattito e del voto finale.
Una modalità tipica di chi non solo intende evitare il confronto con le associazioni della società civile, ma cerca anche di sottrarsi all’esame e alle critiche prima del voto. Uno sberleffo, appunto. Che manifesta l’incapacità di confrontarsi con chi, come le suddette associazioni, conosce bene la materia e non può essere abbindolato da slogan per telespettatori in pantofole o da frasi fatte ad uso e consumo del proprio elettorato plaudente.
Appello (inascoltato) a responsabilità dei parlamentari
A fronte di questa situazione, le associazioni hanno rivolto, poco prima del voto in aula, un ultimo accorato appello ai parlamentari a «votare secondo coscienza esercitando il proprio senso di responsabilità».
«Riguardo alla fornitura di sistemi militari che vengono ampiamente impiegati per bombardare zone civili uccidendo donne e bambini inermi – scrivevano le associazioni in un comunicato – ogni Parlamentare è chiamato innanzitutto ad interpellare la propria coscienza e ad esercitare il proprio senso di responsabilità ricordando che nel suo operare “Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (Costituzione, Art. 67)».
Appello inascoltato, che lascia trasparire un’obbedienza agli ordini – impartiti con ogni probabilità non solo dal partito di riferimento, ma direttamente da qualche ministero – che va ben oltre la normale disciplina di partito.
«Arabia Saudita è alleato strategico»
Sintomatico del modo di affrontare la questione è stato l’intervento dell’onorevole Edmondo Cirielli. Dopo aver sostenuto che «assumere iniziative chiare contro l’Arabia Saudita che non è un Paese che ci piace per il ruolo che ha svolto a livello del terrorismo internazionale e per il ruolo equivoco sicuramente nella crisi in Siria e in Iraq», l’onorevole Cirielli ha tranquillamente concluso affermando che «rimane tuttavia un alleato strategico degli Stati Uniti e, quindi, della Nato» e che «quindi non capiamo per quale motivo dovremmo solo fare un’azione unilaterale contro un Paese che, tra virgolette, sarebbe amico, intromettendosi peraltro indirettamente anche sullo scenario militare».
Forse occorrerebbe ricordargli che l’Italia si è già intromessa nello scenario militare autorizzando, tra l’altro, la fornitura all’Arabia Saudita di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84 del valore di 411 milioni di euro: bombe richieste all’azienda RWM Italia dalla Royal Saudi Air Force proprio per bombardare lo Yemen. Di cui, però, nessuno tra i rappresentati della maggioranza ha parlato. Che non ne siano stati informati dai loro capi partito?