Tirato in ballo questa volta dal Movimento 5 Stelle per
le sue responsabilità nella partecipazione italiana ai
raid aerei sulla Libia del 2011, l’ex presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano risponde con un’intervista
a Repubblica nella quale con assai maggiore chiarezza
rispetto a precedenti uscite riconosce la contrarietà di
Silvio Berlusconi a quella guerra. Ricorda che il
Cavaliere stava per dimettersi da presidente del
Consiglio pur di non dare il suo sì all’intervento
armato contro Gheddafi. E che non lo fece con «un atto
di responsabilità da riconoscergli ancora oggi».
Aggiunge però Napolitano che, ovviamente, la decisione
di far partire i caccia militari «spettava al governo»,
anche se «con il consenso della presidenza della
Repubblica». Ma dire «consenso» è dire poco.
C’è una scena al centro della ricostruzione di quei
giorni del 2011, una scena ambientata in una sala del
teatro dell’Opera di Roma dove sul finire
dell’esecuzione del Nabucco dedicata alla celebrazione
del 150 anniversario dell’unità d’Italia, le più alte
autorità presenti ricevono la notizia che il consiglio
di sicurezza dell’Onu ha autorizzato l’intervento armato
in Libia e che gli aerei francesi e i missili di Usa e
Gb sono già in rampa di lancio per fermare l’avanzata
delle truppe fedeli a Gheddafi verso Bengasi. È il 18
marzo. Ricevute le notizie da New York, Berlusconi e
Gianni Letta si chiudono in una stanza con La Russa
(ministro della difesa) e i capi di stato maggiore. Dopo
poco arriva Napolitano. La cui posizione è nota, avendo
il presidente della Repubblica preventivamente riunito
il Consiglio supremo di difesa e dichiarato che
«Gheddafi sta sfidando il mondo», che «l’Italia non può
restare indifferente» e che «non si comprende la scelta
di Merkel» – la cancelliera tedesca scelse di non
intervenire in Libia.
Un Berlusconi sconsolato non si oppone alla decisione di
muovere le nostre truppe aree e navali, e di concedere
le basi agli alleati, per difendere i diritti del popolo
libico, certo, ma soprattutto gli interessi nazionali
(Eni). È un Cavaliere in fase evidentemente calante, che
pochi mesi prima era stato salvato dalla sfiducia
proprio da Napolitano e che pochi mesi dopo dovrà
comunque lasciare palazzo Chigi. Sempre con la regia di
Napolitano, che per il momento si impegna a tutelare la
missione armata italiana – che comincia effettivamente
in aprile – dalle incertezze della Lega. «Il nostro
impegno è di restare schierati», chiarisce il
presidente, con la stessa forza con la quale oggi
ricorda che la responsabilità era primariamente del
governo. Per questo, anche per questo, riceve un
pubblico omaggio da Obama.
Sei anni dopo, ieri, il centrodestra non coglie la
novità del riconoscimento di Napolitano delle posizioni
di Berlusconi e rilancia invece l’abituale polemica
contro l’ex capo dello stato colpevole di aver «imposto
la guerra». Non raggiungendo però le vette di Salvini,
che addirittura invoca un «processo» contro Napolitano.
Ottenendo ovviamente l’attenzione di tutta la politica
(da Gentiloni a Boldrini e Grasso a scendere) che si
affretta a contrattaccare il leader leghista. Di tanta
solidarietà finisce per rallegrarsi Napolitano, che in
serata fa uscire una nota in cui definisce «grossolane e
spudorate» le ricostruzioni di grillini e Lega che lo
avevano messo all’indice.
Salvini nel suo crescendo polemico tralascia di
ricordare che la Lega votò a favore dell’intervento
militare italiano in Libia, schierandosi al fianco di
quel ministro La Russa che oggi con Fratelli d’Italia fa
presto a scaricare tutte le colpe su Napolitano. Per
tenere a bada le incertezze leghiste bastò una mozione
nella quale si precisava che le operazioni militari non
dovevano durare troppo (ma la Nato smentì subito) e la
missione non doveva provocare un aumento delle tasse. I
parlamentari leghisti si sfilarono una sola volta, in
commissione, e allora fu determinante il soccorso del
Pd. Che peraltro non mancò mai, perché l’allora
segretario Bersani non ebbe dubbi, o non li espresse,
sulla linea Napolitano. «L’aggressione alla Libia – può
dunque notare il segretario Prc Acerbo – è stata decisa
da un’ampia maggioranza trasversale, la stessa che ora
ha dichiarato guerra a ong e migranti».