Ieri il
Parlamento filippino ha votato a larga maggioranza la
proroga definitiva della legge marziale nella regione
meridionale di Mindanao fino alla fine del 2017,
causando forti proteste da parte delle opposizioni.
LA SITUAZIONE diventa
sempre più instabile nelle Filippine, dopo la crisi
scoppiata il 23 Maggio scorso a Marawi, principale città
dell’isola meridionale di Mindanao considerata il nuovo
feudo di Daesh nel sud-est asiatico.
Il bilancio, dopo 8 settimane di scontri tra esercito e
miliziani islamisti, è di diverse centinaia di morti e
oltre 400mila sfollati, secondo i dati diffusi dal
governo di Manila la scorsa settimana. Il conflitto è
scoppiato dopo un fallito blitz delle forze armate
filippine per arrestare Isnilon Hapilon, comandante del
gruppo jihadista Abu Sayyaf, considerato uno tra i
terroristi più pericolosi nella galassia jihadista.
I MILIZIANI HANNO ATTACCATO la
città insieme al gruppo islamista «Maute». Entrambi i
gruppi sono affiliati all’Isis e si sono macchiati, in
quest’ultimo anno, del sangue di numerose vittime civili
in attentati o di diversi rapimenti, anche di
occidentali. Il presidente delle Filippine, Rodrigo
Duterte, ha dichiarato la «legge marziale» su tutta
l’isola con l’intenzione di «poter affrontare meglio la
crisi e l’assedio contro i terroristi». L’atteggiamento
del presidente – famoso ai media internazionali per la
violenta e repressiva campagna «contro la droga» che ha
già causato 10mila vittime – appare altalenante.
IN UN PRIMO MOMENTO,
infatti, Duterte ha utilizzato il pugno duro dichiarando
di non voler lasciare la città finché «l’ultimo
terrorista non sarà ucciso». Successivamente, viste
anche le difficoltà nel fronteggiare i gruppi jihadisti
ben armati e organizzati, è apparso più conciliante
tentando di avviare una mediazione con i gruppi
islamisti per la liberazione degli ostaggi catturati
durante gli scontri. Le insurrezioni da parte della
popolazione musulmana – minoranza sempre penalizzata dal
governo centrale di Manila – risalgono agli anni ‘70 e
hanno causato da allora più di 700mila vittime.
NEL 2014 il Milf (Moro
Islamic Liberation Front) ha siglato un accordo di pace
con l’allora presidente Aquino, ma il Congresso di
Manila non ha mai approvato la proposta di legge per
l’autonomia del sud, parte integrante del trattato.
In questi
ultimi anni la delusione del mancato accordo è stata
utilizzata dai gruppi jihadisti per arruolare nuovi
miliziani (anche malesiani, indonesiani e ceceni),
grazie soprattutto alle nuove e cospicue risorse
economiche provenienti dallo Stato Islamico dopo
l’affiliazione dei gruppi all’Isis come riportato da un
recente report dell’Ipac (Institute for Policy and
Conflict) del 21 Luglio. L’atteggiamento di Duterte
appare ambiguo anche per quanto riguarda le contromisure
ad una crisi che potrebbe far implodere la nazione.
Da una
parte, nel suo discorso di martedì al parlamento, ha
promesso che entro un anno concederà la «Bangsamoro
Basic Law», la legge che concede la possibilità di
auto-governo alla popolazione musulmana del meridione.
CON QUESTA STRATEGIA,
il presidente spera di ridurre la sfiducia che la
minoranza islamica ha nei confronti del governo centrale
e di arginare così la diffusione dell’ideologia
jihadista in quel territorio.
Dall’altra parte, però, lo stesso Duterte ha esteso la
legge marziale fino alla fine del 2017. Una scelta che è
stata subito contestata da diverse forze politiche
perché viene associata ad un progressivo abuso dei
diritti costituzionali e umani, come ai tempi del regime
di Marcos. Il New People’s Army (Npa), braccio armato
del Partito Comunista delle Filippine, lo scorso
mercoledì ha attaccato un convoglio militare a Marawi,
aprendo un nuovo fronte per Manila e congelando, di
fatto, i negoziati di pace tra governo e maoisti.
Con la
proroga di oggi bisognerà vedere se l’estensione della
legge – una chiara violazione alla costituzione
nazionale che lo limita a 60 giorni – verrà realmente
utilizzata per contrastare il fenomeno jihadista, ormai
dilagante a Mindanao, o per riportare il paese alla
dittatura, come ai tempi di Marcos.