«Dall’avvio
dell’offensiva sono stati centrati tutti gli obiettivi
e realizzati più attacchi che in qualsiasi altro
stesso periodo nella guerra contro l’Isis». Così Brett
Mc Gurk aggiorna sul suo profilo tweet l’impegno della
coalizione a guida Usa, a pochi giorni dall’inizio
dell’offensiva su Mosul. L’inviato speciale del
presidente Obama per contrastare l’Isis nell’area
twitta pure le cifre di tanta grazia, non senza
orgoglio: «18 gallerie, 26 autobombe e 136 posti di
combattimento» distrutti. Poche ore prima del gioioso
cinguettìo di Mc Gurk, una corposa colonna di
jihadisti - circa la metà dei novemila difensori
stimati di Mosul - abbandonava la città sotto assedio,
alla luce del sole e con gli aerei Awacs della Nato a
ronzargli sulle teste, nel corridoio di fuga verso la
Siria preparato ad hoc dalle truppe speciali Usa. Si
sarebbe trattato di combattenti siriani e iracheni
evacuati con le loro famiglie a Raqqa, capitale dello
stato islamico verso cui convergono, a chiacchiere,
gli sforzi della coalizione. A darne notizia per prima
è stata l’Anadolu - l’Ansa turca - dando notizia del
composito schieramento in campo nella riconquista
della capitale del Kurdistan iracheno che ben
difficilmente tornerà sotto il controllo di Baghdad.
Peshmerga curdi da nord e da est, regolari iracheni (sunniti filo Usa) da sud e da ovest, mentre i “terroristi” curdi del Pkk e gli irregolari iracheni (sciiti filoiraniani) non partecipano direttamente alle operazioni, su diktat turco e statunitense. Tra i difensori dell’Isis a Mosul resterebbero solo milizie straniere, arabe e non, con il compito di resistere fino all’ultimo per esfiltrare poi a piccoli gruppi, come già accaduto nelle città irachene riconquistate allo stato islamico, Tikrit e Falluja, unendosi a quanti già messi in salvo da chi li dovrebbe attaccare.
Non tanto perché al nemico che fugge ponti d’oro, come recita un vecchio adagio militare, ma per non sprecarli. Tali esperti combattenti saranno riorganizzati e reimpiegati, secondo le direttive del Pentagono, per una controffensiva contro le forze di Assad che spezzi la tenaglia su Aleppo, se possibile a diretto sostegno dei miliziani assediati. Non a caso aerei della coalizione (Usa) hanno spianato la strada ai jihadisti a Der Ezzor, mentre altri (belgi) hanno colpito Hassadiek, presso Aleppo, facendo strage dei governativi siriani. Così, la liberazione di Mosul potrà rivelarsi funzionale alla prosecuzione della lotta nella città contesa, una trappola per Assad. E uno specchio per allodole, alla faccia dei civili intrappolati.
Peshmerga curdi da nord e da est, regolari iracheni (sunniti filo Usa) da sud e da ovest, mentre i “terroristi” curdi del Pkk e gli irregolari iracheni (sciiti filoiraniani) non partecipano direttamente alle operazioni, su diktat turco e statunitense. Tra i difensori dell’Isis a Mosul resterebbero solo milizie straniere, arabe e non, con il compito di resistere fino all’ultimo per esfiltrare poi a piccoli gruppi, come già accaduto nelle città irachene riconquistate allo stato islamico, Tikrit e Falluja, unendosi a quanti già messi in salvo da chi li dovrebbe attaccare.
Non tanto perché al nemico che fugge ponti d’oro, come recita un vecchio adagio militare, ma per non sprecarli. Tali esperti combattenti saranno riorganizzati e reimpiegati, secondo le direttive del Pentagono, per una controffensiva contro le forze di Assad che spezzi la tenaglia su Aleppo, se possibile a diretto sostegno dei miliziani assediati. Non a caso aerei della coalizione (Usa) hanno spianato la strada ai jihadisti a Der Ezzor, mentre altri (belgi) hanno colpito Hassadiek, presso Aleppo, facendo strage dei governativi siriani. Così, la liberazione di Mosul potrà rivelarsi funzionale alla prosecuzione della lotta nella città contesa, una trappola per Assad. E uno specchio per allodole, alla faccia dei civili intrappolati.
MAURIZIO
ZUCCARI
giornalista e scrittore
giornalista e scrittore