http://www.ilgiornale.it/news/politica/obama-apre-allisis-fuga-siria-incastrare-putin-1323052.html
A Mosul nessuno può ammettere che
stia avvenendo, ma tanti incominciano a sospettarlo. E molti
sostengono di dedurlo analizzando le esigenze della politica,
osservando il dispiegamento degli attaccanti e, soprattutto,
seguendo i movimenti di civili e militanti dell'Isis in fuga
sull'asse Mosul-frontiera siriana. E così - mentre le
avanguardie della coalizione anti-Califfato avanzano a meno di
nove chilometri da Mosul e sul campo si contano 74 villaggi
liberati e quasi 800 militanti del Califfato uccisi - un
machiavellico dubbio agita il presidente francese Francoise
Hollande e i vertici dei peshmerga curdi. Dietro quel dubbio
s'insinua il sospetto che la grande offensiva irachena
nasconda un'inconfessabile, implicita intesa tra lo Stato
Islamico e la coalizione a guida americana. Un'intesa che
garantirebbe da una parte una rapida caduta di Mosul e
dall'altra il trasferimento, sostanzialmente indolore, di
buona parte dei vertici e dei combattenti dell'Isis in quel di
Raqqa, la capitale del versante siriano del Califfato.
L'accordo, ovviamente mai trattato né discusso esplicitamente,
garantirebbe vantaggi reciproci ad ambo le parti. Una caduta
di Mosul entro metà dicembre permetterebbe a Barack Obama di
chiudere la presidenza attribuendosi la conquista della
capitale irachena dello Stato Islamico. E gli consentirebbe di
venir ricordato come il presidente capace, dopo aver ucciso
Bin Laden nel primo mandato, d'infliggere, nel secondo, una
sconfitta decisiva allo Stato Islamico. Il Califfo Al Baghdadi
potrebbe invece sperare di dilazionare i tempi della propria
capitolazione e guadagnare qualche mese di vita arroccandosi
in quel di Raqqa. Sul fronte politico-strategico Obama
potrebbe annoverare un altro sostanziale vantaggio conseguito
proprio su quel fronte siriano dove le iniziative americane
sono state sistematicamente annullate da quelle russe. Lo
spostamento della partita finale lascerebbe infatti a Vladimir
Putin e ai suoi alleati siriani la responsabilità della
battaglia finale contro lo Stato Islamico. Uno spostamento che
garantirebbe agli Stati Uniti una relativa tranquillità
durante i primi mesi del prossimo mandato affidato, nelle
speranze di Obama, alla democratica Hillary Clinton. Il primo
ad alludere ad un'inconfessabile intesa è stato, come si
diceva, il presidente Francoise Hollande. Giovedì scorso -
durante un convegno sul «Futuro di Mosul» organizzato da
Francia e Iraq al ministero degli esteri di Parigi, il
presidente ha denunciato l'inspiegabile fuga di almeno un
migliaio di combattenti dell'Isis usciti da Mosul e arrivati a
Raqqa senza che nessuno, aerei Usa compresi, abbia mosso un
dito per fermarli. «Non possiamo permetterci errori nella
caccia ai terroristi che stanno lasciando Mosul per Raqqa»
ammonisce il presidente francese rivolgendosi ai
rappresentanti della coalizione anti Isis, tra cui alcuni
americani, arrivati ad ascoltarlo. L'ammonimento,
inequivocabilmente esplicitò, riflette il timore che i
«calcoli» statunitensi consentano ai combattenti dell'Isis
defluiti sul fronte siriano di rispondere all'offensiva su
Mosul con attentati condotti in Francia e in altri paesi
europei. Una paura giustificata visto che Raqqa è la capitale
del Califfato dove opera la cellula dell'Isis responsabile
della pianificazione degli attacchi in Europa. E a confermare
i timori di Hollande s'aggiunge Qassim Shesho, un comandante
curdo di origine yazide, nemico giurato dello Stato Islamico,
che segnala come, nei giorni scorsi, centinaia
di civili e combattenti usciti da Mosul si siano mossi
lungo la «strada di Ba'aj» un percorso aperto in questi
ultimi due anni dallo Stato Islamico per garantire i
collegamenti con Raqqa. Altre colonne di
veicoli dello Stato Islamico avrebbero invece passato la
frontiera di Al Qaim dirigendosi verso Deir El Zor, la regione
petrolifera siriana controllata dall'Isis.
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