[Disarmo] Una guerra al contrario



Petrolio in calo, la guerra al contrario dell'oro nero. Le mosse dei sauditi 
per fermare Usa, Russia e Iran

Il nuovo record negativo del prezzo del petrolio quasi non sorprende più. Ma 
la flessione dei prezzi dell'oro nero da molto tempo ormai ha ben poco a che 
vedere con le naturali dinamiche di mercato di equilibrio di domanda e 
dell'offerta. Dietro la flessione dei prezzi c'è prevalentemente la regia di un 
Paese, l'Arabia Saudita, che da principale produttore mondiale di greggio, 
cerca di utilizzare l'arma dei prezzi per combattere una guerra economica più 
grande, che si intreccia con le tensioni geopolitiche che scuotono tutto il 
Medio-Oriente.

Per descrivere il complesso quadro attuale Il Sole 24 Ore, con un'analisi di 
Alberto Negri, utilizza la definizione di "guerra al contrario".

    Più il conflitto in Medio Oriente si fa distruttivo più il prezzo scende. 
Un tempo bastava l'accenno di un conflitto per alzare le quotazioni e 
rimpinguare le casse dei Paesi produttori. Ma è un paradosso apparente. Oggi 
l'arma del petrolio si è rovesciata: l'Arabia Saudita ha fatto saltare l'Opec e 
le quote del tetto produttivo per mettere al tappeto l'Iran, la Russia e 
fronteggiare l'ascesa dello shale oil americano

Parte della storia è cosa nota. Riad da tempo utilizza una aggressiva 
strategia per stroncare i propri competitor e in particolare gli Stati Uniti, 
abbassando i prezzi al punto da non rendere più conveniente l'estrazione 
dell'olio di scisto. Secondo alcuni analisti - ricorda oggi la Stampa - questa 
attività ha bisogno di un prezzo intorno ai 70 dollari al barile per essere 
profittevole, tetto che ormai è stato superato al ribasso da molto tempo, senza 
che le attività statunitensi siano finite in ginocchio come sperato dai 
sauditi.

E se l'Arabia Saudita spera con i prezzi bassi di arginare anche l'ingresso 
nel mercato dell'Iran, unico gigante dell'area in grado di contrastare 
l'egemonia nel Golfo dei sauditi, dall'altro la strategia adottata sta costando 
parecchio a Riad. Soltanto nel 2015 - scrive il Sole 24 Ore - con la guerra dei 
prezzi sono stati bruciati dal Paese 150 miliardi di dollari. Una ricchezza in 
fumo pur di abbattere i propri concorrenti e conservare la propria supremazia 
sull'oro nero.

Sullo sfondo si muovono però domanda e offerta continuano comunque ad 
influenzare l'andamento dei prezzi. La prima da tempo resta debole, sulla scia 
di un'economia mondiale spinta da una ripresa ancora molto timida e da una 
riduzione generale dei consumi, anche negli Stati Uniti. Secondo gli analisti 
la domanda, seppur in maniera modesta, potrebbe recuperare, ma è il fronte 
dell'offerta che preoccupa di più. Con l'iperattività della Russia da una parte 
e il prossimo ritorno dell'Iran il rischio è che l'offerta cresca di più delle 
domanda, mantenendo stabilmente bassi i prezzi. Condizione che per l'Europa non 
rappresenta soltanto una buona notizia. Soprattutto per le aziende italiane. 
Come ha ricordato ieri l'ad di Eni Claudio Descalzi, spiegando che il rischio è 
che questo trend si traduca in un calo degli investimenti.

E il basso prezzo del petrolio impensierisce tutta l'Eurozona. Ricorda 
Riccardo Sorrentino su Il Sole 24 Ore

    Non sarà dunque una situazione transitoria, e le economie dovranno 
imparare a convivere con il petrolio basso. Sarà un bene per i consumi - sono 
persino aumentate le vendite delle auto più grandi - meno per l'inflazione: la 
politica monetaria, soprattutto in Eurolandia, punta molto su un rialzo del 
prezzo del petrolio che potrebbe non verificarsi.
http://www.huffingtonpost.it/2015/12/09/petrolio-calo-arabia-saud_n_8756220.
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