[Disarmo] Ho bruciato il tricolore. 11 condanne per vilipendio





Ho bruciato il tricolore. 11 condanne per vilipendio

Questa mattina il tribunale di Torino ha condannato 11 antimilitaristi.
Nella sentenza della giudice Zanetti pene tra i 1.000 e i 1.800 euro di
multa per vilipendio alle forze armate.
Due mesi di reclusione all’anarchico che ha dato alle fiamme una bandiera
italiana.

Il 4 novembre del 2009, il giorno che lo Stato italiano dedica alle forze
armate, un plotone di soldati caricati a molla, attraversò il centro e
sbucò in piazza Castello, dove, come ogni anno, c’era la cerimonia
dell’ammaina bandiera.
Di fronte al monumento ai Cavalieri d’Italia una bandiera italiana venne
data alle fiamme tra gli applausi di una piccola folla accorsa intorno al
monumento.
Oggi per quell’azione simbolica lo Stato, la cui sacralità non può essere
irrisa, ha presentato il conto. Lo stesso Stato che quattro mesi fa
sfilava nel centro di Parigi con il cartello “Je souis Chalie”. La libertà
è un concetto a geografia variabile.

La nostra solidarietà al nostro compagno Emilio e agli altri
antimilitaristi colpiti dalla repressione.

Di seguito la dichiarazione con cui Emilio rivendica il suo gesto:

“Ho bruciato la bandiera italiana
Era il 4 novembre 2009. Ogni anno in quella giornata lo Stato Italiano
celebra quell’immane carneficina che fu la prima guerra mondiale. Quando
ero bambino era la festa della vittoria, poi divenne festa delle forze
armate. La festa degli assassini. Assassini in divisa, con fanfare e
retorica, con insegne e bandiere, assassini che lo Stato trasforma in
eroi.

La bandiera italiana, simbolo di un paese in guerra, simbolo di
quell’infamia che si chiama amor patrio, è solo un pezzo di stoffa. In
nome di quel pezzo di stoffa uomini e donne vestiti di una divisa hanno
licenza di uccidere, bombardare, torturare, stuprare.
Si chiama guerra. Oggi la chiamano missione umanitaria, nel ventennio era
invece un’impresa civilizzatrice.
L’umanità e la civiltà della guerra ce le raccontano i corpi massacrati
dai gas dei libici e degli eritrei, gli impiccati della Cirenaica, i
fucilati del villaggio greco di Domenikon, i campi di concentramento
italiani dell’isola di Rab. L’umanità e la civiltà della guerra ce la
raccontano gli afgani bombardati, vessati, umiliati, ce la raccontano i
corpi dei prigionieri somali torturati con gli elettrodi dai parà della
Folgore, le carni martoriate della ragazza somala stuprata da eroi
italiani con un razzo illuminante.
L’umanità e la civiltà della guerra ce la raccontano i profughi e migranti
speronati in mare dalla vedetta militare italiana Sibilla, gli uomini
donne bambini affogati nel Mediterraneo, cacciati a forza verso l’inferno
da cui venivano.

Il tricolore sventola oggi come ieri quando le truppe dello Stato
reprimono le popolazioni ribelli del nostro paese. C’era una bandiera
bianca rossa verde alla testa delle truppe che nel 1898 cannoneggiavano il
popolo di Milano in rivolta per il pane, c’é una bandiera italiana sulle
galere e sui CIE, dal 27 giugno del 2011 c’è un tricolore sul piazzale
della Maddalena, sgomberato ed occupato dalle truppe dello Stato, le
stesse truppe che combattevano in Afganistan.

Le bandiere nazionali sventolano alla testa degli eserciti che si
combattono per il controllo di un pezzo di terra, per il dominio, per
l’accaparramento di risorse che potrebbero essere di tutti. Le guerre
alimentano gli affari, affari di morte. Il capitalismo vive della
distruzione, vive della produzione e del commercio di armi, prospera nelle
terre occupate, nei paesi distrutti.
Le bandiere nazionali sventolano sui confini che dividono gli uomini,
righe di nulla su una mappa che segnano il destino di chi nasce di qua o
di là.

Io sono anarchico. La mia patria è il mondo intero, nella mia mappa ci
sono laghi e montagne, fiumi e città, ma nessun confine, nessuna barriera,
nessuna bandiera che non sia quella di un’umanità affrancata dal dominio,
dagli eserciti, dalle guerre.

Per questa ragione il 4 novembre del 2009 a volto scoperto di fronte a
tutti – poliziotti compresi – ho dato alle fiamme il tricolore.

So bene che per il codice penale della Repubblica italiana questo è un
reato. Chi dice la propria su istituzioni e simboli investiti dall’aura
della sacralità, chi irride l’esercito o brucia una bandiera finisce in
tribunale.
Lo Stato fa il gioco degli innocenti e dei colpevoli. Non è il mio gioco,
perché quello che per lo Stato è un reato per me è espressione di libertà
e dignità. L’onore degli eserciti, la santità della bandiera, sono il
mezzo per trasformare una ginnastica di morte in attività onorevole e ben
pagata. È un’operazione che richiede riti e sacerdoti. Giudici e tribunali
per chi non ci sta.
Alla faccia degli altisonanti principi che sancirebbero la libertà di dire
la propria.

Nulla di cui stupirsi. Ammazzare, torturare, violentare, occupare città e
paesi è una pratica normale degli Stati, che nella maggior parte delle
persone suscitano orrore ed indignazione.
Lo Stato mi condanna per aver dato alle fiamme il simbolo che accompagna
chi uccide in suo nome.
Lo Stato è la massima espressione della violenza, una violenza brutale e
legalizzata.
Nel mondo che voglio non c’è posto per gli stati, i confini, gli eserciti,
le guerre.”

Federazione Anarchica Torinese – FAI
fai_to at inrete.it – 338 6594361

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