The Israel Project’s 2009 GLOBAL LANGUAGE DICTIONARY: un manuale ad uso della macchina propagandistica israeliana durante le operazioni militari
Bisogna mostrare grande empatia verso i palestinesi, mostrarsi lacrimosi quando si vedono i corpi massacrati dalle bombe e dai proiettili, ma essere aggressivi quando si viene accusati di uccidere deliberatamente donne e bambini innocenti
"I civili innocenti non sono un bersaglio per Israele, ma quando un ospedale o una scuola sono utilizzati come deposito di armi o come quartier generale militare [di Hamas], allora diventano un obiettivo legittimo secondo le leggi internazionali di guerra”.
Queste parole come altre “siamo in una situazione in cui dobbiamo difendere la nostra gente, le vittime civili sono una tragedia e più civili di Gaza vengono uccisi, maggiore è il nostro fallimento”, sono state dette dall’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Ron Dermer (chiamato anche “il cervello di Bibi” perché vicinissimo al premier israeliano) davanti ai giornalisti durante il "Monitor Breakfast" tenuto dal Christian Science Monitor. L’ambasciatore israeliano ha parlato del conflitto tra Israele e Palestina e della campagna militare israeliana a Gaza affermando che Hamas è impegnato in un genocidio del popolo israeliano, e che sta usando scudi umani per creare una pressione internazionale su Israele. http://www.csmonitor.com/USA/Politics/monitor_breakfast/2014/0722/Hamas-s-use-of-human-shields-is-to-blame-for-Gaza-toll-Israeli-envoy-says-video
Così come per l’operazione militare denominata “Piombo fuso”, Israele
mostra di aver bisogno di legittimare l’ennesima guerra contro il
popolo palestinese appellandosi al diritto di legittima difesa sancito
dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, e deve raccontare il
conflitto come necessario e proporzionato rispetto ad un attacco
subito.
Allora qual è il modo migliore per manipolare l’opinione
pubblica americana ed europea avendo già il sostegno di Washington e dei
media internazionali?
Ci ha pensato Frank Luntz, un sondaggista
repubblicano esperto in comunicazione strategica, che ha fondato una
società specializzata nella creazione di messaggi e immagini per clienti
commerciali e politici. http://www.luntzglobal.com/
Nel Manuale “The Israel Project’s 2009 GLOBAL LANGUAGE DICTIONARY”
http://www.stopdebezetting.com/documents/pdf/090713Hasbara%20handboek_tip_report.pdf
si insegna a nascondere i fatti, “non confondere i fatti con i
messaggi”,e si consiglia ai portavoce israeliani (Ron Dermer è stato un
suo assistente) che occorre selezionarli e presentarli nel modo
migliore. Per esempio bisogna demonizzare Hamas ma contemporaneamente
sottolineare la vicinanza con le sofferenze dei palestinesi “Verrà il
giorno in cui i bambini israeliani e quelli palestinesi cresceranno
insieme, giocheranno insieme e lavoreranno insieme, non perché devono,
ma perché vogliono”. E bisogna mostrare grande empatia verso i
palestinesi, mostrarsi lacrimosi quando si vedono i corpi massacrati
dalle bombe e dai proiettili, ma essere aggressivi quando si viene
accusati di uccidere deliberatamente donne e bambini innocenti.
Ci
sono sempre parole giuste per ogni momento per cui il desiderio di pace
va sempre sottolineato, ma ad ogni pressione pubblica che chiede di
arrivare alla pace bisogna sostenere che è necessario fare un passo alla
volta, applicare un approccio dettato dal buon senso.
Ogni
risposta deve essere adeguata al tipo di pubblico a cui ci si rivolge:
agli americani che sono sensibili al fatto che gli israeliani devono
poter difendere i propri confini, ma che sanno poco di quali siano,
bisogna evitare di parlare di ciò che è accaduto nel 1967 per non
ricordare la storia militare di Israele (Vedere “Obama: Frainteso sui
confini del 1967 di Israele” http://www.unita.it/mondo/obama-frainteso-sui-confini-del-1967-di-israele-1.296040
). Più difficile è la domanda riguardante il diritto al ritorno dei
rifugiati palestinese espulsi o in fuga nel 1948, in questo caso uno dei
suggerimenti è rispondere che il diritto al ritorno potrebbe divenire
parte di una soluzione definitiva, in un possibile futuro.
Così quando Benjamin Netanyahu afferma “è tempo per qualcuno di chiedere ad Hamas: che cosa stai facendo per portare prosperità al tuo popolo?” deve essere taciuto l’assedio economico israeliano che dura da anni e che ha ridotto Gaza alla povertà e alla miseria. Da sottolineare che questo studio è stato commissionato cinque anni fa dal gruppo “Il Progetto Israele” che ha uffici in America e in Israele. http://www.theisraelproject.org/
Quanto sia importante l’informazione in guerra viene sottolineato da
Al Jazeera che ha pubblicato il servizio “Gaza e Israele: guerra degli
hashtags. Come l'accesso immediato alle immagini e alle informazioni
on-line contribuisce a modellare la reazione globale alla guerra
Israele-Gaza”. http://www.aljazeera.com/programmes/insidestory/2014/07/who-winning-social-media-war-over-gaza-2014722172425666235.html
Quando il conflitto tra Israele e Hamas si intensifica, si intensifica
anche la battaglia condotta online. Per generazioni la propaganda ha
viaggiato insieme alla guerra, ma ora i conflitti sono esaminati
accuratamente dai social media. La guerra dell’informazione è condotta
on-line dai giornalisti, dagli individui e dalle macchine multimediali
israeliane e di Hamas.
L'hashtag # #GazaUnderAttack è stato
twittato 4 milioni di volte rispetto ai quasi 200.000 per
#IsraelUnderFire. Ma è possibile determinare chi sta vincendo questa
battaglia cyber per ottenere il sostegno pubblico?
“La guerra degli inganni” è un articolo scritto dal giornalista israeliano Gideon Levy sul quotidiano Ha’aretz .
È cominciata come una guerra premeditata: avrebbe potuto essere evitata
se negli ultimi mesi Israele avesse adottato una politica diversa. Si è
evoluta in una guerra inutile. È già abbastanza ovvio che non porterà
alcun risultato a lungo termine. È ancora possibile che degeneri in un
disastro, e alla fine risulterà essere stata la guerra degli inganni:
Israele si è ingannato fino a rovinarsi.
Il primo inganno è la
pretesa che non ci fosse alternativa. Certo, quando i razzi hanno
cominciato a piovere su Israele non c’era più alternativa. Ma che dire
dei passi che ci hanno portato a questo? Sono passi per i quali
esistevano altre opzioni. Non è difficile immaginare cosa sarebbe
successo se Israele non avesse interrotto i negoziati di pace, se non
avesse lanciato una guerra totale contro Hamas all’indomani
dell’omicidio dei tre ragazzi israeliani, se non avesse bloccato il
trasferimento dei fondi destinati al pagamento dei salari pubblici nella
Striscia di Gaza, se non si fosse opposto al governo di unità nazionale
palestinese e se avesse allentato l’embargo alla Striscia di Gaza.
I razzi Qassam sono stati una risposta alle scelte di Israele. In
seguito gli obiettivi sono cresciuti a valanga, come avviene sempre in
guerra: da fermare i razzi a trovare e distruggere i tunnel alla
demilitarizzazione di Gaza. La valanga potrebbe continuare all’infinito.
“Risponderemo alla pace con la pace”. Ricordate? Il 25 luglio Israele
ha rifiutato la proposta di cessate il fuoco del segretario di stato
statunitense John Kerry.
Il secondo inganno è che l’occupazione
della Striscia di Gaza è finita. Pensate a un’enclave sotto assedio, i
cui abitanti sono prigionieri, gran parte dei cui affari sono
controllati da un altro stato che gestisce l’anagrafe e l’economia,
proibisce le esportazioni, limita la pesca, controlla i suoi cieli e
ogni tanto invade il suo territorio. Non è occupazione questa?
Il
terzo inganno è l’affermazione che l’esercito israeliano “fa tutto
quello che può” per evitare di uccidere civili. Siamo già oltre il
migliaio di morti, tra cui una maggioranza civili e un numero
impressionante di bambini. Interi quartieri sono stati rasi al suolo e
150mila profughi non hanno un posto sicuro dove andare. Questo rende
tale affermazione nient’altro che uno scherzo di cattivo gusto.
Anche la convinzione che il mondo sostenga la guerra e riconosca la sua
giustezza è un inganno israeliano. Se è vero che i politici occidentali
continuano a ripetere che Israele ha il diritto di difendersi, i morti
che continuano ad accatastarsi e la disperazione dei rifugiati stanno
irritando il mondo e generando odio contro Israele. Alla fine anche gli
statisti che sostengono Israele gli volteranno le spalle.
Un altro
inganno è quello secondo cui questa guerra ha dimostrato che “il popolo
d’Israele” è “una nazione meravigliosa”. Era da tempo che non si
assisteva a una campagna così mendace, manipolatoria, melensa e
autocompiaciuta. La nazione si è mobilitata per sostenere i soldati, e
questo è commovente. Ma oltre ai camion carichi di dolciumi e
biancheria, alle migliaia di israeliani che hanno partecipato ai
funerali dei soldati le cui famiglie vivono all’estero e all’ansia per i
feriti, questa guerra ha messo in evidenza anche comportamenti ben più
odiosi.
Quel “comitato di sostegno ai soldati” che è Israele ha
dimostrato tutta la sua indifferenza verso le sofferenze dell’altra
parte. Non un briciolo di compassione, non un barlume di umanità,
nessuno stupore, nessuna empatia per il suo dolore. Le orribili immagini
di Gaza provocano reazioni che vanno dallo sbadiglio alla gioia. Un
popolo che si comporta così non merita le lodi che si riversa addosso.
Quando la gente di Gaza muore e la gente di Tel Aviv fa come se niente
fosse non c’è niente da festeggiare.
E non c’è niente da
festeggiare neanche nella campagna di aggressione contro i pochi che si
oppongono alla guerra. Dal governo e dal parlamento alle strade e ai
commenti su internet, tira una brutta aria. Solo i cittadini obbedienti
sono ammessi. “Unità israeliana”? “La nazione è una grande famiglia”?
Non scherziamo. Anche i mezzi d’informazione israeliani in tempo di
guerra sono una barzelletta, una rete di propaganda i cui membri si sono
autoarruolati per lodare ed esaltare, incitare e punire, e chiudere gli
occhi.
Ma la più grande delle barzellette, la madre di tutti gli
inganni è la fiducia nella giustezza del proprio agire. Lo slogan della
“guerra giusta” è ripetuto fino alla nausea, fino a far sospettare che
anche quelli che lo gridano più forte abbiano dei dubbi, altrimenti non
griderebbero così forte e non se la prenderebbero tanto con chi cerca di
esprimere un’opinione differente. Dopo tutto, come si può giustificare
una guerra evitabile? E come ci si può ammantare di giustizia di fronte
alle orribili immagini di Gaza?
Forse la terra brucia anche sotto i
piedi di questo coro di apologeti della guerra. Forse anche loro si
rendono conto che quando la battaglia finirà il quadro diverrà chiaro. È
sempre così nelle guerre d’inganno, ed è così che finirà anche la
guerra del 2014.