[Disarmo] Gaza: il gas e la Russia nel mirino - Manlio Dinucci 15 07 14




L’ARTE DELLA GUERRA

Gaza, il gas nel mirino

*Manlio Dinucci


Per capire qual è uno degli obiettivi dell’attacco israeliano a Gaza
bisogna andare in profondità, esattamente a 600 metri sotto il livello
del mare, 30 km al largo delle sue coste. Qui, nelle acque territoriali
palestinesi, c’è un grosso giacimento di gas naturale, Gaza Marine,
stimato in 30 miliardi di metri cubi del valore di miliardi di dollari.
Altri giacimenti di gas e petrolio, secondo una carta redatta dalla U.S. Geological Survey (agenzia del governo degli Stati uniti), si trovano sulla terraferma a Gaza e in Cisgiordania.

Nel 1999, con un accordo firmato da Yasser Arafat, l’Autorità
palestinese affida lo sfruttamento di Gaza Marine a un consorzio formato da British Gas Group e Consolidated Contractors (compagnia privata palestinese), rispettivamente col 60% e il 30% delle quote, nel quale il Fondo d’investimento dell’Autorità ha una quota del 10%. Vengono perforati due pozzi, Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2. Essi però non entrano mai in funzione, poiché sono bloccati da Israele, che pretende di avere tutto il gas a prezzi stracciati.

Tramite l’ex premier Tony Blair, inviato del «Quartetto per il Medio
Oriente», viene preparato un accordo con Israele che toglie ai
palestinesi i tre quarti dei futuri introiti del gas, versando la parte
loro spettante in un conto internazionale controllato da Washington e
Londra. Ma, subito dopo aver vinto le elezioni nel 2006, Hamas rifiuta
l’accordo, definendolo un furto, e chiede una sua rinegoziazione. Nel
2007, l’attuale ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon avverte
che «il gas non può essere estratto senza una operazione militare che
sradichi il controllo di Hamas a Gaza». Nel 2008, Israele lancia
l’operazione «Piombo Fuso» contro Gaza.

Nel settembre 2012 l’Autorità palestinese annuncia che, nonostante
l’opposizione di Hamas, ha ripreso i negoziati sul gas con Israele. Due
mesi dopo, l’ammissione della Palestina all’Onu quale «Stato osservatore non membro» rafforza la posizione dell’Autorità palestinese nei negoziati. Gaza Marine resta però bloccato, impedendo ai palestinesi di sfruttare la ricchezza naturale di cui dispongono. A questo punto l’Autorità palestinese imbocca un’altra strada.

Il 23 gennaio 2014, nell’incontro del presidente palestinese Abbas col
presidente russo Putin, viene discussa la possibilità di affidare alla
russa Gazprom lo sfruttamento del giacimento di gas nelle acque di Gaza.
Lo annuncia l’agenzia Itar-Tass, sottolineando che Russia e Palestina
intendono rafforzare la cooperazione nel settore energetico. In tale
quadro, oltre allo sfruttamento del giacimento di Gaza, si prevede
quello di un giacimento petrolifero nei pressi della città palestinese
di Ramallah in Cisgiordania. Nella stessa zona, la società russa
Technopromexport è pronta a partecipare alla costruzione di un impianto
termoelettrico della potenza di 200 MW.

La formazione del nuovo governo palestinese di unità nazionale, il 2
giugno 2014, rafforza la possibilità che l’accordo tra Palestina e
Russia vada in porto. Dieci giorni dopo, il 12 giugno, avviene il
rapimento dei tre giovani israeliani, che vengono trovati uccisi il 30
giugno: il puntuale casus belli che innesca l’operazione «Barriera
protettiva» contro Gaza.

Operazione che rientra nella strategia di Tel Aviv, mirante a
impadronirsi anche delle riserve energetiche dell’intero Bacino di
levante, comprese quelle palestinesi, libanesi e siriane, e in quella di Washington che, sostenendo Israele, mira al controllo dell’intero Medio Oriente, impedendo che la Russia riacquisti influenza nella regione. Una miscela esplosiva, le cui vittime sono ancora una volta i palestinesi.

(il manifesto, 15 luglio 2014)

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Jure Ellero