[Disarmo] Tutti i punti di rottura tra l’est e l’ovest interni, all’ombra dell’«impossibile» federalizzazione



 Matteo Tacconi

Geografia del conflitto. La destra estrema di Leopoli, la Crimea filorussa e 
la chiesa «Umiate»

Il ter­re­moto di Kiev non ha tar­dato a farsi sen­tire a Leo­poli, la prin­ci­
pale città dell’occidente ucraino. Alla noti­zia degli scon­tri furi­bondi di 
lunedì nella capi­tale, con la loro coda di san­gue, il campo anti-Yanukovich s’
è sca­te­nato, assal­tando e occu­pando le sedi di governo regio­nale, poli­zia 
e pro­cura gene­rale. Leo­poli non è nuova a que­ste fiam­mate. Ce ne sono 
state diverse, da quando il 21 novem­bre, con il no di Yanu­ko­vich agli 
accordi com­mer­ciali pro­po­sti dall’Ue, è scop­piata la crisi. Impulso e coor­
di­na­mento sono venuti prin­ci­pal­mente da Svo­boda, il seg­mento più a 
destra dell’opposizione. Un par­tito ultra-nazionalista, con ten­denze anche 
fasci­ste ma capace, come per le poli­ti­che del 2012, quando andò in dop­pia 
cifra, di inter­cet­tare il voto di pro­te­sta. Leo­poli è la roc­ca­forte di 
Svo­boda. Anche gli altri par­titi dell’opposizione, quelli di Yulia Tymo­
shenko (Patria) dell’ex pugile Vitali Kli­tschko (Udar), rastrel­lano comun­que 
parec­chi voti da quelle parti. Scarso il radi­ca­mento del Par­tito delle 
regioni di Vik­tor Yanu­ko­vich, che a gen­naio, tra l’altro, ha chiuso i pro­
pri uffici cit­ta­dini. Una vera e pro­pria riti­rata.
A ovest, Leo­poli non è un caso iso­lato. Pure Ivano-Frankivsk, Ter­no­pil, 
Lutsk e Rivne, città dove le oppo­si­zioni hanno un certo peso elet­to­rale, 
schiu­mano rab­bia con­tro il pre­si­dente e la sua cricca.
Sull’altro ver­sante del paese, a est, i sen­ti­menti sono oppo­sti. Le pro­te­
ste con­tro Yanu­ko­vich sono state spo­ra­di­che e il Par­tito delle regioni, 
che qui è ege­mone, le ha con­te­nute azio­nando la mac­china della pro­pa­
ganda e mobi­li­tando i mili­tanti, spal­leg­giati dai titu­shki, pro­vo­ca­
tori in odore di mala­vita. Euro­mai­dan — il nome del movi­mento anti-
presidente — è per­ce­pito come una rognosa banda di gol­pi­sti.
L’astio è ancora più espli­cito in Cri­mea, nel sudest. È una regione par­ti­
co­lare. Fino al 1954 faceva parte della Rus­sia sovie­tica. La mag­gio­ranza 
etnica è russa. L’unico caso, in tutta l’Ucraina. Nel porto di Seba­sto­poli, 
inol­tre, Mosca tiene anco­rata la flotta sul Mar Nero, secondo accordi sta­bi­
liti al tempo dell’indipendenza ucraina (1991) e rin­no­vati dopo che nel 2010 
Yanu­ko­vich è salito alla pre­si­denza.
Durante la crisi i poli­tici della Cri­mea hanno ripe­tu­ta­mente accu­sato 
Yanu­ko­vich di essere troppo mor­bido con Euro­mai­dan, hanno votato la messa 
al bando di Svo­boda e riven­di­cato inol­tre mag­giore auto­no­mia ammi­ni­
stra­tiva. Qual­cuno s’è spinto a for­mu­lare la richie­sta di unione con la 
Rus­sia. Emerse anche al tempo dell’indipendenza del 1991.
Non è dif­fi­cile capire, osser­vando quanto avviene a Leo­poli e in Cri­mea, 
che il solco che sto­ri­ca­mente corre sto­ri­ca­mente lungo l’asse est-ovest, 
tem­pe­rato da una fascia mediana neu­tra che da Kiev scende a sud seguendo 
grosso modo il corso del fiume Dnepr, si sta peri­co­lo­sa­mente appro­fon­
dendo.
L’ovest ucraino è la culla di un’idea nazio­nale cucita in buona misura sul 
rifiuto dell’influenza russa. Leo­poli, a lungo con­trol­lata dalla Polo­nia, 
ne è il cen­tro di irra­dia­zione. La chiesa greco-cattolica, di rito orien­
tale ma subor­di­nata al Vati­cano, uno degli inter­preti, non­ché grande fat­
tore di discor­dia tra papato e patriar­cato di Mosca. Secondo il quale i greco-
cattolici, che hanno espli­ci­ta­mente soste­nuto Euro­mai­dan, sono la longa 
manus pon­ti­fi­cia nelle terre ortodosse.

Sull’altro lato del paese, a est (con Odessa, nel sud), la Rus­sia pro­ietta 
la sua ombra, con la Cri­mea a fare da avam­po­sto. I legami tra que­ste 
regioni e Mosca sono indu­strial­mente, eco­no­mi­ca­mente e cul­tu­ral­mente 
stret­tis­simi.
Di que­sti tempi si evoca lo spet­tro della seces­sione. Dell’ovest dall’est o 
vice­versa. C’è chi vati­cina la ripe­ti­zione del dramma jugo­slavo. Forse non 
s’arriverà a tanto, ma è pos­si­bile che lo squi­li­brio regio­nale si aggravi, 
con le due anime del paese decise a difen­dere con vigore le pro­prie spe­ci­fi­
cità, rimar­cando le diver­sità.
Non è casuale, quindi, che si parli di rifor­mare la costi­tu­zione in o fede­
rale. L’hanno fatto i comu­ni­sti di Petro Symo­nenko, alleati in par­la­mento 
del Par­tito delle regioni. Per Symo­nenko la fede­ra­liz­za­zione è l’unico 
modo per tenere insieme, rico­no­scen­done le carat­te­ri­sti­che, i due pol­
moni ucraini. Anche qual­che espo­nente del Par­tito delle regioni ha cal­deg­
giato la pro­spet­tiva. Così come Vik­tor Med­ve­d­chuk, capo del movi­mento 
Scelta ucraina, osten­ta­ta­mente filo­russo. La cosa, dato che Med­ve­d­chuk è 
con­si­de­rato il pasda­ran di Putin a Kiev, ha por­tato a pen­sare che il Crem­
lino sarebbe orien­tato a rinun­ciare all’influenza su tutta l’Ucraina, riser­
van­dosi il con­trollo sullo spic­chio più gesti­bile: l’est, logi­ca­mente.
Dall’altra parte della bar­ri­cata la pro­po­sta è stata sec­ca­mente 
respinta. Da tutti. Per l’opposizione, la fede­ra­liz­za­zione ucci­de­rebbe l’
unità dell’Ucraina, ammesso che esi­sta dav­vero. Quanto a Yanu­ko­vich, ha 
rife­rito che la rimo­du­la­zione dei rap­porti centro-periferia non è in 
agenda. Tut­ta­via la perorò dopo la rivo­lu­zione aran­cione, con lo scopo di 
com­pen­sare la scon­fitta inferta dal duo Yushchenko-Tymoshenko. Una volta al 
potere, però, ha ripo­sto il discorso. Forse per­ché l’idea di gover­nare tutto 
il paese dà adre­na­lina. Forse per­ché gli oli­gar­chi, i veri padroni del 
paese, con l’enorme peso indu­striale e media­tico che hanno, non vogliono eri­
gere una stac­cio­nata in mezzo alla riserva di caccia.
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