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[Disarmo] I: [Disarmiamolapace1099] Foto dalla Siria
- Subject: [Disarmo] I: [Disarmiamolapace1099] Foto dalla Siria
- From: "rossana123 at libero.it" <rossana123 at libero.it>
- Date: Fri, 31 Jan 2014 21:32:55 +0100 (CET)
- Reply-to: "rossana123 at libero.it" <rossana123 at libero.it>
>di Francesco Santoianni > >Anche “Caesar” per far fallire “Ginevra 2” > >Di medici forensi abbindolati dai Signori della Guerra sono pieni gli annali. >Forse, il caso più famoso è il massacro di “inermi civili”, a Racak, in >Jugoslavia nel 1999, attestato in prima battuta da autorevoli medici forensi >chiamati dall’ONU; poi, un team di medici meno allocchi attestò >inequivocabilmente che, le anonime persone uccise (a bruciapelo) potevano pure >essere dei “civili” (anche se la loro comune robusta corporatura lasciava >spazio ad altre ipotesi) ma di certo non potevano dirsi “inermi” considerato >che l’esame con il guanto di paraffina (assurdamente non effettuato dal primo >team di medici) rivelava tracce di polvere da sparo sulle loro mani. > >Ma, allora, almeno c’erano indagini sul campo, appassionanti dibattiti su >controverse “prove” o su circostanze che potevano dimostrare una cosa o un’ >altra… Niente di tutto questo nel, davvero sbalorditivo, “Rapporto sulla >credibilità di alcuni elementi di prova relativi a tortura ed esecuzione di >persone incarcerate dal regime siriano” firmato, oltre che da tre “giuristi” >(capitanati dall’ineffabile Sir Geoffrey Nice, ex Procuratore Capo del >Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia) da due, finora autorevoli, >medici forensi inglesi: Stuart Hamilton e Susan Black. > >Uno strampalato Rapporto, già preso come oro colato (oltre che da >organizzazioni ex umanitarie) dai media, e che – al pari dell’appello di Avaaz >per “salvare i neonati torturati da Assad” – viene usato oggi per sabotare >“Ginevra 2”: la conferenza internazionale che, si spera, serva a far finire l’ >aggressione alla Siria. Un “classico” considerata una analoga bufala che fu >portata avanti per sabotare, nel luglio 2012, “Ginevra 1”. > >Ma inoltriamoci nella analisi del Rapporto che – come assicura “Caesar” – >documenta le torture e le uccisioni di oppositori siriani effettuate dagli >sgherri di Assad. E chi è “Caesar”? <<Caesar (pagg, 4-5 del Rapporto) è un >disertore dalla Siria. Prima della sua defezione, era in servizio presso la >Polizia militare come fotografo. In tale ruolo (,,,) con lo scoppio della >guerra civile, al pari dei suoi colleghi, doveva fotografare i cadaveri dei >prigionieri, portati dai loro luoghi di detenzione in un ospedale militare. (…) >Nel corso del suo lavoro ha nascosto decine di migliaia di immagini di cadaveri >fotografati dai suoi colleghi e da se stesso. Altre immagini simili sono state >contrabbandate da altre persone. In tutto, circa 55.000 immagini; (mediamente) >quattro o cinque fotografie scattate di ciascun corpo per circa 11.000 detenuti >uccisi.>> > >Un vero album degli orrori, quindi; anche se i membri della Commissione (che >ci assicurano aver visionato ben 5.500 foto) alla fine accludono nel loro >Rapporto solo dieci foto (“le più rappresentative”). Sulle quali ci si >soffermerà. > >Intanto una domanda. Perché mai la Polizia militare di Assad avrebbe dovuto >trasportare in un ospedale militare i prigionieri, ammazzarli, fotografarli e >realizzare così questa macabra collezione? <<La ragione per fotografare persone >giustiziate (pagg. 6-7) era duplice: in primo luogo per permettere un >certificato di morte da prodursi senza che le famiglie necessitassero di vedere >il corpo, evitando così alle autorità di dover dare un resoconto veritiero >della loro morte; in secondo luogo per documentare che gli ordini da eseguire >erano stati effettuati.>> Ma per quale assurdo motivo le autorità avrebbero >dovuto esibire un certificato di morte (“per problemi cardiaci e attacchi >respiratori”, pag. 13) alle famiglie degli 11.000 oppositori che sarebbero >scomparsi nelle carceri siriane? Per spingerle ad avere indietro il corpo del >loro caro e constatare così i segni delle torture? E poi, quale regime >conserverebbe una documentazione così dettagliata sui propri crimini? Da >sempre, dai lager nazisti a Pinochet, gli oppositori scompaiono e basta. >Desaparecidos, appunto. Altro che certificato di morte alle famiglie o immensi >archivi fotografici a disposizione di qualche sadico satrapo di regime o di >qualche inaffidabile dipendente della Polizia militare. > > Ma, visto che nessuna delle dieci foto specifica chi sia la vittima, (ma su >questo ci ritorniamo) vuole almeno dire il Rapporto chi sia veramente questo >“Caesar”? No. Non lo si può rivelare “per motivi di sicurezza”, nonostante >“Caesar”, da tempo, (pag. 12) “viva fuori dalla Siria insieme alla sua >famiglia”. E meno male che il Rapporto, invece, rivela che per 13 anni “Caesar” >ha lavorato come fotografo nella Polizia militare siriana. Certo, con tanti >suoi colleghi impegnati a fotografare decine di migliaia di cadaveri >martoriati, forse può ancora sperare di mimetizzarsi. > >Altre cose ci sarebbero da aggiungere sulla buona fede di “Caesar” attestata >in un baleno – l’ultimo suo esame da parte degli esperti della Commissione di >indagine risale (pag. 6) al 18 gennaio; il file “version to print” del Rapporto >postato sul sito della CNN riporta la stessa data: 18 gennaio -; o su quella >del suo (anonimo) parente (pag. 15), garante dell’identità di “Caesar”, che, >“stando fuori dalla Siria e militando nell’Opposizione siriana”, avrebbe >ricevuto da lui (che, allora, stava in Siria, custode di una documentazione >così sconvolgente e, per di più, parente di un oppositore) “decine di migliaia >di immagini”. Forse qualche altro sistema per accertare chi fosse e che >mestiere facesse davvero “Caesar” poteva essere tentato: ad esempio, >interrogare alcuni tra i numerosi poliziotti (anche della Polizia militare) che >disertando, sono scappati fuori dalla Siria. Ma con questa ricerca finanziata >dal Quatar e con l’acume investigativo degli esperti della Commissione (che si >fidano di due documenti di identità ad essi mostrati da “Caesar” – vedi pag. >12), era chiedere troppo. > >Ma occupiamoci delle foto. Essendo state scattate dal “regime di Assad” per >realizzare il macabro data-base dei prigionieri uccisi, è ovvio che nella >“cinquina” di foto che documentava la tortura e la morte di ogni vittima >avrebbe dovuto essercene almeno una raffigurante la faccia del malcapitato. In >realtà, se si analizzano le foto inserite nel Rapporto, si evidenzia che non >solo nessuna tra queste permette una identificazione del condannato ma che, >addirittura, nelle foto più pregnanti per dimostrare l’avvenuta tortura IL VISO >È CELATO DA RETTANGOLI NERI. Perché? Il Rapporto ha la sfacciataggine di >asserire (nota a pag. 19) che <<Per motivi di sicurezza e privacy facce o altre >caratteristiche potenzialmente identificativi nelle foto sono state rimosse. >> >Motivi di sicurezza e di privacy? Per persone la cui identificazione avrebbe >significato, un inequivocabile atto di accusa per i carnefici? Per delle >famiglie che certamente avrebbero diritto di conoscere la sorte toccata ai loro >cari? Per i condannati stessi, che in questa rivelazione avrebbero potuto >esternare la loro ultima testimonianza? Niente. “Motivi di sicurezza e di >privacy”. E così nulla si può dire sull’’identità delle persone martoriate e >uccise. > >Ma gli innumerevoli rettangoli neri che celano, oltre ai visi, alcuni dettagli >delle foto non sono l’unica bizzarria del Rapporto. Soffermiamoci, ad esempio, >sulla foto 4. Mostra i segni di uno strangolamento effettuato, presumibilmente, >con la striscia di plastica raffigurata nella foto 5. Ma chi ha messo sul corpo >quella striscia? E perché? Di certo non può essersela dimenticata la “Polizia >militare” che lo avrebbe torturato in prigione (altrimenti, risulterebbe anche >nella foto 4). E allora? È arbitrario parlare di una messa in scena? E le foto >6, 7, 8? Mostrano delle garze; la 6 sul polso, addirittura, si direbbe i resti >di una fasciatura al braccio (vedi anche foto 7). In Siria medicano i torturati >prima di ammazzarli? E perché? E poi la foto 3. Mostra, in alto a sinistra, l’ >unghia di un dito di qualcuno che si direbbe tenga il cadavere in bella mostra >per essere meglio fotografato. E questo per una delle tante “foto di archivio”? > >Il Rapporto pretende di cancellare ogni dubbio sulle foto dichiarando di >essersi servito della consulenza di tale Stephen Cole, esperto forense in >trattamento di immagini e Direttore dell’ Acume Forensics Institute. Ma la >questione non è se le foto siano state manipolate, ma cosa esse rappresentano. >Chi sono i torturati? E torturati da chi? Il Rapporto non ha dubbi annunciando >già nel suo titolo la responsabilità del regime siriano. Ancora più spavaldo >David Crane, uno degli autori del Rapporto <<Le prove raccolte sono decisive. >Questa è una pistola fumante. Qualsiasi procuratore vorrebbe avere questo tipo >di prove. Questa è la prova diretta della macchina omicida del regime di Assad. >>> > >E perché del “regime di Assad”? E se i cadaveri fotografati fossero, invece, >persone cadute in mano ai “ribelli siriani”? Intendiamoci in Siria le >detenzioni arbitrarie, al pari delle torture, complice la ferocia della guerra, >sono, certamente praticate da entrambe le parti in lotta. Ma quali prove ci >sono che le foto mostrano prigionieri del regime di Assad? La parola di >“Caesar”? Tutto qui? Allora, si dia a Cesare quello che è di Cesare. Tanto, >paga l’Emiro del Quatar. > > >Complimenti, Amnesty International > >Finora, avevo perdonato di tutto ad Amnesty International. Ad esempio, la sua >grottesca mobilitazione contro la “lapidazione” di Sakineh Mohammadi. Ricordate >il faccione della donna iraniana che troneggiava su tutti i municipi? Aveva >ucciso il marito (con la complicità dell’amante) e per questo sarebbe stata >condannata (giustamente?) all’ergastolo. Ma per il nazisionista Bernard- Henri >Lévy (che aveva lanciato la bufala), la donna era già stata destinata, da un >“tribunale islamico”, alla “lapidazione per aver commesso adulterio”. Come >assiduo “sostenitore” di Amnesty International (un po’ di spiccioli, ogni >tanto) cercai di metterla in guardia: la sua forsennata campagna contro la >“lapidazione in Iran”, invece di favorire il rispetto dei diritti umani, >rischiava di essere il pretesto per togliere di mezzo (con una ennesima guerra) >un altro Stato Canaglia. Non mi rispose nessuno. > >Non era, invero, l’unica bufala di guerra che era stata consacrata da Amnesty. >Ad esempio, la famigerata “testimonianza di una infermiera kuwaitiana” (in >realtà, Nayirah al-Sabah, figlia dell’ambasciatore del Kuwait negli USA) che, >su incarico della società di comunicazione Hill & Knowlton, aizzava alla guerra >contro l’Iraq denunciando l’eccidio di neonati, compiuto dai soldati di Saddam, >per impossessarsi di incubatrici. Stessa storia, anni dopo, con le bufale sulle >fosse comuni in Libia e le decine di migliaia di manifestanti mitragliati dagli >elicotteri di Gheddafi, tutte prese per buone e propagate da Amnesty. Eppure, >nonostante ciò e le rivelazioni sempre più preoccupanti su Amnesty che >cominciavano a diffondersi sul web, continuavo a pensare che, in fondo, più che >complici dei Signori della Guerra, i suoi attivisti potevano, al più, essere >considerati degli ingenui allocchi abbindolati da “notizie” che non riuscivano >tempestivamente a verificare. > >Poi, con il proseguire della guerra alla Siria, le cose si sono fatte più >chiare. Partite alla grande con l’avvincente storia della blogger lesbica di >Damasco, le bufale sono progressivamente diventate sempre meno credibili; >lontanissime come qualità da quelle realizzate, nelle precedenti fulminee >guerre, da esperti di strapagate società di comunicazione. E, così, oggi dalla >Siria non arrivano altro che video grossolani, foto pacchianamente artefatte >“testimonianze” autentiche come banconote da tre dollari… Tutta roba realizzata >dai tanti disperati della guerra che – con familiari, parenti e, spesso, con un >cellulare – improvvisavano “scoop” acquistati, per quattro soldi, da agenzie di >stampa. “Assad bombarda con napalm le scuole”, “Cecchini di Assad sparano sulle >donne gravide”, “Barili carichi di esplosivo, catrame e chiodi sganciati su >inermi civili”, Sono questi gli sbracati “scoop”oggi disponibili sul mercato >delle bufale dalla Siria. Inequivocabile pattume consumato dai media in – >massimo – un paio di giorni per non far soffermare troppo i loro, pur >disattenti, lettori/spettatori. > >Oggi su questa immondizia troneggia la “notizia” delle foto degli 11.000 >prigionieri torturati e uccisi dal regime di Assad. Pur commissionata dall’ >immensamente ricco Emiro del Quatar, si direbbe che i soldi per costruire >questa bufala non abbiano preso tutti la strada giusta, considerato che – con >tanti ufficiali del regime siriano scappati all’estero e disposti (ovviamente >dietro lauto compenso) a testimoniare qualunque cosa davanti alle telecamere – >si basa sulle dichiarazioni di un anonimo “fotografo della polizia” e su dieci >raffazzonate fotografie. Insomma, una bufala da quattro soldi; identificabile >come tale da chiunque (ci sono riuscito pure io, figuriamoci) si fosse preso la >briga di analizzarla. > >Per questo, sono rimasto sbalordito davanti al comunicato di Amnesty >International che consacrava questa bufala, riportando (dopo la dichiarazione >di uno dei suoi ideatori , Sir Desmond de Silva, “le prove documentano >uccisioni su scala industriale“) la frase “Le denunce sono compatibili con >elementi emersi dalle ricerche di Amnesty International sulle torture e sulle >sparizioni forzate compiute dal governo siriano e devono essere prese sul >serio”, che dopo aver paraculato con un sibillino “Se confermate” così >continuava “si tratterebbe di crimini contro l’umanità commessi su scala >agghiacciante e obbligherebbero a chiedere nuovamente perché il Consiglio di >sicurezza non abbia ancora deferito la situazione della Siria al procuratore >della Corte penale internazionale“. Insomma, un altro Stato Canaglia da >togliere di mezzo. > >Incazzato nero per quella che ritenevo fosse ancora la dabbenaggine di Amnesty >International, la ricontatto via mail per chiedere, sostanzialmente, come fosse >possibile che con tanti “esperti”, giornalisti, “consulenti” vari… a sua >disposizione, avallasse quella bufala, uscita – tra l’altro – giusto in tempo >per far fallire la “Conferenza Ginevra 2”: ultima speranza per fermare una >guerra che ha fatto, finora, centomila morti. > >Con mia sorpresa, questa volta, qualcuno mi risponde: tale Riccardo Noury, >Portavoce e Direttore dell’Ufficio Comunicazione Amnesty International. E dopo >qualche scambio di mail, la conversazione già finisce a pesci in faccia. > >Come sarebbe a dire “Cioè?” Mica posso dirvi cosa ci siamo detti sulle >responsabilità di Amnesty International nel propagare bufale di guerra? Mi >spiace, ma, per motivi legali, non è possibile rendere pubblica una >conversazione privata se non vi è il consenso delle parti. Per questo ho >scritto l’articolo. Che avete appena letto. > >Francesco Santoianni >P.S >Il 27 gennaio, (il giorno dopo l’uscita del mio articolo) il Portavoce di >Amnesty International Italia ha pubblicato questo articolo sul suo blog. Dovrei >essere soddisfatto? No. Credo che la “pezza” che Amnesty International Italia, >pretende di rammendare sia peggio del “buco” (il suo vergognoso articolo – >ancora on line – che pretende di attestare l’evidentissima bufala commissionata >dall’Emiro del Quatar). E invece di invocare “analisi indipendenti”, Amnesty >International Italia farebbe meglio a scusarsi per avere (consapevolmente o >meno) cercato di affossare la Conferenza “Ginevra 2”. > >http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2128 > > > >_______________________________________________ >DisArmiAmoLaPace mailing list >DisArmiAmoLaPace at lists.peacelink.org >http://lists.peacelink.it/mailman/listinfo/disarmiamolapace >
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