[Disarmo] Nuovo raid aereo israeliano contro la Siria



 Michele Giorgio

Territori Occupati. Colpita una base militare a Latakiya. Intanto Netanyahu 
genera polemiche a destra proponendo che una parte delle colonie ebraiche 
rimangano sotto l'autorità di Abu Mazen dopo la firma di un accordo con i 
palestinesi

I siti israe­liani, e anche tanti di quelli arabi, ieri tene­vano bassa la 
noti­zia del nuovo raid aereo che Israele ha lan­ciato dome­nica notte con­tro 
una base mili­tare nei pressi della città siriana di Lata­kiya. Un nuovo 
attacco mili­tare con­tro un altro Paese sovrano che non fa più noti­zia. Fonti 
dell’opposizione siriana e della sicu­rezza liba­nese hanno rife­rito che gli 
aerei israe­liani hanno vio­lato lo spa­zio aereo del Paese dei Cedri, sor­vo­
lato la Valle della Bekaa e infine col­pito la base a Lata­kiya. Altri par­lano 
di un attacco dal mare che avrebbe preso di mira depo­siti con mis­sili anti­ae­
rei S 300 di fab­bri­ca­zione russa. Da Tel Aviv non ci sono state con­ferme, 
Dama­sco tace. Pro­prio come lo scorso anno quando Israele ha col­pito più 
volte in Siria pre­sunti “con­vo­gli di armi” in appa­renza desti­nati al movi­
mento sciita liba­nese Hez­bol­lah. Venerdì un alto fun­zio­na­rio dell’
intelligence israe­liana, coperto dall’anomimato, aveva fatto sapere che lo 
Stato ebraico potrebbe ricon­si­de­rare la sua pre­sunta “posi­zione di neu­tra­
lità” nella guerra civile siriana di fronte alla cre­scente pre­senza di jiha­
di­sti e qae­di­sti in Siria. Estre­mi­sti che «oggi com­bat­tono con­tro Assad 
e che domani use­ranno le loro armi con­tro Israele» aveva detto, lasciando 
inten­dere che se sino ad oggi è stato col­pito l’esercito siriano, in futuro 
le forze armate israe­liane potreb­bero pren­dere di mira i jiha­di­sti a 
ridosso delle linee di con­fine. In realtà il governo del pre­mier Neta­nyahu 
non è “neu­trale” e si augura la caduta di Bashar Assad e la con­se­guente fine 
dell’alleanza tra la Siria e l’Iran.

In Israele di tutto que­sto si è par­lato pochis­simo ieri. A domi­nare la 
scena sono state le roventi pole­mi­che a destra inne­scate da Neta­nyahu che 
dopo essersi dichia­rato al Forum Eco­no­mico di Davos a favore della solu­
zione dei “due Stati” ha suc­ces­si­va­mente spie­gato di non aver inten­zione 
di eva­cuare anche uno solo degli oltre 150 inse­dia­menti colo­nici ebraici 
costruiti da Israele nella Cisgior­da­nia occu­pata e a Geru­sa­lemme Est dopo 
il 1967 (in vio­la­zione del diritto inter­na­zio­nale). Ha poi aggiunto che, 
nel qua­dro di un accordo con i pale­sti­nesi, diversi inse­dia­menti e quindi 
migliaia di coloni si ritro­ve­ranno sotto l’autorità pale­sti­nese. Neta­nyahu 
inten­deva met­tere in “cat­tiva luce”, di fronte il pre­si­dente pale­sti­nese 
Abu Mazen e altri diri­genti dell’Anp che hanno già detto che nel futuro Stato 
di Pale­stina (ammesso che ne nasca uno sovrano) non ci sarà spa­zio per le 
colo­nie israe­liane per­chè sono la mas­sima espres­sione dell’occupazione 
comin­ciata 46 anni fa e per­chè ille­gali. L’analista Shi­mon Shif­fer, del 
quo­ti­diano Yediot Ahro­not spiega le este­ra­zioni di Neta­nyahu come un deli­
be­rato ten­ta­tivo di pro­vo­care una rea­zione ostile da parte dei pale­sti­
nesi, dipin­gen­doli come nemici della pace. «Sfida la parte pale­sti­nese 
sapendo che (sull’esistenza delle colo­nie, ndr) non può che rispon­dere in 
modo negativo».

Le aspet­ta­tive di Neta­nyahu sono andate deluse, i pale­sti­nesi non hanno 
fatto una piega e le rea­zioni occi­den­tali sono state sino a que­sto momento 
impal­pa­bili. «Il pro­blema sono solo le colo­nie, se alcune migliaia di 
(coloni) ebrei vor­ranno rima­nere come cit­ta­dini pale­sti­nesi nel nostro 
futuro Stato, potranno farlo. Le colo­nie no, per­chè sono state costruite ille­
gal­mente», ha com­men­tato l’ex mini­stro dell’Anp Ash­raf al-Ajrami.

La lite invece è scop­piata in fami­glia dove la destra più radi­cale, den­tro 
e fuori il governo, ha accu­sato il pre­mier di voler lasciare i coloni «die­
tro le linee nemi­che». «Non si può abban­do­nare gli ebrei nelle mani pale­sti­
nesi», ha pro­te­stato il vice mini­stro degli esteri Zeev Elkin, del Likud, lo 
stesso par­tito di Neta­nyahu. Un altro vice mini­stro, Dani Danon, ha detto 
che l’idea di inse­dia­menti ebraici non più sotto la sovra­nità israe­liana è 
«una aber­ra­zione poli­tica». Il più arrab­biato di tutti è apparso il mini­
stro dell’economia Naf­tali Ben­nett, lea­der del par­tito ultra­na­zio­na­li­
sta “Foco­lare ebraico”, che ha lan­ciato accuse duris­sime al primo mini­stro. 
L’ufficio di Neta­nyahu ha repli­cato che mini­stri e vice mini­stri che non 
sono d’accordo con il pre­mier sono liberi di lasciare il governo.

E’ una tem­pe­sta in un bic­chiere d’acqua, volta a dare all’esterno (Usa e 
Europa) l’immagine di un Neta­nyahu “mode­rato”, limi­tato nelle sue deci­sioni 
al tavolo delle trat­ta­tive da mini­stri e com­pa­gni di par­tito “estre­mi­
sti”. Con­tano i fatti che par­lano da soli, l’occupazione del popolo pale­sti­
nese non cessa. Ieri un con­ta­dino di Gaza è stato ferito gra­ve­mente da 
spari dell’esercito israe­liano solo per­chè lavo­rava nel pro­prio ter­reno a 
Deir al-Balah, vicino ai reti­co­lati di confine.