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Guerre nel mondo. Tutti i numeri del 2012
- Subject: Guerre nel mondo. Tutti i numeri del 2012
- From: "rossana123 at libero.it" <rossana123 at libero.it>
- Date: Sun, 22 Sep 2013 22:11:11 +0200 (CEST)
http://www.guerrenelmondo.it/?page=static1258218333 Nel 2012 nel mondo ci sono stati meno conflitti armati, ma più morti. A rilevarlo è uno studio condotto dal PRIO – International Peace Research Institute di Oslo – in collaborazione con l’UCDP – Uppsala Conflict Data Program – dell’università svedese di Uppsala. Ad incidere sui numeri del report annuale pubblicato dai due istituti è l’escalation del conflitto in Siria. Delle 37.941 vittime nei teatri di guerra che si contano nella tabella complessiva, 15.055 si trovano nella colonna della Siria. Numeri e tipologia dei conflitti Nel 2012, i conflitti armati attivi nel mondo sono 32, a fronte dei 37 registrati nell’anno precedente. Per conflitto armato – come da definizione riportata dall’istituto svedese - si intende l’utilizzo di forze armate tra due parti – dove almeno uno dei due attori è il governo di uno Stato – che provochi la morte di almeno 25 persone in un anno. Ad eccezione degli scontri tra il Sudan e la regione indipendente dal 9 luglio 2011 del Sudan del Sud, i conflitti attivi sono tutti interni ai confini degli stati. Tra questi, otto sono internazionalizzati ovvero vedono il coinvolgimento di stati esterni: Afghanistan, Azerbaijan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Somalia, Stati Uniti (supporto della Francia alla lotta ad Al Qaeda) e Yemen. Vittime e conflitti più intensi nel 2012 Nel 2012 l’Uppsala Conflict Data Program stima che ci siano state 37.941 vittime nel mondo legate a guerre armate. Un numero così alto nei ventiquattro anni trascorsi dalla fine della guerra fredda si era registrato soltanto altre sei volte. Ed è un numero che si spiega con l’escalation di violenza che si è avuta in Medio Oriente nelle regioni di Siria, Afghanistan, Somalia, Pakistan Yemen e Sudan. Il conflitto in Siria nell’ultimo anno ha fatto registrare oltre 15.000 vittime, uno scenario sempre più complesso dovuto anche all’azione di diversi gruppi di ribelli. Il principale gruppo di opposizione al regime di Bashar Al Assad continua ad essere l’FSA - Free Syrian Army – che si compone di diverse fazioni. Nel corso dell’anno altri gruppi armati si sono rafforzati, e una delle strategie del governo per contrastare la crescente resistenza armata è stato stata quella di impiegare gruppi di miliziani locali, comunemente conosciuti come Shabiha. Il 2012 è stato un anno nero anche per il conflitto in Afghanistan, con almeno 7400 vittime registrate. Le violenze si sono concentrate attorno le roccaforti talebane nel sud e nell’est del paese, nelle province di Helmans, Kandahar, Nangarhar, Ghazni e Konar. In Somalia il conflitto tra il governo e il gruppo affiliato ad Al Qaeda di Al- Shabaab ha causato nel 2012 più di 2600 morti, picco massimo per gli scontri nella regione. Un dato molto vicino a quello della Somalia si registra in Pakistan, dove i conflitti interni hanno causato più di 2700 vittime. Contro il governo pakistano nel 2012 – oltre al principale gruppo di ribelli del Tehrik-i- Taleban Pakistan – si sono attivati altri due gruppi: il Tariq Afridi faction – una fazione del TTP – e l’organizzazione militare islamica Lashkar-e-Islam. In Yemen gli scontri tra governo e cellule attive di Al Qaeda nell’ultimo anno hanno fatto registrare 2300 vittime, un numero più che raddoppiato rispetto all’ anno precedente. Il dato si spiega con la politica del nuovo regime – dopo trenta anni di governo di Ali Abullah Saleh – di lanciare una nuova offensiva a maggio con l’intento di riprendere il controllo delle regioni perse durante gli scontri con i ribelli del 2011. Anche con il cambio alla guida del regime, gli Stati Uniti nel 2012 hanno continuato a supportare il governo yemenita nella sua lotta ad Al Qaeda, con raid di droni che hanno contribuito a far aumentare le stime sul numero delle vittime, anche tra i civili. Nuovi conflitti Nel 2012 sono scoppiati tre nuovi conflitti in India, Mali e Sudan. Il primo caso si riferisce allo stato indiano del Megahalaya. Nella regione operano i ribelli del GNLA – Garo National Liberation Army – che spingono per la creazione di uno stato autonomo nell’ovest del paese. Il gruppo opera dal 2009, ma soltanto nel 2012 gli scontri con l’esercito hanno superato le 25 vittime, così da rientrare nei parametri ed essere considerato un vero e proprio conflitto armato. La situazione di instabilità in Mali si trascina dal 1990, con i gruppi attivi nel paese uniti dal comune desiderio di stabilire lo stato indipendente di Azawad nel nord del paese. Nel 2012, questo conflitto si è riproposto e il Mali ha dovuto affrontare una nuova realtà, quella della forte presenza degli islamisti del gruppo ribelle Ansar Dine, che ha portato al colpo di stato del 22 marzo e ad una conseguente instabilità nel paese che si trascina fino a oggi. In Sudan invece, da quando nel luglio del 2011 il Sudan del Sud ha ottenuto l’ indipendenza, si è aperto un nuovo fronte di tensioni e guerriglia legati alla delimitazione dei confini alla frontiera. Una situazione che nel marzo del 2012 si è spostata sulla contesa della zona di Heglig, una zona ricca di petrolio. Conflitti non più attivi Undici sono i conflitti registrati nel 2011 che non risultano più in corso nel 2012. C’è ad esempio la disputa tra Cambogia e Tailandia sulla questione della frontiera, terminatao nel maggio del 2011. C’è il conflitto interno in Iran dove a luglio del 2011 è stata lanciata una offensiva su larga scala da parte del governo contro i curdi del gruppo ribelle dei Pjak – Party for a Free Life in Kurdistan – che li ha spinti a tornare in Iraq, con un solo caso di incidente registrato nel 2012, che ha causato 4 morti. C’è anche la Costa d’ Avorio, dove se l’instabilità dovuta agli scontri che hanno portato all’ arresto dell’ex-presidente Laurent Gagbo imperversa ancora nel paese, nel 2012 secondo il report non sono emersi casi di violenza legati a gruppi sovversivi. A completare il quadro ci sono la Libia del dopo Gheddafi, la Mauritania dove le attività del gruppo legato ad Al Qaeda degli AQIM si spostano verso il Mali, gli stati di Karen e Shan in Myanmar dove per la prima volta dal 2004 gli scontri non superano le 25 vittime, il Senegal dove il governo ha firmato un accordo con i ribelli del MFDC – Movement of the Democratic Forces of the Casamance – per il cessate il fuoco. E ancora il Sudan dove gli scontri si sono riaccesi da quando i ribelli del sud hanno formato uno stato indipendente (e non si tratta più quindi di scontro interno ma tra due stati sovrani) , in Tajikistan dove dopo due anni di violenza nel paese bel 2012 non si sono registrati scontri tra il governo e i ribelli dell’IMU, sigla che sta per Islamic Movement of Uzbekistan. E in ultimo in Uganda, dove gli scontri tra esercito governativo e i ribelli di LRA – Lord’s Resistence Army – e di ADF – Allied Democratic Forces – nell’ultimo anno si sono attenuati e non si registrano più di 25 vittime. Accordi di Pace nel 2012 Durante l’anno sono stati inoltre firmati quattro accordi di pace. Il primo nella Repubblica Centrafricana, è stato siglato tra il governo e i ribelli del CPJP – Convention of Patriots for Justice and Peace – che hanno accettato di sottoscrivere un programma di disarmo e di trasformarsi in partito politico. Il secondo nelle Filippine, siglato tra governo e i ribelli del gruppo MILF – Moro Islamic Liberation Front – che ha portato ad un compromesso sulla questione della regione di Bangsamoro. Un altro accordo è stato siglato nel 2012 nel Sudan del Sud tra il governo del nuovo paese indipendente e i ribelli del gruppo SSDM – South Sudan Dem cratic Movement/Army – dove si garantisce un ruolo ai ribelli nelle decisioni di governo. Un ultimo accordo di pace è stato siglato invece tra i due paesi confinanti – Sudan e Sudan del Sud – che il 27 settembre del 2012 hanno firmato un accordo di cooperazione ad Addis Ababa dove si stabiliva una zona demilitarizzata e i principi di demarcazione dei confini. Quattro accordi di pace in un anno sono un numero positivo – dal 2009 non si sono siglati più due due accordi all’anno – ma come sottolineano gli analisti dell’Uppsala Conflict Data Program, rappresenta soltanto il primo passo di un percorso di pace stabile. Si tratta di un numero indicativo solo se contestualizzato nel lungo periodo.
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