SULLA SIRA, IL NOSTRO “CHE FARE?”
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- From: "rossana123 at libero.it" <rossana123 at libero.it>
- Date: Thu, 29 Aug 2013 13:32:52 +0200 (CEST)
SULLA SIRA, IL NOSTRO “CHE FARE?”
Questo
non è un appello. Non è una petizione. Non raccogliamo firme, né cerchiamo
consensi.
Vogliamo
solo offrire qualche spunto di riflessione per il dibattito che si sta
sviluppando al seguito dei “venti di guerra” che provengono dallo scenario
internazionale che oggi ci consegna una sponda del Mediterraneo in fiamme, dalla
Siria alla Libia, dall'Egitto al Libanio (oltre naturalmente alla Palestina).
Sull'altra sponda del Mediterraneo si affacciano i paesi occidentali, compresa
l'Italia, impotenti sul piano politico, ma molto attivi sul piano del commercio
delle armi, che vanno ad alimentare i massacri. In fondo al Mediterraneo ci sono
migliaia di profughi in fuga dalle guerre.
Noi
possiamo fare poco o niente sul piano immediatamente efficace per impedire il
massacro. Nessuna sacrosanta richiesta ai potenti di fermare la guerra ha
restituito la pace ai popoli. Non è accaduto a Belgrado, né a Bagdad, né a Kabul
e nemmeno a Tripoli. Non accadrà a Damasco.
Nè
è nostro compito scegliere le parti per le quali parteggiare - tra dittatori di
lungo corso, militari golpisti e fondamentalisti jihadisti - laddove la verità è
sempre la prima vittima delle guerre e le responsabilità tra oppressori e
oppressi non sono separabili con l'accetta.
Quel
che possiamo e dobbiamo fare nell'immediato è stare dalla parte delle vittime,
accogliere e portare soccorso, alleviare le sofferenze, salvare singole vite. E'
già molto, ma non basta. Come non basta condannare l'intervento armato e i suoi
mandanti. E' necessario, ma non basta.
La
Siria è piombata in una guerra "civile" (si fa per dire) a causa di una
ventennale dittatura (accettata, tollerata, sostenuta dalle grandi potenze) che
non ha acconsentito ad alcuna riforma, ma ha fatto precipitare il paese in una
escalation di violenza. A sua volta, l'opposizione pacifica al regime è stata
presto messa ai margini da una preponderante contrapposta violenza armata, anche
di matrice fondamentalista jihadista (accettata, tollerata, sostenuta da altre
potenze). Gli Stati Uniti con l'Arabia da una parte, la Russia con l'Iran
dall'altra, l'Europa, la cosiddetta "comunità internazionale", sono stati a
guardare la mattanza, con efferatezze da entrambe le parti, che ha prodotto
finora quasi 100mila morti, sopratutto – come in tutte le guerre – tra i civili
inermi: nessun tentativo di mediazione internazionale tra le parti, nessun
intervento massiccio di intermediazione civile, nessuna presenza di osservatori
internazionali, nessuna richiesta di cessate il fuoco da parte degli alleati di
una parte e dell'altra, nessuna interruzione del flusso di armi ad entrambe le
parti in guerra. A questo punto un intervento armato esterno, con i
bombardamenti dall'alto dei cieli, non solo è completamente privo di senso
rispetto alla situazione specifica, non solo – come tutte le guerre – aggiunge
crimine a crimine nei confronti della martoriata popolazione civile, non solo è
senza alcuna legittimità internazionale, ma è anche – nonostante il
dispiegamento di potenti e terrificanti armamenti – un grave di segno di
impotenza della comunità internazionale.
Del
resto, tutti gli interventi militari internazionali in zone di conflitto (spesso
avviate con pretesti risultati, a posteriori, costruiti a tavolino) non hanno
portato ad alcuna stabilizzazione democratica e pacifica in nessuno scenario -
dall'Iraq al Kosovo, dalla Somalia alla Libia, all'Afghanistan – ma hanno
ulteriormente disastrato popolazioni e territori, aprendo ulteriori focolai di
guerra, odio e terrorismo. Chi è responsabile di una guerra assassina in
Afghanistan, con stragi di civili, non può farsi pladino dei diritti umani,
nascondersi dietro il paravento di un intervento umanitario per punire l'uso di
gas contro altri civili. L'opzione militare in Siria sarebbe destabilizante per
l'intera area, anche se l'obiettivo dichiarato è di un intervento limitato e
mirato. Le guerre si sa come iniziano ma non si sa come finiscono.
L'unica
vera stabilizzazione al rialzo è sempre quella per i profitti delle
multinazionali delle armi, unici soggetti che da tutte le guerra ne escono
comunque trionfanti e pronti a ricominciare.
Non
a caso, esattamente un anno fa, il 31 agosto 2012, il Segretario generale delle
Nazioni Unite, Ban Ki Moon, dichiarava che la spesa militare globale annua, mai
così alta nella storia dell'umanità, divisa per i giorni dell'anno, è "di 4,6
miliardi di dollari al giorno, somma che, da sola, è quasi il doppio del
bilancio delle Nazioni Unite per un anno intero". Il meccanismo è, dunque,
sempre lo stesso: si impedisce alle Nazioni Unite di agire per la pace con tutti
i mezzi diplomatici e operativi possibili e necessari, privandole di quelle
risorse che, invece, vanno a gonfiare le spese globali per gli armamenti. Per
cui la guerra continua planetaria, che si sposta da uno scenario conflittuale
all'altro, è sempre di più una profezia che si autoavvera.
Registriamo
positivamente che in quest'ultima occasione il governo italiano abbia voluto
finalmente prendere una posizione autonoma, diversa dagli alleati della Nato,
rivendicando il ruolo delle Nazioni Unite e riconoscendo al Parlamento la
sovranità delle scelte di politica estera. Ci vuole anche altro, come
l'immediata sospensione della produzione e commercio di armi con i paesi
belligeranti (comprese le cosiddette armi leggere), ma sappiamo riconoscere i
segnali in controtendenza.
A
questo punto torna la domanda: ma noi cosa possiamo fare? Oltre ad esprimere la
nostra irremovibile contrarietà a questa nuova escalation internazionale della
guerra siriana, foriera di imprevedibili effetti a catena su tutto lo scenario
mediorientale, non ci dobbiamo stancare di operare e di chiamare tutti alla
necessaria opera per la pace e la nonviolenza.
Il
nostro compito è operare bene e con convinzione, là dove siamo e possiamo, per
il disarmo e la riduzione delle spese militari globali e nazionali, per il
sostegno alle campagne contro il commercio italiano delle armi usate in tutte le
guerre vicine e lontane, per la promuozione dei Corpi civili di pace come forze
di intervento preventivo nei conflitti, per la difesa civile non armata e
nonviolenta attraverso la formazione di giovani volontari civili, per sviluppare
politiche culturali ed educative fondate sulla nonviolenza, per incalzare i
nostri governi ad operarsi per la riforma e il rilancio delle Nazioni Unite che
possano operare davvero con una legale e democratica polizia internazionale,
come superamento degli eserciti, per il rispetto del diritto e la difesa degli
aggrediti.
Contro
la guerra e per la pace c'è sempre qualcosa da fare. Con la nonviolenza, tutti i
giorni.
Movimento
Nonviolento
www.nonviolenti.org
29
agosto 2013
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