Armi sui traghetti, il segreto di Stato fa affondare l’inchiesta



Il trasferimento del carico da Santo Stefano avvenne il 19 maggio del 2011. 
Impossibile sentire i testimoni: la procura di Tempio chiede l’archiviazione

LA MADDALENA. La ragion di Stato fa calare il sipario sull’inchiesta, avviata 
dalla procura della Repubblica di Tempio, sul trasferimento illegale di un 
gigantesco carico di armi e munizioni prelevato dai bunker dell’isola di Santo 
Stefano e destinato, già dal 1996 per ordine dei giudici, alla distruzione. Il 
magistrato inquirente, Riccardo Rossi, all’ennesima apposizione del segreto di 
Stato da parte del Governo per «inderogabili e superiori esigenze di sicurezza 
nazionale», ha deciso di chiudere lo spinosissimo e imbarazzante caso con 
risvolti internazionali chiedendo l’archiviazione al gip del tribunale di 
Tempio.

I testimoni scomodi. Un provvedimento annunciato da tempo, considerato che i 
personaggi che avrebbero dovuto deporre, in qualità di «persone informate dei 
fatti» erano il capo di Stato maggiore della marina militare, l’ammiraglio di 
squadra Bruno Branciforte, in quanto responsabile della polveriera- bunker di 
Santo Stefano, l’ex presidente del comitato militare Nato e attuale ministro 
della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, e gli ufficiali dei servizi 
segreti militari che gestirono, in prima persona, il gigantesco trasferimento 
di armamenti dall’isola della Maddalena verso la meta finale.

La destinazione. Nessuno (ormai) lo dirà, ma quel prezioso carico di armi – si 
stima che il valore complessivo degli armamenti superi i cento milioni di euro 
– venne sbarcato nel porto di Bengasi, nascosto tra i generi di “supporto 
logistico” e consegnato ai diversi comitati che dirigevano gli insorti libici 
di varie etnie e fazioni (per non scontentare nessuno) che, nella primavera 
araba del 2011, combatterono e sconfissero le agguerrite milizie guidate dai 
familiari del defunto rais libico Muammar Gheddafi.

Le armi russe. Le armi facevano parte del colossale carico di missili, 
munizioni, razzi e fucili mitragliatori kalashnikov stoccati per anni nei 
tunnel di Santo Stefano su ordine della magistratura. Quelle armi erano state 
sequestrate il 13 marzo del 1994 nello stretto di Otranto. Viaggiavano sulla 
nave Jadran Express ed erano destinate al mattatoio dei Balcani.

Dietro il traffico c’era l’oligarca russo Alexander Zhukov che venne 
arrestato, ma poi uscì pulito perché al processo fu prosciolto per difetto di 
giuristizione. Un vero e proprio tesoro destinato alla distruzione (mai 
disposta dai vertici militari) su ordine della magistratura torinese e che 
servì come merce di scambio, nel maggio del 2011, al governo Berlusconi che 
aveva riconosciuto il Cnt (consiglio nazionale di transizione) che guidava la 
sommossa contro Gheddafi. L’Italia, con il ministro degli Esteri Franco 
Frattini, fu il primo tra gli Stati a riconoscere l’autorità del Cnt, 
assicurandosi la prosecuzione dei contratti in essere per la fornitura di gas e 
petrolio e le commesse per la realizzazione, in Libia, di infrastrutture 
pubbliche e autostrade.

Polveriera a bordo. I quattro container militari, stipati di armi, furono 
trasferiti da Santo Stefano su navi passeggeri della Saremar e della Tirrenia, 
all’avvio della stagione turistica. La notte del 19 maggio il carico bellico 
venne imbarcato sul traghetto per Civitavecchia, stivato in un traghetto sul 
quale avevano preso posto 725 persone tra passeggeri e equipaggio. Tra questi c’
erano 122 bambini e 87 anziani, tutti ignari del carico pericoloso. Modalità di 
trasporto vietate dalle normative internazionali e giudicate «problematiche per 
la sicurezza» dagli stessi ambienti militari. Da Marisardegna, però, 
rassicurarono che «tutte le armi erano state rese inerti già prima della 
partenza».

Fu l’unica ammissione, poi ritrattata, dell’avvenuto trasferimento di armi a 
bordo di navi passeggeri, mentre i container furono accettati a bordo dal 
comandante della Tirrenia perché nella bolla di accompagnamento erano indicati 
genericamente «pezzi di ricambio».

Ma qualcosa non quadrò sin dal primo momento, in quanto nella stiva rimasero, 
a guardia del prezioso carico, una squadra di militari armati. A Santo Stefano 
i container vennero riempiti con parte dei 30mila fucili mitragliatori AK-47, 
32 milioni di proiettili, 400 missili terra-aria anticarro Spigot AT-4 con 50 
postazioni di tiro, 5mila razzi Katiuscia da 122 millimetri, 11 mila razzi 
anticarro Rpg.

Il passaggio nel Lazio. La mattina del 20 maggio il convoglio militare, 
sbarcato a Civitavecchia, (4 camion più due auto dell’Esercito, di scorta) si 
sarebbe diretto verso l’ex poligono militare di Santa Severa.Da quel momento le 
armi si volatilizzarono.

L’inchiesta. In seguito alla pubblicazione della notizia da parte del nostro 
quotidiano, la procura della Repubblica di Tempio nel mese di giugno avviò un’
indagine. I primi a finire sul registro degli indagati furono due alti 
ufficiali della Marina militare, che si trincerano dietro l’inopponibile 
segreto militare. Anche i cronisti che si erano occupati dello spinoso caso 
sono stati sentiti a verbale dal magistrato inquirente. Rossi aveva già 
ricevuto un primo rifiuto dai vertici militari a essere sottoposti a 
interrogatorio insieme all’annuncio dell’imminente apposizione del segreto di 
Stato sull’intero affaire. Le diverse ipotesi di reato contestate dalla Procura 
gallurese ai due soli indagati dell’inchiesta erano quelle di attentato alla 
sicurezza nei trasporti e falso in atti pubblici.

L’imbroglio. La magistratura torinese, l’unica in possesso della lista delle 
armi sequestrate nel 1994 e finite a Santo Stefano, nel 2006 aveva disposto la 
distruzione dell’intero arsenale posto sotto sequestro.

Una richiesta, questa, che rimase lettera morta per anni, senza che nessuno 
potesse imporre l’esecuzione di quell’ordinanza. Poi, nel 2011, ecco arrivare 
la decisione dei vertici militari e del Governo: spedire in terra d’Africa 
buona parte di quegli armamenti che, all’Italia, erano costati zero lire e che 
creavano un serio problema per il loro smaltimento. Con un decreto legge (mai 
ratificato) venne disposta l’acquisizione delle armi al patrimonio dello Stato, 
e quindi il suo utilizzo. Ma è proprio la mancata ratifica del decreto legge ad 
aver innescato un’inchiesta, chiusa con il segreto di Stato.
http://lanuovasardegna.gelocal.it/olbia/cronaca/2013/04/06/news/armi-sui-
traghetti-il-segreto-di-stato-fa-affondare-l-inchiesta-1.6831787